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“Espellere chi non ha documenti destabilizza il tessuto sociale”

Vatican Insider - pubblicato il 24/02/17

«Se improvvisamente si cominciasse a perlustrare interi quartieri alla ricerca di persone senza documenti assisteremmo ad una destabilizzazione del tessuto sociale». Il cardinale Blaise Cupich commenta con Vatican Insider i primi provvedimenti del neo-presidente Trump. Spiega l’atteggiamento dei vescovi e dice anche di non credere all’utilità delle proteste di piazza che per la prima volta mettono in discussione la legittimità del presidente. Invita a pazientare prima di esprimere giudizi sui collaboratori di Trump e sulle loro azioni. E per quanto riguarda il dibattito interno alla Chiesa su “Amoris laetitia” afferma di non vedere confusione, ma ritiene positivo che siano state poste delle domande perché hanno permesso di comprendere più in profondità il messaggio del documento. 

Come giudica queste prime settimane della presidenza Trump?

«Penso che ogni nuova amministrazione debba abituarsi a governare. Questo è particolarmente vero per il presidente Trump, poiché è la prima volta che ricopre cariche politiche. Per ora stiamo assistendo a una fase di assestamento, deve abituarsi alle sue “gambe da mare” come si dice da noi: l’essere in grado di camminare sulla nave in rotta. Noi, vescovi americani abbiamo deciso che parleremo delle scelte politiche e non delle persone. Pensiamo che sia meglio chiarire subito il bisogno di avere misure che proteggano la dignità umana e siano in grado di integrare le persone nella vita economica del nostro Paese». 

La risposta dei vescovi è stata unitaria di fronte alle decisioni sull’immigrazione…

«Negli Stati Uniti abbiamo persone che vivono nell’ombra. La soluzione non è di allontanare coloro che hanno vissuto qui per molti anni, soprattutto i bambini. Va aggiustato un sistema difettoso, e fino a quando non lo faremo, avremo politiche che potrebbero facilmente essere ingiuste verso la gente che ha vissuto qui per un lungo tempo. Ho incontrato alcuni studenti che grazie a un programma possono studiare negli Usa anche se sprovvisti dei documenti necessari. Ora temono che questo possa cambiare». 

Anche Obama però ha deportato tantissimi immigrati.

«Sì, sappiamo che anche l’amministrazione Obama ha fatto molte deportazioni, con un criterio però, individuando le persone con accuse penali. Se improvvisamente si cominciasse a perlustrare interi quartieri alla ricerca di persone senza documenti assisteremmo ad una destabilizzazione del tessuto sociale, dal momento che queste persone sono vissute qui per molti anni con le loro famiglie. Separare le famiglie, deportando il padre che porta a casa il pane, porterà ad avere molti bambini soli e senza mezzi di sostentamento. E molti di loro sono cittadini americani perché sono nati qui. Abbiamo bisogno di una soluzione sistemica e non frammentaria». 

Siete contenti della decisione di Trump di tagliare i fondi al programma internazionale che finanziava gli aborti?

«Trump ha reintrodotto la Mexico City Policy, l’accordo che impedisce alle ONG internazionali di ricevere finanziamenti dal governo degli Stati Uniti se forniscono servizi alle donne intenzionate ad abortire. Era una politica precedente all’amministrazione Obama che è stata in vigore durante l’amministrazione Bush. Trump l’ha semplicemente reintrodotta. Noi abbiamo sempre sostenuto che lo Stato non debba usare i soldi delle tasse per finanziare la pratica dell’aborto. Ecco perché, per esempio, noi sosteniamo l’emendamento Hyde contro l’aborto. Nel mio Stato recentemente si è tentato di far approvare una legge che avrebbe usato fondi pubblici per pagare gli aborti attraverso la Medicaid. Ci siamo ovviamente opposti, in linea con la posizione della Conferenza episcopale: il denaro del contribuente non deve essere utilizzato per questo scopo, le persone non dovrebbero essere costrette a spendere i soldi provenienti dalle loro tasse per pagare gli aborti». 

Che cosa ne pensa delle proteste che sono in atto nel Paese contro il presidente?

«È qualcosa che non ha precedenti, penso che rifletta quella divisione del Paese che ha caratterizzato la campagna elettorale e che ancora oggi continua. La mia posizione è questa: abbiamo un processo elettorale con cui scegliamo un presidente, il quale a sua volta sceglie i suoi collaboratori che ora sono in carica e hanno la responsabilità di portare avanti i loro compiti. La gente ha sicuramente il diritto di protestare e manifestare contro le scelte politiche, ma pilotare la protesta per dire che questo presidente, legittimamente eletto, non è accettato, penso che a lungo andare non porti a nulla. È solo una protesta per protestare. Se una protesta è progettata per cambiare le politiche, allora va bene, ma non vedo perché protestare contro un’elezione conforme alla leggi del paese. Solo per dire che “non è il mio presidente”? Non la vedo come una strategia di grande successo». 

Che cosa pensa dei collaboratori di Trump?

«Il presidente ha scelto varie persone rispettate per il suo gabinetto. C’è chi ha sollevato preoccupazioni su alcuni nomi. Ma è sempre stato così. Anche quando Obama è diventato presidente, alla gente non piacevano alcuni membri del governo. Dobbiamo aspettare e vedere come porteranno avanti il loro lavoro che ad un certo punto sarà sotto gli occhi di tutti e tutti potranno trarre le proprie conclusioni. Ma io credo che nessuno oggi possa parlare con chiarezza su come l’amministrazione prenda le proprie decisioni. È troppo presto per dirlo». 

Come saranno i rapporti tra l’amministrazione Trump e la Santa Sede?

«Credo che il Vaticano aspetterà di vedere chi sarà il nuovo ambasciatore Usa presso la Santa Sede. Dobbiamo aspettare e vedere chi sarà nominato». 

Un anno fa ci sono state tensioni tra Trump e il Papa. Come vede questo rapporto per il futuro?

«Il Santo Padre è rispettoso verso i capi di stato neo-eletti di qualsiasi Paese, e cerca di promuovere la dignità umana e il rispetto della vita umana nel mondo. Questo è il suo ordine del giorno. La Santa Sede non è un potere politico, o una potenza militare, ma desidera portare la luce della fede sulla dignità umana. Come disse Benedetto XVI, “noi non imponiamo, noi proponiamo”». 

Secondo lei ci sarà la possibilità di un lavoro comune? Vede possibili convergenze?

«Spero che ci siano. Ci sono questioni importanti che devono essere affrontate non solo da ogni singolo Paese ma da tutto il mondo. Il Papa ad esempio ha pubblicato l’enciclica “Laudato si’”, dedicata alla nostra casa comune, all’ambiente. Penso che debba essere seguita, in particolare da parte degli Stati Uniti con il loro enorme fardello di emissioni: siamo responsabili in molti modi per la degradazione dell’ozono, la deforestazione. Abbiamo una grande responsabilità come nazione leader nel mondo. Penso a ciò che il Santo Padre ha detto al Congresso, sfidando gli Stati Uniti ad accettare la loro leadership nel mondo e di non essere isolazionisti, e comprendere che Dio ci ha dato una notevole responsabilità. Noi dobbiamo fare la differenza nel migliorare la situazione nel mondo». 

Veniamo alla situazione interna della Chiesa. Lei, dopo la pubblicazione dei “dubia” dei quattro cardinali sull’esortazione “Amoris laetitia“, vede “confusione”?

«Secondo la mia esperienza non c’è alcuna confusione. Ci sono persone che hanno posto dei dubbi. Penso che il piccolo libro che il cardinale Francesco Coccopalmerio ha recentemente pubblicato sia molto utile. La Chiesa ha sempre migliorato la comprensione dei propri insegnamenti nei momenti più controversi. Di fatto abbiamo la pubblicazione dell’Amoris letitia e abbiamo delle domande che sono state sollevate. Adesso sappiamo di più su sugli insegnamenti della Chiesa e sulla coscienza, come mai prima d’ora. La comprensione della pedagogia divina è molto utile per capire come Dio sta operando nella vita delle persone. C’è stato questo bellissimo articolo da Stephen Walford su Vatican Insider, riguardo il magistero, il ministero petrino e la possibilità che il Papa potesse essere in errore su alcune cose.Un documento molto utile. Sullo sviluppo della dottrina tutto è stato molto ben spiegato dal professor Rocco Buttiglione, in un bellissimo articolo. Ecco, un certo numero di persone si è fatto avanti e ci ha aiutato a capire ancora meglio ciò che il Papa sta dicendo. Tutto ciò è stato possibile perché c’erano delle domande. Fa parte del modo con cui la Chiesa cerca di capirsi nei momenti di polemica. Dunque non sono preoccupato per questo. Credo che le risposte di tutte queste persone siano state molto buone. Credo che Amoris letitia sia molto chiara e soprattutto sia un documento magisteriale. Sono sicuro che i miei fratelli vescovi e cardinali negli Stati Uniti credano fermamente che si tratti di un insegnamento magisteriale. Ma è importante riconoscere che grazie a tutto questo dibattito c’è stata una maggiore attenzione verso l’Amoris letitia, che mai ci sarebbe stata senza le polemiche. Sempre più persone stanno leggendo quel documento». 

Che cosa pensa della “correzione formale” al Papa di cui parla soltanto uno dei quattro porporati dei “dubia”, il cardinale Burke?

«Non so che cosa intendesse esattamente fare con quella affermazione, ma di certo penso che non sia di competenza di una sola persona o di un cardinale dire che il Papa sia in errore e debba essere corretto. L’articolo di Walford mi sembra che denunci questo modo assolutamente inappropriato di affrontare la questione. Il Santo Padre ha un ministero speciale che non può essere ignorato. Inoltre credo che il numero di persone le quali sostengono che il documento non è chiaro o si oppongono ad alcune sue parti, sia esiguo. Anche se fa molto rumore». 

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