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Che differenza c’è tra sedazione profonda e eutanasia?

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Gelsomino Del Guercio - Aleteia - pubblicato il 18/02/17
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Il caso di Dino Battamin, malato di Sla, ha aperto un dibattito che in realtà va chiarito nei giusti terminiNon c’entra l’eutanasia, e men che meno il testamento biologico, e non ha niente a che vedere con Piergiorgio Welby o Eluana Englaro la morte di Dino Bettamin, il malato terminale di SLA che è stato accompagnato nei suoi ultimi giorni di vita da trattamenti palliativi, come previsto dalle nostre leggi e dai protocolli sanitari.

Tutto il chiasso, gli articoli, i proclami che si fanno intorno al povero Bettamin sono pure strumentalizzazioni, per cercare di creare un clima di consenso intorno a un obiettivo, l’eutanasia, che di consenso popolare in realtà ne ha ben poco (L’Occidentale, 15 febbraio).

COSA E’ L’EUTANASIA

Infatti, per eutanasia, secondo classica e condivisa definizione, s’intende un’azione o un’omissione che di natura sua, o nelle intenzioni, procura la morte, allo scopo di eliminare ogni dolore. L’eutanasia si situa, dunque, al livello delle intenzioni e dei metodi usati. Recentemente, il Comitato Nazionale per la Bioetica (Cnb) ha elaborato un parere sulla sedazione palliativa profonda continua nell’imminenza della morte, di cui è opportuno richiamare alcuni aspetti salienti.

COSA E’ LA SEDAZIONE PROFONDA

La “sedazione profonda” è compresa nella medicina palliativa e fa ricorso alla somministrazione intenzionale di farmaci, alla dose necessaria richiesta, per ridurre fino ad annullare la coscienza del paziente allo scopo di alleviare sintomi fisici o psichici intollerabili e refrattari a qualsiasi trattamento (dispnea, nausea e vomito incoercibile, delirium, irrequietezza psico-motoria, distress psicologico o esistenziale, senso di soffocamento) nelle condizioni di imminenza della morte con prognosi di ore o pochi giorni per malattia inguaribile in stato avanzato e previo consenso informato.

ELIMINA DOLORE E SOFFERENZA

Rigorosi i criteri per l’applicazione delle procedure, da registrare in cartella clinica, che esigono proporzionalità e monitoraggio dei farmaci usati. Ciò significa che, così definita e praticata, la sedazione profonda non rientra nell’ambito di un procedimento eutanasico perché, avendo per scopo l’eliminazione di dolore e sofferenze, non è un’azione o una omissione che, anche nelle intenzioni, vuole procurare la morte (The Huffington Post, 16 febbraio).

LE VALUTAZIONI DEL PAZIENTE

Ma la scelta di “dormire” fino al decesso spetta solo al paziente? E il medico, può rifiutarsi di procedere con il trattamento? Luciano Orsi, esperto di cure palliative, risponde a The Post Internazionale (16 febbraio):

«La decisione finale è condivisa tra un paziente cosciente e in grado di relazionarsi, che deve dare il proprio consenso, e il gruppo di medici, infermieri e psicologi che si occupa del trattamento palliativo. Dato che l’equipe sanitaria prende in carico la persona malata negli ultimi mesi di vita, se l’assistito lo desidera ha tutto il tempo per confrontarsi con chi gli sta vicino ogni giorno, dunque valutare, anticipare una scelta e poi dare il consenso nella fase finale. Più che una decisone, è un processo decisionale, maturato insieme passo dopo passo, in cui è fondamentale l’intesa, l’alleanza terapeutica tra il malato e coloro che lo assistono».

IL RUOLO DEL MEDICO

Detto questo, prosegue Orsi, «se il paziente ha espresso la volontà di arrivare a una sedazione profonda, stento a credere che un medico possa rifiutarsi di procedere in tal senso: dal punto di vista etico e deontologico non può lasciare il malato in uno stato di sofferenza a cui non c’è rimedio. Sarebbe ammissibile, invece, il caso in cui un medico che non ha mai somministrato la sedazione profonda passi la mano a un collega esperto».