La scelta coraggiosa dei genitori ha incoraggiato altre persone a scegliere la vita per i loro bimbi ancora non natiQuando l’ecografista ha smesso di fare conversazione ed è andato a chiamare un medico perché desse un’occhiata ai risultati, è stato il primo segno del fatto che quella gravidanza sarebbe stata diversa.
Il medico è entrato nella stanza, ha eseguito una seconda visualizzazione e non ha esitato a dire ad Abbey e Robert Ahern QUANTO sarebbe stata diversa.
“Quello che devo dirvi non è facile, e allora è meglio dirlo e basta”, ha iniziato. Poi ha detto alla coppia che la figlia era affetta da anencefalia.
“Ha spiegato che nei primi stadi dello sviluppo il tubo neurale non si era chiuso del tutto, e quindi la nostra bambina non aveva una notevole porzione del cuoio capelluto e del cervello”, ha affermato Abbey. “Ha continuato dicendoci che questa condizione era ‘incompatibile con la vita’. Se la nostra bambina ce l’avesse fatta a nascere sarebbe morta poco dopo”.
Ma gli Ahern sono andati avanti. “Volevo che ogni secondo che potessi avere con questa bambina, dentro o fuori dal grembo, contasse”, ha scritto Abbey sul suo blog.
Un’amniocentesi ha confermato la diagnosi, ma la coppia ha perseverato. Ha deciso di chiamare la figlia Annie Rachel e di fare tutto ciò che poteva per darle la possibilità di nascere.
“All’inizio il medico della diagnosi prenatale e il mio ginecologo ci hanno detto che potevamo discutere delle nostre ‘opzioni’ una volta che avessimo digerito la notizia”, ha scritto Abbey. “Anche se non l’hanno mai detto, so che ci stavano offrendo l’opportunità di porre fine alla gravidanza, ma per noi non era assolutamente un’opzione da prendere in considerazione”.
Nessuno nella comunità medica ha cercato di far cambiare idea alla coppia, ha sottolineato Abbey in un articolo su Good Housekeeping. “Ma ogni volta che lo dicevo a certi familiari e amici chiedevano: ‘Siete sicuri che sia quello che volete fare?’ Dal loro sguardo capivano che pensavano che fosse irresponsabile o si chiedevano perché non lasciavamo stare e non mettevamo fine alla gravidanza. Perfino entrambe le mie sorelle mi hanno detto in seguito che pensavano che fossimo pazzi a voler portare a termine la gravidanza”.
Annie è nata con parto cesareo il 26 giugno 2013 e ha vissuto meno di 15 ore, dando agli Ahern, alle loro altre due figlie e ad amici e conoscenti la possibilità di conoscerla, coccolarla e scattarsi delle foto con lei.
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Abbey ha descritto sul suo blog gli ultimi momenti di vita di Annie alla fine di una lunga giornata iniziata nella cappella dell’ospedale:
“Erano circa le 23.00. Robert era seduto sul letto con Annie in bracco, e io ero seduta a sorseggiare una minestra. All’improvviso ho sentito Annie rantolare. Mi sono girata e l’ho guardata, e lei ha rantolato di nuovo. L’ho strappata a Robert, l’ho guardata negli occhi e ho capito. Abbiamo premuto il bottone per chiamare l’assistenza ed è arrivata l’infermiera. Ricordo di aver detto: ‘Penso che sia il momento’. Mi ha chiesto se volevo che andasse a chiamare la nostra famiglia e le ho detto di sì. Robert ed io abbiamo pregato per nostra figlia, ma in quel momento eravamo molto meno disperati. Annie aveva lottato per stare con noi tutta la giornata ed era stanca. Dio le aveva permesso di trascorrere con noi molto più tempo di quello che avevo sognato, e ne eravamo grati. Era stata una giornata perfetta, e andava bene che tornasse a casa. La nostra famiglia è entrata in silenzio nella stanza e si è messa in piedi accanto a noi. Ho ringraziato Annie per avermi cambiata. Le ho detto che le volevo bene innumerevoli volte. E poi l’ho vista andare via”.
“Annie ci ha lasciato alle 23.34 dello stesso giorno in cui era arrivata tra noi. Siamo riusciti a trascorrere le 14 ore e i 58 minuti più splendidi e pieni d’amore con nostra figlia e la nostra famiglia, e nessuno di noi sarà mai più lo stesso. Dopo che il medico ha dichiarato la sua morte, tutta la nostra famiglia ha pregato per lei e ha chiesto a Dio di accoglierla. Poi tutti ci hanno abbracciati e ci hanno lasciati soli con Annie. Abbiamo avuto più di un’ora con lei mentre sistemavano tutto in sala operatoria per la donazione degli organi. In quel lasso di tempo l’ho tirata fuori dalle copertine e ho ammirato ogni centimetro di lei. Mi sono stesa e me la sono appoggiata sul petto, e ho accarezzato la pelle morbida della sua schiena. L’ho tenuta in braccio mentre Robert abbracciava me. C’è stata così tanta pace in quel momento che si può spiegare solo con una presenza divina. Dio era lì. Aveva risposto a ogni nostra preghiera. Ci ha dato forza, resistenza, gioia, tempo, la Sua presenza, e ha guarito la mia bambina e l’ha portata a casa.
Anche se gli Ahern avevano concordato con l’ospedale la donazione degli organi, gli organi vitali di una persona come il cuore, i polmoni e il fegato non possono essere rimossi finché la persona non viene dichiarata morta. Il criterio usuale è la “morte cerebrale”, ma i bambini anencefalici mancano della maggior parte del cervello, e quindi i medici devono attendere la morte cardiaca, il che fa rischiare la perdita degli organi vitali.
La donazione dei tessuti è tuttavia possibile. I medici sono riusciti a usare le valvole cardiache di Annie per donarle e altri organi a scopo di ricerca.
Ma la donazione di organi non è stata la motivazione principale di Abbey.
“La nostra motivazione principale per farla nascere era che si trattava di nostra figlia e volevamo conoscerla, stringerla e trascorrere con lei tutto il tempo che Dio ci avrebbe concesso”, ha dichiarato in un’intervista. “Abbiamo portato a termine la gravidanza perché le volevamo bene e volevamo darle qualsiasi possibilità avesse, e dare a Dio la possibilità di compiere dei miracoli attraverso di lei, e anche se non è sopravvissuta abbiamo constatato molti miracoli. La donazione di organi è solo qualcosa che abbiamo fatto perché è morta”.
Ci sono stati altri modi oltre alla donazione di organi e tessuti con cui Annie ha dato vita. Il giorno in cui è uscito l’articolo sul Good Housekeeping, una donna di Oklahoma City ha ricevuto una diagnosi di anencefalia della figlia che portava in grembo. Il medico che ha fatto nascere Annie ha chiamato Abbey e le ha suggerito di entrare in contatto con quella donna per rispondere alle domande che poteva avere.
La coppia “stava ancora ragionando per decidere cosa fare”, ha detto Abbey. “La donna ha detto che l’articolo aveva reso la sua decisione più difficile. Hanno pensato: ‘Mio Dio, non solo dovremo portare a termine questa gravidanza. Dovremo anche pianificare un funerale e vederla morire’”.
Ma la coppia ha detto di aver “capito che era quello che volevano fare”, ha proseguito Abbey. “E ora pensano di portare a termine la gravidanza e di donare gli organi della figlia”.
Forse, però, l’effetto più grande di Annie è stato quello sui genitori e sulle sorelle, e soprattutto sulla mamma.
“Annie mi ha avvicinata al Signore, perché non avevo mai dovuto lasciar andare tutto e confidare totalmente in Lui”, ha confessato Abbey. “Abbiamo denaro, casa e famiglia, e a volte è difficile lasciar andare e confidare solo nel Signore, ma è quello che abbiamo fatto io e mio marito, perché non avevamo niente. Annie mi ha resa più vulnerabile”.
Tutta questa esperienza di perdita le ha anche dato una maggiore empatia nei confronti degli altri. Era preoccupata del fatto che la gente evitasse di parlarle della sua perdita, probabilmente perché le persone non si sentono a proprio agio e non sanno cosa dire.
“Se so che hai qualche problema ti chiedo qualcosa, perché la cosa più dolorosa è non dire nulla”, ha affermato. “Niente può farmi più male del vedere la mia bambina morire, e allora non abbiate paura di dire qualcosa”.
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Mentre Abbey lavorava nei mesi successivi sul suo dolore, ha iniziato a sentire gli amici reagire alla sua predisposizione sempre più positiva. “È bello riavere la vecchia Abbey”, dicevano. Ma non era la vecchia Abbey, ma una nuova.
“La nuova me stessa ha legami con innumerevoli altre donne che hanno subito una perdita e non è più terrorizzata dalla vulnerabilità”, ha spiegato. “La nuova me ha un rapporto ben più profondo con Dio, perché ho vissuto un momento in cui non ce l’avrei fatta senza la fede”.
“Quella di Annie è una storia di speranza. Penso che mostri alle persone che in mezzo a una tragedia ci può essere la bellezza. Annie non era una cosa che dovevamo tenere per noi. La sua storia doveva essere condivisa, e intendo farlo fino al giorno della mia morte”.
Una diagnosi prenatale di una condizione terminale è devastante per qualsiasi genitore, e circostanze di questo tipo culminano spesso nella decisione di affrettare la morte del bambino attraverso l’aborto.
Esistono però delle risorse per assistere i genitori che decidono di portare a termine la gravidanza, anche con la prospettiva di una vita molto breve dopo la nascita. Consultate il sito de La Quercia Millenaria.
[Traduzione dall’inglese a cura di Roberta Sciamplicotti]