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Migranti, allarme di Caritas e Migrantes per l’accordo con Libia

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Vatican Insider - pubblicato il 07/02/17

L’intesa Italia-governo di al-Sarraj per fermare i flussi migratori è vista con preoccupazione da varie organizzazioni umanitarie. Si temono violazioni dei diritti umani

di Francesco Peloso

Desta allarme e preoccupazione fra le organizzazioni umanitarie, comprese quelle ecclesiali come Caritas e Migrantes, il nuovo accordo sottoscritto fra Italia e il governo libico di Fayez al-Sarraj (che controlla però solo una parte del Paese) con il sostegno dell’Ue, per fermare i flussi di profughi diretti verso l’Italia. In base all’intesa raggiunta, l’Italia favorirà il rafforzamento di mezzi della guardia costiera libica e un suo maggiore addestramento, al contempo dovrebbe essere fornita assistenza alle autorità del Paese nordafricano per accogliere i profughi provenienti dall’Africa sub-sahariana in strutture adeguate. L’obiettivo sulla carta e nelle intenzioni dei governi dell’Ue, è quello di chiudere la frontiera nord libica e di bloccare l’immigrazione irregolare e il traffico di esseri umani, il tutto ampliando i centri in cui vengono raccolti i migranti per poi gestire i rimpatri assistiti. E tuttavia l’Unhcr, l’Alto Commissariato dell’Onu peri rifugiati, e l’Oim, l’Organizzazione internazionale delle Migrazioni (organismi che pure dovrebbero essere coinvolti nella gestione del piano di accoglienza dei rifugiati in Libia, nelle intenzioni del governo italiano) ritengono che «nella situazione attuale, la Libia non possa essere considerato un paese terzo sicuro, né si possano avviare procedure extra-territoriali per l’esame delle domande di asilo in nord Africa». Considerazione resa nota congiuntamente dai due organismi a ridosso del recente vertice dell’Ue svoltosi a La Valletta (Malta), dove l’accordo è stato condiviso dall’Ue.

Inoltre l’Unhcr e l’Oim, pur dichiarandosi pronti a fare di tutto per migliorare le condizioni di accoglienza dei profughi in Libia, hanno rivolto un appello: «Chiediamo che in Libia venga immediatamente abbandonata una gestione dei flussi migratori basata sulla detenzione automatica di rifugiati e migranti in condizioni disumane, e si costruiscano, invece, adeguati servizi di accoglienza. I centri di prima accoglienza devono offrire condizioni sicure e dignitose, anche per i minori e le vittime di tratta, e rispettare le garanzie di protezione fondamentali».

La Caritas ha sollevato obiezioni di fondo rispetto all’accordo, mettendo in luce come si verifichino tuttora gravi violazioni dei diritti umani poiché in Libia «sono presenti ancora oggi carceri per migranti dove si verifica quello che nessuno a volte riesce neanche ad immaginare», ha spiegato Oliviero Forti, responsabile immigrazione dell’organizzazione in Italia. «Cerchiamo ancora oggi di capire – ha proseguito – come un governo o dei governi europei possano stringere rapporti con un Paese che peraltro non ha neanche un governo stabile, nella misura in cui, come sappiamo, al-Sarraj è il riferimento per l’Europa ma non per il popolo libico».

Per fermare l’immigrazione irregolare al contrario, è necessario aprire «canali legali e sicuri di ingresso; solo sottraendo merce ai trafficanti – e in questo caso la merce sono donne, uomini e bambini – probabilmente possiamo indebolire queste reti criminali«. «Nel momento in cui invece – ha osservato Forti – blocchiamo queste persone nel Paese di transito – la Libia – rimettiamo in moto un meccanismo di traffico che alzerà il livello del rischio per tutti; aumenterà i costi di questi viaggi cosiddetti “irregolari”: quindi sarà un’operazione a perdere per tutti».

Secondo il direttore della Fondazione Migrantes della Cei, monsignor Giancarlo Perego, inoltre, ci sono rischi legati anche alla forte instabilità politica della Libia che non vanno sottovalutati. Di fatto, ha osservato Perego, l’accordo potrebbe avere come effetto non previsto, quello di «spostare il traffico di esseri umani da Tripoli a Bengasi, in un contesto che è governato da altre forze politiche. E quindi da questo punto di vista temo che l’accordo non avrà nessuna efficacia in ordine alle partenze, che tra l’altro oggi avvengono anche a ovest, dall’Atlantico».

Inoltre, ha spiegato Perego «in Libia mancano realisticamente le condizioni per poter accogliere i migranti in un contesto di tutela dei loro diritti», e sono assenti «le condizioni minimali per creare effettivamente le possibilità di un rimpatrio verso i paesi di provenienza». In tale contesto potrebbero nascere «nuove rotte, ancora più pericolose, con una crescita dei morti».

Da più parti si sottolinea il fallimento della strategia di ricollocamento dei profughi all’interno dei vari paesi europei, l’incapacità di rivedere gli accordi di Dublino in base alla quale tale politica avrebbe dovuto prendere il via. D’altro canto l’intesa con la Libia nasce da una situazione sempre più critica: nel corso del 2016 ben 180mila profughi sono sbarcati sulle coste italiane, e circa 100mila sono state le richieste di asilo. L’Ue sembra allora intenzionata a costruire una sorta di sbarramento già in Libia, ma appunto questa opzione, ha numerose e serie controindicazioni. L’accordo sottoscritto fra Italia e Liba, peraltro, ricalca da vicino, secondo osservatori e organizzazioni umanitarie, quello sottoscritto dai governi italiani con la Libia dai governi Berlusconi e Monti nel 2008 e nel 2012.

«Speriamo – ha detto in conclusione Perego – che questo accordo possa essere rivisto, prevedendo ciò che è veramente necessario oggi: vie legali d’ingresso nel continente europeo, rafforzamento della tutela da subito, rimpatrio assistito e, al tempo stesso, quel “Piano Marshall” annunciato più volte, che possa portare a condizioni accettabili di vita sociale, educativa, scolastica e sanitaria nei paesi di partenza, oltre alla cessazione di quelle guerre che, in diversi paesi africani, costringono alla fuga milioni di persone».

Sulla stessa lunghezza d’onda, d’altro canto, si trovano varie altre organizzazioni impegnate nella difesa dei diritti umani o sul piano umanitario, fra queste Medici senza Frontiere (Msf); Arjan Hehenkamp, uno dei direttori generali dell’organizzazione, appena rientrato da una missione in Libia dove ha potuto visitare diverse persone detenute a Tripoli, ha affermato: «L’Unione europea e i suoi stati membri devono prendere atto della realtà. La Libia non è un paese sicuro, per questo non possiamo considerare questa proposta come un approccio umano alla migrazione».

«La legge e l’ordine – ha aggiunto – sono al collasso in Libia. Le persone provenienti da paesi dell’Africa sub-sahariana sono arrestate e tenute in detenzione senza processo legale, senza alcun modo per opporsi o fare ricorso, e senza contatto con il mondo esterno. I detenuti mi hanno pregato di contattare le loro famiglie per far sapere che erano ancora vivi. Non avevano idea di quale sarebbe stato il loro destino, sebbene fossero già imprigionati da mesi ormai».

Secondo Medici senza Frontiere, a Tripoli e nella zona circostante, «anche le strutture in migliori condizioni non rispettano gli standard stabiliti dal Diritto internazionale sull’asilo e dagli strumenti regionali. Le persone sono detenute in condizioni inumane. Senza luce o ventilazione, con scarso accesso a acqua potabile, e spazi altamente sovraffollati. L’assenza di dignità è sconvolgente». In effetti le denunce delle varie organizzazioni impegnate su questo fronte, da Caritas a Msf a Amnesty international («c’è rischio tortura e sfruttamento»), concordano su questo punto decisivo: i rifugiati sono sottoposti spesso a violenze, stupri, ricatti, detenzioni illegali in Libia; un quadro che è lo stesso da diversi anni e che pone problemi seri alla comunità internazionale.

QUI L’ARTICOLO ORIGINALE

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