La Chiesa sostiene che il Papa è infallibile. Eppure nel passato ci sono stati giudizi ingiusti e insegnamenti scientificamente sbagliati. E in varie occasioni un Papa ha cambiato opinione rispetto ai suoi predecessori. Come si può affermare allora l’infallibilità?
Claudio Ridolfi
Risponde don Alessandro Clemenzia, docente di Teologia sistematica alla Facoltà teologica dell’Italia centrale.
La domanda, così come è stata posta, richiede una chiarificazione del significato di infallibilità. Solo in questo modo si può tentare di dare una risposta. L’asserto iniziale, a mo’ di postulato, è il seguente: non tutto ciò che il Papa dice è infallibile.
Per motivi di spazio non è possibile illustrare l’interessantissimo contesto storico in cui è stato proclamato il dogma dell’infallibilità, che ne spiegherebbe tra l’altro le motivazioni; basti qui far presente che si parla di essa nel quarto capitolo della Costituzione dogmatica del Concilio Vaticano I, denominata Pastor aeternus: proprio lì viene spiegato quali sono le condizioni circa il soggetto, l’oggetto e l’atto in base a cui un insegnamento del Papa può definirsi «infallibile».
Il punto di partenza della riflessione, tuttavia, non può essere il Vaticano I, ma quello spirito che ha animato la Chiesa delle origini già a partire dal I e II secolo d. C., vale a dire una chiara, seppure non sempre esplicita, consapevolezza dell’inerranza della fede, che consiste nel credere che l’assistenza dello «Spirito di verità» (come afferma il Vangelo di Giovanni: 14,17; 15,26; 16,13), promessa da Gesù, possa innervare costantemente la Chiesa, tanto da preservarla da ogni possibile errore circa la fede. L’infallibilità, in questo senso, indica il modo in cui il Magistero rimane ancorato e immerso nella verità di Cristo, partecipando nella storia all’infallibilità della Parola di Dio.
Molto spesso, soprattutto per la nostra sensibilità attuale, l’infallibilità viene colta come l’espressione massima di cosa sia un dogma, vale a dire qualcosa di cui non si può né discutere né mettere in discussione. Eppure, tra tutti quelli pronunciati lungo i secoli, quello dell’infallibilità è un dogma tutto particolare, perché la sua attuazione richiede dei criteri ben precisi; mentre alcune affermazioni cristologiche, trinitarie e mariologiche che ci provengono dal passato hanno una valenza a prescindere da tutto, si deve affermare che non tutto ciò che il Papa dice è infallibile, ma ci sono alcune chiare limitazioni. Ci sono prima di tutto delle condizioni circa il soggetto, cioè colui che esercita tale forma di insegnamento: si tratta di decisioni dottrinali asserite ex cathedra; non è quindi infallibile la persona del Papa, ma lo sono alcuni atti del suo ministero. Condizioni circa l’oggetto, vale a dire l’ambito d’esercizio dell’infallibilità: si ha a che fare con la definizione di una dottrina riguardante esclusivamente la fede e i costumi. Se non si verificano questi due elementi, non si può ricorrere a questa forma «straordinaria» di insegnamento, diversamente da quella «ordinaria», in cui il Papa parla comunque in modo vincolante, senza pretesa tuttavia d’esprimersi con assenza di errori. Si tratta di una modalità d’azione così particolare che quando vuole essere esercitata va chiaramente espresso; e ciò è avvenuto una volta soltanto dopo il Vaticano I: per la definizione di Pio XII della glorificazione di Maria con l’assunzione al cielo in anima e corpo (1950).
L’infallibilità, inoltre, non è «privata»: appartiene all’universale infallibilità della fede della Chiesa, di cui il Papa è testimonianza ed espressione concreta in alcune precise asserzioni dottrinali definitive. Queste ultime sono «irreformabili» per se stesse: non devono passare per un successivo consenso della Chiesa o per l’accettazione di un’istanza giuridica a lui superiore; ciò non vuol dire naturalmente che il Romano Pontefice non debba mettersi in ascolto della riflessione ecclesiale attuale, anzi: rimane sempre aperto il principio, ben espresso nella Lumen Gentium del Concilio Vaticano II, per cui la totalità dei fedeli che hanno ricevuto l’unzione dello Spirito Santo (cfr. 1Gv 2,20 e 27) non può sbagliarsi nel credere.
Questo significa principalmente che l’infallibilità del Papa, in modo diametralmente opposto all’uso comune e giornalistico del termine, ha un valore relazionale, in quanto è legato tanto all’ascolto della totalità dei fedeli, quanto a quella verità che non proviene da un consenso ecclesiale interno, ma scaturisce dalla Parola di Dio: è una verità ricevuta.
Prima di terminare vorrei completare la mia risposta attraverso altri due postulati. Il primo: ogni dogma, pur rimanendo sempre valido, va interpretato all’interno del contesto storico in cui è stato pronunciato; e questo vale ancora di più per pronunciamenti magisteriali che non hanno alcun valore dogmatico, per cui scorgere «insegnamenti scientificamente sbagliati» è possibile soltanto in una lettura a-posteriori. Il secondo: il dogma è sia il punto d’arrivo d’una riflessione ecclesiale già avviata e considerata una verità di fede, sia il punto di partenza d’ogni altra successiva indagine, in quanto esso non limita l’intelligenza di chi indaga, ma le offre delle coordinate stabili e coerenti, al di fuori delle quali si rischia, soprattutto col passare dei secoli e nell’universalità dello spazio, di dire tutto e il contrario di tutto