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“L’estremismo fondamentalista si radica nell’ingiustizia”

Vatican Insider - pubblicato il 27/01/17

L’estremismo fondamentalista rappresenta una «tragica sofferenza» che si radica «più facilmente» in «contesti di povertà, ingiustizia ed esclusione sociale, dovute anche all’instabilità generata da interessi di parte, spesso esterni, e da conflitti precedenti, che hanno prodotto condizioni di vita miserevoli, deserti culturali e spirituali nei quali è facile manipolare e istigare all’odio». È l’analisi consegnata dal Papa ai membri della commissione mista internazionale per il dialogo teologico tra la Chiesa cattolica e le Chiese Ortodosse orientali (siriaca antiochea, armena apostolica, copta, eritrea, etiope, siriaca malancarese) nel corso di un’udienza durante la quale ha ribadito l’importanza dell’ecumenismo del sangue: i martiri «hanno raggiunto la piena unità, e noi cosa aspettiamo?». 

«Molti di voi – ha detto Francesco in un passaggio del suo discorso – appartengono a Chiese che assistono quotidianamente all’imperversare della violenza e ad atti terribili, perpetrati dall’estremismo fondamentalista. Siamo consapevoli che situazioni di così tragica sofferenza si radicano più facilmente in contesti di povertà, ingiustizia ed esclusione sociale, dovute anche all’instabilità generata da interessi di parte, spesso esterni, e da conflitti precedenti, che hanno prodotto condizioni di vita miserevoli, deserti culturali e spirituali nei quali è facile manipolare e istigare all’odio. Ogni giorno le vostre Chiese sono vicine alla sofferenza, chiamate a seminare concordia e a ricostruire pazientemente la speranza, confortando con la pace che viene dal Signore, una pace che insieme siamo tenuti a offrire a un mondo ferito e lacerato». 

«Se un membro soffre, tutte le membra soffrono insieme», scriveva san Paolo: «Queste vostre sofferenze – ha proseguito il Papa – sono le nostre sofferenze. Mi unisco a voi nella preghiera, invocando la fine dei conflitti e la vicinanza di Dio per le popolazioni provate, specialmente per i bambini, i malati e gli anziani. In modo particolare ho a cuore i vescovi, i sacerdoti, i consacrati e i fedeli, vittime di rapimenti crudeli, e tutti coloro che sono stati presi in ostaggio o ridotti in schiavitù», ha detto il Papa, senza esplicitare il riferimento a casi quali l’arcivescovo greco-ortodosso di Aleppo, Paul Yazigi, e l’arcivescovo siriaco ortodosso Yohanna Ibrahim, rapiti fra il 22 e il 23 aprile 2013, e il gesuita Paolo Dall’Oglio, sparito in Siria a fine luglio dello stesso anno. 

«Possano essere di forte sostegno alle comunità cristiane l’intercessione e l’esempio di tanti nostri martiri e santi, che hanno dato la coraggiosa testimonianza a Cristo e hanno raggiunto la piena unità, e noi – ha aggiunto il Papa – cosa aspettiamo? Essi ci rivelano il cuore della nostra fede, che non consiste in un generico messaggio di pace e di riconciliazione, ma in Gesù stesso, crocifisso e risorto: Egli è la nostra pace e la nostra riconciliazione. Come discepoli suoi, siamo chiamati a testimoniare ovunque, con fortezza cristiana, il suo amore umile che riconcilia l’uomo di ogni tempo. Laddove violenza chiama violenza e violenza semina morte, la nostra risposta è il puro fermento del Vangelo, che, senza prestarsi alle logiche della forza, fa sorgere frutti di vita anche dalla terra arida e albe di speranza dopo le notti del terrore. Il centro della vita cristiana, il mistero di Gesù morto e risorto per amore, è il punto di riferimento anche per il nostro cammino verso la piena unità. I martiri, ancora una volta, ci indicano la via: quante volte il sacrificio della vita ha portato i cristiani, altrimenti divisi in molte cose, ad essere uniti. Martiri e santi di tutte le tradizioni ecclesiali sono già in Cristo una sola cosa; i loro nomi sono scritti nell’unico e indiviso martirologio della Chiesa di Dio. Sacrificatisi per amore in terra, abitano l’unica Gerusalemme celeste, vicini all’Agnello immolato. La loro vita offerta in dono ci chiama alla comunione, a camminare più speditamente sulla strada verso la piena unità. Come nella Chiesa primitiva il sangue dei martiri fu seme di nuovi cristiani, così oggi il sangue di tanti martiri sia seme di unità fra i credenti, segno e strumento di un avvenire in comunione e in pace».  

Al Papa il metropolita Nicola Bishoy, che ha introdotto l’udienza, ha donato un’icona di Maria che Francesco ha definito «significativa, per essere grembo del sangue di Cristo». Il Pontefice ha concluso il discorso invitando i capi delle Chiese ortodosse orientali, «se a voi sembra bene», a pronunciare «ognuno nella propria lingua» insieme il Padre Nostro. 

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