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Quella marcia in più che viene dai migranti

Vatican Insider - pubblicato il 24/01/17

Era emerso anche lo scorso autunno dal «Rapporto» annuale della Fondazione Moressa di Mestre e lo rivelava uno studio pubblicato da due docenti dell’università di Padova, Allievi e Dalla Zuanna: l’impatto economico del lavoro degli immigrati è una boccata d’ossigeno per il nostro sistema previdenziale a rischio per la scarsità di giovani. Una situazione che accomuna tanti paesi in un’Europa che sta rapidamente invecchiando.  

A ribadirlo, questa volta, è la Caritas Europa – l’organismo che raccoglie 16 Caritas nazionali più rappresentanti di Caritas internationalis – in un documento che costituirà la base di discussione per una tavola rotonda che si terrà a Bruxelles il 25 gennaio con la presentazione di alcuni esempi di buone pratiche di integrazione – sensibilizzazione delle comunità, aiuto nella ricerca di alloggi e nelle opportunità del mercato del lavoro, consulenza legale, assistenza linguistica e sostegno psico-sociale – pratiche che potrebbero essere «estese a livello di singoli stati e diffuse in tutta Europa», come auspica il segretario generale, Jorge Nuño Mayer nell’introduzione. 

Per l’Europa multiculturale di oggi è di vitale importanza che ai migranti venga offerta adeguata accoglienza e opportunità di integrazione e lavoro così da poter contribuire alla crescita sociale, culturale ed economica della società europea e occorre tener conto che ai migranti vengono offerti (spesso ignorando qualsisia titolo di studio, anche accademico) i cosiddetti «ddd jobs», vale a dire «dirty, dangerous and demeaning», i lavori sporchi, pericolosi e umilianti, lavori a bassa qualifica, spesso rifiutati dagli europei.  

L’ultimo lavoro dell’organismo ecclesiale di promozione della carità, uscito nelle tre lingue ufficiali – inglese, francese e tedesco – si intitola significativamente «Welcome-Bienvenue-Willkommen». Semplicemente «Benvenuti». Ma c’è di più: «I migranti rendono l’Europa più forte». Una tesi che Caritas griderebbe dai tetti ai quattro venti così da smentire quanti, per interessi di parte, affermano il contrario. Perché numerosi sono gli esempi di buona integrazione che promettono un futuro di convivenza pacifica e per noi europei anche decisamente fruttuosa. Nel Dossier si parla di barriere culturali, strutturali e socio-economiche che, strettamente interconnesse, ostacolano o che possono addirittura impedire l’integrazione dei migranti. All’analisi del dato di realtà seguono poi alcune proposte di soluzioni indirizzate ai responsabili delle decisioni politiche, ma non solo: si tratta infatti di promuovere (anche dal basso!) una nuova mentalità di accoglienza per giungere alla creazione di ambienti che favoriscano la partecipazione inclusiva, da una parte responsabilizzando i migranti e dall’altra costruendo una società europea di accoglienza per operare insieme verso un’Europa sempre più coesa. 

Ora, anche sgombrato il campo da ostacoli di natura ideologica e populistica, il compito si presenta tutt’altro che facile – come spiega il segretario generale – in quanto negli ultimi anni di crisi economica le politiche dei governi si sono orientate verso l’austerità con il conseguente aumento dei problemi (spesso inadempienze) legati all’integrazione. Spesso è accaduto che la politica usasse l’argomento economico come alibi per non intervenire con adeguati stanziamenti nei confronti dei più vulnerabili della società, sia locali che migranti. «Il punto di vista di Caritas Europa per giungere ad una società europea più inclusiva è che l’integrazione dei migranti sia basata sul dialogo e sulla condivisione di responsabilità e diritti di ciascuno», si legge nella premessa dove si ricorda che l’organismo interviene, di norma, per fornire un iniziale supporto necessario a quanti arrivano. Il problema è che i governi si affidano alle organizzazioni umanitarie per colmare le loro lacune, ma poi faticano a far seguire la progettazione di piani nazionali di integrazione, messa a punto di politiche di accoglienza e la promozione di società inclusive. Come dire: la sfida è ancora tutta sul tappeto e pochi si stanno accingendo a raccoglierla. Non c’è tempo da perdere, però, in quanto il successo dei processi di integrazione necessita di reti dinamiche che coinvolgano, a vari livelli, soggetti diversi. 

L’intento della pubblicazione, che offre un autentico ventaglio colorato di esperienze diverse, è quello di mostrare come il lavoro con i migranti chiamati ad essere soggetti – inteso come la responsabilizzazione in prima persona – sia altrettanto importante di quello della sensibilizzazione delle comunità così da modificare modi di pensare e comportamenti. E alcuni di questi esempi mostrano altresì come l’obiettivo si possa raggiungere spesso anche a fronte di una scarsa disponibilità di risorse. 

Non esiste, però, alcuna possibilità di reale integrazione senza la rimozione degli ostacoli che si frappongono: le barriere incontrate da chi arriva e i pregiudizi e le chiusure dei residenti. Per i primi si tratta di senso di precarietà e mancanza di punti di riferimento che portano di conseguenza a una perdita di autostima e incapacità di agire in modo indipendente, uniti a un senso di alienazione nei confronti del paese ospitante. 

Per la comunità dei residenti alto è il rischio di alzare il livello di disuguaglianza e discriminazione accanto alla limitazione del riconoscimento dei diritti dei migranti: ciò è strettamente legato alla percezione spesso negativa che la comunità di accoglienza mostra nei loro confronti. Quando è del tutto assente una comunità che si possa chiamare «inclusiva», spesso finisce per prevalere un clima di paura, una mancanza di fiducia e di solidarietà; voci non controllate e pregiudizi si diffondono facilmente e il risentimento risulta elevato. Sulla base delle esperienze di cui la Caritas è stata protagonista, si afferma che la nascita di ambienti ostili sia da ricondurre alle politiche nazionali (spesso con lacune di tipo strutturale), così come è alta la probabilità che ci si trovi di fronte a un sistema di protezione sociale inadeguato. D’altro canto, laddove siano presenti, nonostante le scelte diversificate a seconda della tipologia di Paese, sistemi efficaci di welfare in grado di fornire sostegno a persone vulnerabili, anche locali, queste meritino grande attenzione e necessaria diffusione (e in questo viene riconosciuto il necessario sostegno che deve provenire dai massmedia). 

«In un’Europa inclusiva e aperta al mondo – si legge nel Documento che cita il discorso di papa Francesco al Parlamento di Strasburgo – ciascuno deve poter vivere in un contesto di pace, libertà e solidarietà. Esiste un profondo rispetto per la diversità e ciascuno può contribuire alla creazione della comune casa europea». 

Tra gli esempi delle numerose esperienze di integrazione di successo si cita quella della Caritas basca in Spagna (80% di fondi pubblici e il restante da privati per una sensibilizzazione capillare sul territorio al fine di smontare pregiudizi e chiusure aumentando le occasioni di incontro), o quella del ramo giovani della Caritas tedesca che, all’insegna di «Benvenuti a voi, rifugiati» (53mila copie finora diffuse), ha attivato fin dal 2015 a Bochum dei laboratori-campi di lavoro per adolescenti e giovani mentre a Colonia sono gli studenti a facilitare gli spostamenti dei migranti e a Berlino hanno attivato corsi di lingue e appositi mercatini per il reperimento di libri e materiale scolastico. E poi ancora l’esperienza di Göteborg in Svezia con una sorta di sportello di orientamento gestito da universitari e giovani professionisti per pratiche legali, corsi di lingue (110 partecipanti solo nel 2015) e sostegno psicologico, attività di svago per i minori per un totale di oltre 1200 persone coinvolte alla settimana. 

L’elenco è lungo – creazione di cooperative sociali nei Paesi Bassi, opportunità di lavoro in un contesto internazionale e multiculturale in un hotel a Vienna, un progetto di condivisione gestito dai giovani di Lund in Svezia… – a testimonianza di buone pratiche esistenti (più che non si creda) che mostrano il volto migliore dell’Europa, quello che dovremmo tutti quanti impegnarci a far conoscere. Perché dove l’integrazione si è mostrata efficace (secondo l’Ocde, l’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo economico i migranti hanno occupato il 70% dei nuovi posti di lavoro creati in Europa negli ultimi dieci anni fornendo un contributo essenziale all’economia del continente) la società stessa, diventata più inclusiva e coesa, mostra anch’essa il suo lato migliore e si fa, come recita il titolo, «più forte» di fronte a ogni crisi. 

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