La prospettiva psico-antropologica di Sergio Premoli a confronto con quella religiosa“I piedi del figliol prodigo. Uno psicoanalista riflette sulle parabola della misericordia” (Àncora edizioni) è il testo di Sergio Premoli, psicanalista che affronta coraggiosamente la sfida di un confronto e di un dialogo mutuamente rispettoso su alcuni brani evangelici, relativi ad aspetti fondamentali della vita umana, secondo l’ottica laica della scienza psicologica e quella religiosa della fede.
«Una delle barriere particolarmente rigide, soprattutto nel nostro contesto socioculturale, è quella che si situa in corrispondenza delle scelte di fede religiosa, con il risultato di disegnare due campi distinti ma contrapposti tra loro: quello dei credenti e quello dei cosiddetti laici».
UN ORIGINALE DIALOGO TRA CREDENTI E LAICI
Il lavoro prende le mosse dall’esperienza personale di Premoli, condivisa tra gli altri con l’autore della prefazione don Virginio Colmegna, all’interno del gruppo di riflessione che si incontra mensilmente alla Cascina Baraggia di Sesto San Giovanni, “un consolidato gruppo di amici, che prova a valorizzare e riscoprire il senso dello scambio, a stimolare nuovi legami e percorsi innovativi”.
In questo ambito si incontrano persone di diverso orientamento culturale, religioso e professionale che, partendo spesso dalla lettura di un testo, si interrogano su tematiche di grande rilievo in una prospettiva originale rispetto ad analoghi tentativi del passato e del presente, che finiscono per contrapporre la visione dei credenti e quella dei laici.
«In questi tentativi di dialogo è sempre stato vivo il vincolo implicito, imposto all’intellettuale laico, di non occuparsi di materiali, e a volte anche di problemi, che non fossero di sua stretta competenza, come ad esempio le Sacre Scritture o alcuni problemi di natura religiosa e morale, nella convinzione che fossero da lasciare a chi, avendo fatto una scelta di fede, poteva vantare un’adeguata competenza in merito. Qui si vuole tentare una riflessione che non tenga conto di questo vincolo, in quanto il materiale utilizzato sarà costituito da frammenti di testi biblici neotestamentari che verranno accreditati non in quanto testi sacri ispirati, ma a partire dalla loro valenza (ritenuta condizione sufficiente) di «testi sapienziali», cioè di testi che hanno avuto nel passato, e mantengono nel presente, la forza di trattare alcune questioni riguardanti il vivere con la capacità di fornire significative indicazioni di senso».
LEGGI ANCHE: Un “revival” della parabola del figliol prodigo
LA SCELTA DI DIALOGARE ATTRAVERSO LE PARABOLE EVANGELICHE
L’autore ha trasposto questa modalità di dialogo nel libro, scegliendo come spunti di riflessione le due parabole del figliol prodigo e del samaritano, oltre alla preghiera del Padre Nostro, “testi” che trascendono l’ambito dei credenti in quanto patrimonio almeno culturale di respiro universale.
La loro “lettura” viene proposta…
«(…)senza finalità di confronto (che porterebbe inevitabilmente a uno scontro), con la prospettiva teorica della psicoanalisi. Non si tratta quindi di utilizzare una prospettiva laica, in questo caso la psicoanalisi, per «interpretare» un testo biblico, ma neanche di leggere la psicoanalisi alla luce della Bibbia. Questa modalità finirebbe per avere una valenza «riduzionista», nel senso di ridurre una prospettiva nel solco dell’altra e di impoverire il pensiero, che può invece trarre un arricchimento dal mettere al lavoro due linguaggi e due prospettive diverse, ma in grado di dialogare tra loro in libertà».
Le parabole sono state scelte in quanto in grado di illuminare due aspetti fondamentali dell’esistenza: quello delle relazioni familiari e delle relazioni sociali in senso più ampio.
LA PARABOLA DEL FIGLIOL PRODIGO
Nell’affrontare questa parabola, l’autore ne tenta una lettura che – senza contrapporsi alla consolidata visione religiosa del testo evangelico – ne amplia la prospettiva interpretativa adeguandola alla sensibilità psicologica e antropologica attuale.
«La parabola del figliol prodigo ci ha permesso di ripensare il concetto di peccato in modo da intenderlo non solo e non tanto come colpa verso un padre (anche con la maiuscola), quanto come presunzione indebita di essere gli unici padroni e gestori delle proprie risorse vitali, dimenticando la responsabilità di farne un uso nell’interesse di qualcosa di più ampio della semplice economia narcisistica individuale. Oltre a ciò, la parabola ci ha mostrato il rischio di stabilire un rapporto con la morale nella forma di un perbenismo (incarnato dalla figura del fratello maggiore) che promuove un atteggiamento di tipo giustizialistico, animato da invidia e rivalità più che da amore per la giustizia».
LA PARABOLA DEL BUON SAMARITANO
Anche rispetto a questa parabola l’autore, partendo dall’osservazione di un’inappropriata traduzione linguistica del testo greco, offre una sua lettura che mette in discussione la centralità del tema della compassione come leitmotiv del brano evangelico.
«La seconda parabola ci ha offerto la possibilità di fare luce sulla problematicità di una tradizione che, attraverso un’inappropriata traduzione linguistica, ha finito senza volerlo per distorcere il senso originario del messaggio a favore del primato della compassione. Come abbiamo potuto vedere, essa non è in grado di promuovere e sostenere un vero amore del prossimo, che abbiamo invece fondato su un’altra forma di amore, quello di carità, distinto, anche se non contrapposto, dall’amore di compassione».
LEGGI ANCHE: Settanta volta sette: la “cifra” del perdono
IL PADRE NOSTRO
La riflessione sulla seconda parte della preghiera per eccellenza dei cristiani porta l’autore a tentare una estensione della lettura del concetto di peccato, allargandola dalla sola dimensione della colpa a quella del “debito” che, in questa prospettiva, richiede un’adeguata e concreta riparazione nell’ambito della realtà, tenendo anche conto dell’”aggressione” che l’uomo moderno sta attuando nei confronti della natura.
“(…) La possibilità di scongiurare un simile esito l’abbiamo individuata nella necessità di una metànoia-conversione, di un cambio di modo di pensare, da attivare a partire dall’individuo fino a coinvolgere l’intera società, capace di integrare il concetto di peccato come colpa con quello di peccato come debito e di promuovere un’esperienza di pentimento non puramente simbolico e formale, ma caratterizzato da una vera decisione di cambiamento nello stile di vita, accompagnato da una reale e adeguata riparazione del danno provocato dal proprio comportamento. In questo senso, chiedere la remissione dei debiti diventa l’occasione non per disporsi a ricevere una benefica liberazione dal senso di colpa, ma per confermare un impegno a rimettere i debiti degli altri nei nostri confronti, attivando la decisione del perdono, e per resistere alle sollecitazioni-tentazioni a farci complici di un progetto di vita «non buona», cedendo alle pressioni che vengono da tante parti del contesto nel quale viviamo»”.
Per concludere questa breve recensione facciamo nostre alcune frasi di don Virginio Colmegna che nella prefazione così scrive relativamente all’approccio tenuto dall’autore nel confrontarsi laicamente e rispettosamente con la Parola:
“Quelle di Premoli sono riletture approfondite con minuziosa indagine, anche letteraria, che ho sentito in forte dialogo con la mia frequentazione biblica. Per me infatti la Parola di Dio, così come ci ha insegnato il cardinal Carlo Maria Martini, entra nelle tante parole dell’umano: ha un orizzonte di senso che va accolto con profondità e sapienza. La Parola va cioè «studiata»”.
LEGGI ANCHE: Le richieste del Padre Nostro