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Duterte scrive al Papa ma snobba la Chiesa filippina

Vatican Insider - pubblicato il 20/01/17

«Stima e rispetto» per Papa Francesco, con un «sincero grazie per la visita nelle Filippine». La missiva che il presidente delle Filippine Rodrigo Duterte ha inviato al Pontefice, approfittando del consigliere presidenziale Jesus Dureza, di passaggio a Roma, chiude lo sgradevole incidente dell’epiteto non proprio gentile riservato a Francesco («bastardo»), in occasione del suo viaggio a Manila a gennaio 2015: Duterte l’aveva bollato come un fastidioso sconvolgimento del traffico cittadino.  

I concittadini, nota il testo, «ricordano la visita apostolica del 2015 con profondo apprezzamento» e le Filippine – da paese cattolico, caso raro in Asia – continueranno a «valorizzare le speciali relazioni con la Santa Sede». Qualcuno ha perfino prospettato una possibile visita in Vaticano del Presidente-sceriffo: il suo portavoce Ernesto Abella l’ha definita «intenzione probabile» del Capo della nazione. 

Ma se la diplomazia cerca di ricucire le smagliature nel rapporto con la Santa Sede, il gap tra il presidente e la Chiesa filippina non sembra colmarsi, anzi si allarga. È soprattutto la dura «campagna antidroga» lanciata dal governo a costituire terreno di scontro. Durante il recente Congresso apostolico mondiale della misericordia, celebrato a Manila, diversi vescovi non hanno mancato di citare la «crisi del rispetto dei diritti umani» in corso nel paese. Riferendosi in modo esplicito alla «guerra alla droga» che, condotta con metodi violenti, ha prodotto in sei mesi 6.200 omicidi di sospetti criminali e spacciatori di droga.

Vari gruppi ecclesiali hanno annunciato che il 18 febbraio scenderanno in strada a Manila per stigmatizzare l’ondata di «esecuzioni extragiudiziali» in una imponente «Marcia per la vita» che vuole esprimere ferma opposizione alla campagna in atto. 

Si tratta di una «pena di morte de facto», senza bisogno di una legge sulla pena capitale o di lunghi processi nei tribunali, stigmatizza la gerarchia. E se nelle parrocchie prosegue il volantinaggio e la distribuzione di manifesti con lo slogan «Stop the killing», davanti alle chiese (come in quella di Baclaran a Manila) sono apparsi scioccanti poster di persone uccise, che giacciono in una pozza di sangue, proprio per colpire a livello emotivo l’attenzione dei fedeli.  

«La soppressione dei presunti criminali è molto più efficace della legge, secondo i sostenitori di tale politica. In tutto questo c’è qualcosa di sinistro e di crudele», ha rilevato con preoccupazione Shay Cullen, missionario irlandese animatore della Fondazione Preda che gestisce nelle Filippine numerose opere sociali.  

Ma Duterte si fa beffa di tali consigli e ha annunciato con sicurezza di non aver alcuna intenzione di recedere, nonostante le critiche che piovono da tutto il mondo. Anzi, ha etichettato apertamente come «ipocriti» preti e vescovi che si oppongono alle sue misure repressive. «Dovrebbero assumere shabu per capire», ha detto, riferendosi alla metanfetamina largamente consumata nel Paese. E, data la loro condotta di vita, non sono in condizioni di dare lezioni di morale a nessuno, ha rintuzzato. 

Il Presidente sostiene imperterrito che la sua politica serve a difendere i giovani dalla tossicodipendenza e si dice pronto «a difendere il futuro delle nuove generazioni a qualsiasi prezzo». 

E intanto promuove in Parlamento una legge per il ripristino della pena capitale: altro netto divario con la Chiesa che, ricordano i presuli, nella sua dottrina insegna il valore sacro della vita e la dignità inalienabile della persona umana. 

Fermo restando che una legge sarebbe almeno un modo legale per sopprimere un condannato, mentre uccidere un migliaio di persone al mese (questa è la media) è «un crimine di stato»: ai sospettati non è data la possibilità di difendersi, secondo prerogative sancite dalla Costituzione. Per questo oggi la gerarchia cattolica si fa paladina dello stato di diritto, oltre che delle coscienze: «I diritti fondamentali sono stati sospesi e la sfida per tutti oggi è ripristinarli», si afferma.  

Eppure il 76% dei filippini approva e sostiene il Presidente che, forte dei sondaggi, tira dritto per la sua strada, incurante delle obiezioni.  

D’altro canto la Chiesa cattolica vuole mostrare alle istituzioni una via alternativa per la lotta alla droga: la sensibilizzazione culturale dei giovani e il recupero dei tossicodipendenti. Con questo spirito il cardinale di Manila Luis Antonio Tagle ha firmato un accordo di partnership tra l’arcidiocesi e la Fazenda da Esperança, speciale fattoria terapeutica per tossicodipendenti che seguono un iter di disintossicazione. 

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