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Difendere il matrimonio sta diventando un crimine?

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Francisco Vêneto - pubblicato il 13/01/17

Sembra di sì – a meno che il “matrimonio” in questione non sia qualcosa di meno di un matrimonio

Buona parte dei difensori della ridefinizione del concetto di matrimonio fa in genere appello a valori come “tolleranza”, “comprensione” e “accettazione delle differenze” per ampliare il significato del termine e farvi rientrare qualsiasi tipo di unione romantica o sessuale tra due (o più) persone di qualunque sesso. Ciò include modalità di unione che non hanno nulla a che vedere con la formazione di un nucleo formato da madre, padre e figli, ma che ad ogni modo non solo “possono”, ma addirittura “devono” essere definite “matrimonio”.

Non si potrebbe usare un’altra parola? Sicuramente sì, è chiaro, ma qualcuno ha deciso che tutto è “matrimonio”, per cui ciò che tutti intendono per matrimonio viene inteso sempre meno per quello che è in realtà.

Un esempio significativo e leggermente estremo è la tendenza (crescente?) a considerare anche qualche forma di poligamia una delle “modalità” del “matrimonio”, anche se a questo scopo deve essere ribattezzata con il nome “tecnico” pomposo di “poliamore”.

Si pretende, quindi, che tutta un’ampia varietà di unioni instabili e fugaci sia equiparabile all’impegno matrimoniale definitivo, naturale e aperto alla vita, e si finge che non deriverà alcuna conseguenza socialmente pregiudizievole da questa indifferenziazione forzata, nella quale tutto dovrebbe essere visto come “la stessa cosa”.

Dall’altro lato, le tanto lodate virtù della “tolleranza”, della “comprensione” e dell’“accettazione delle differenze” si sono rivelate una via a senso unico, inaccessibile per le persone che discordano con i cambiamenti ideologici (e giuridici) nel concetto di matrimonio.

È quello che stanno scoprendo i cittadini dei Paesi che stanno rielaborando questa definizione o che lo hanno già fatto, come nel caso della Francia.

Nel 2013, la Francia ha testimoniato le sue più grandi manifestazioni sociali dal maggio 1968: il 24 marzo, circa un milione di cittadini ha protestato chiedendo che l’unione tra le persone dello stesso sesso non venisse equiparata al matrimonio tra un uomo e una donna, viste le note e naturali differenze tra una realtà e l’altra. Questi cittadini sono stati tuttavia tacciati di intolleranza.

Un resoconto del Centro Europeo per la Legge e la Giustizia ha denunciato all’epoca l’uso eccessivo della forza da parte delle autorità per reprimere la manifestazione: “Nessuno si è salvato: donne, bambini, anziani, disabili. I manifestanti sono stati calpestati e aggrediti”.

Il famoso quotidiano francese Le Figaro ha riferito che il 26 maggio dello stesso anno si sono verificate centinaia di arresti di persone che hanno espresso la propria opinione contro l’equiparazione dell’unione tra le persone dello stesso sesso al matrimonio.

Nello stesso periodo, denunce dell’organizzazione statunitense C-FAM (sigla abbreviata per l’Istituto della Famiglia Cattolica e dei Diritti Umani) hanno registrato che i manifestanti pro-famiglia sono stati trattati dalle autorità socialiste francesi come “una minaccia pubblica” e sottoposti a “verifiche di identità, detenzioni arbitrarie, brutalità poliziesca, aggressioni fisiche e uso di gas lacrimogeni”.

Il C-FAM ha anche compiuto un paragone significativo: in quel mese di maggio, circa 300 persone sono state arrestate per aver partecipato a manifestazioni in difesa del matrimonio tradizionale in Francia. Nello stesso mese, durante una rissa violenta e generalizzata a seguito di una partita di calcio a Parigi solo 11 persone sono state arrestate.

L’Istituto ha anche sottolineato l’esistenza di vari video, girati durante le proteste, nei quali si vede la polizia francese attaccare anche manifestanti pacifici – includendo, appunto, famiglie con bambini, anziani e disabili – con gas lacrimogeni.

Per il Centro Europeo per la Legge e la Giustizia, c’è stata una chiara “prova di brutalità contro il movimento sociale in difesa della famiglia”.

La gravità dei fatti è stata tale che l’Assemblea Parlamentare del Consiglio d’Europa è arrivata a organizzare un’udienza sulle proteste e la loro repressione. I risultati non sono stati affatto chiari, e i francesi continuano a correre il rischio di essere processati nel caso in cui manifestino in difesa del matrimonio naturale, visto che possono essere accusati di “crimine d’odio”.

Dalla Francia al mondo intero, la tendenza è sempre più la stessa – camuffata sempre da “tolleranza”, “comprensione” e “accettazione delle differenze”.

Ciò che è in gioco non è il diritto individuale di un cittadino adulto di prendere decisioni sulla propria vita, ma il modo in cui si cerca di imporre artificialmente una ridefinizione concettuale che ignora differenze oggettivi tra tipi naturalmente diversi di rapporto, che non possono essere definiti “la stessa cosa”, semplicemente perché non lo sono.

Tra le prime conseguenze di questa “ridefinizione indefinita”, la “tolleranza” e la “repressione” che sono diventate nella pratica la stessa cosa, solo per obiettivi diversi, come avviene in qualsiasi regime dittatoriale camuffato da egualitarismo.

Ha allora detto bene Millôr Fernandes: “La democrazia è quando io comando su di te. La dittatura è quando tu comandi su di me”.

[Traduzione dal portoghese a cura di Roberta Sciamplicotti]

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