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È lecito celebrare la Messa in casa?

Communion in a church

© Bykofoto / Shutterstock

Gelsomino Del Guercio - Aleteia - pubblicato il 10/01/17

I liturgisti bocciano questa pratica, secondo le indicazioni del Magistero. Anche se esistono delle eccezioni (lecite)

Un lettore ci chiede: “È lecito celebrare la Santa Messa in un’abitazione? È una prassi che si è mai verificata nel tempo?”.

Su liturgiagiovane.it don Silvano Sirboni, direttore dell’Ufficio Liturgico della diocesi di Alessandria, premette: «La messa non è una devozione privata e tanto meno un “arredo” per una qualche ricorrenza, sia religiosa che profana. Essa è la massima manifestazione della Chiesa che trova il suo vertice “nella partecipazione piena e attiva di tutto il popolo santo di Dio alle medesime celebrazioni liturgiche, soprattutto alla medesima eucaristia, alla medesima preghiera, al medesimo altare cui presiede il vescovo” (Sacrosantum Concilium 41)».

“EVITARE LA MOLTIPLICAZIONE DELLE MESSE”

Da qui la norma generale che «tende a evitare la moltiplicazione delle messe con la conseguente frantumazione della comunità locale, specie nei giorni domenicali e festivi di precetto (cf Eucharisticum Mysterium 26; Cei, Il Giorno del Signore 32-33; Giovanni Paolo II, Dies Domini 35-36)».

A CASA DELL’INFERMO

È in questo orizzonte teologico, prosegue Sirboni, che «si inseriscono le severe limitazioni per l’eventuale celebrazione della messa in case private, se non in circostanze di particolare necessità (cf can. 932). Fra queste circostanze è esplicitamente contemplato il caso del sacerdote infermo o avanzato in età (cf Pastorale munus 10, in EV 2/96), come pure la messa presso un infermo che potrebbe ricevere la comunione soltanto sotto la specie del vino (cf Em 41)».

MESSE PRIVATE DI GRUPPO

Per quanto riguarda gruppi particolari, le norme permettono (ma solo con il permesso dell’ordinario del luogo) la celebrazione della messa in casa privata per «gruppi familiari riuniti attorno a persone malate o anziane, che non possono uscire di casa e che altrimenti non parteciperebbero mai alla celebrazione eucaristica; ad essi si associano anche i vicini e coloro che hanno cura della persona anziana o inferma» (Actio Pastoralis 2, in EV 3/1162).

In altri casi la messa per un gruppo particolare «si compia abitualmente in luogo sacro» (ivi 3).

RESPONSABILITA’ DEL PARROCO

È vero, ammette il liturgista, che «le prime celebrazioni della cena del Signore avevano luogo in case private (cf At 2,46) e questo continuò almeno per altri due secoli, ma ciò avveniva perché queste case erano di fatto l’unico luogo possibile per convocare la comunità locale (= domus Ecclesiae/casa della Chiesa). Quelle sopra citate sono le norme attuali. Le eventuali eccezioni confermano semmai la regola e devono essere prese sotto la responsabilità del parroco, il quale deve saper usare le leggi con saggezza conoscendone la finalità».

LE MESSE NELLE DOMUS ECCLESIAE

Precisa ad Aleteia don Gianandrea Di Donna, docente di Liturgia alla Facoltà Teologica del Triveneto: «La prassi antica di celebrare nelle Domus Ecclesiæ indicava certamente da una parte l’uso di abitazioni di cristiani e dall’altra che esse cessavano di essere “del tale” e divenivano appunto “Ecclesiæ” cioè abilitate, dedicate al culto. Non è certo se la riserva al culto fosse assoluta o limitata ai giorni celebrativi».

Quel che risulta dai rinvenimenti archeologici è che queste Domus (Dura Europos, Cafarnao, Roma….) «fossero comunque adattate architettonicamente all’uso rituale il che fa pensare più ad una dedicazione assoluta alla finalità liturgica dello spazio».

DUE RAGIONI

Il liturgista spiega che la domanda sulla possibilità di usare anche oggi una “Domus” specie per l’Eucaristia nasce da una ecclesiologia che ripensa lo spazio celebrativo. Ma per quali ragioni? Di Donna ne individua almeno tre.

1) CONTRAZIONE DEI FEDELI

«Il motivo potrebbe essere il ripensare lo spazio celebrativo in un tempo in cui la “contrazione” numerica dei fedeli vede inadeguati spazi come le chiese parrocchiali o le basiliche. Ma allora non si tratterebbe di usare delle case private ma di ripensare l’ecclesiologia degli spazi sacri».

2) MODELLI PER “ELETTI”

«Il motivo potrebbe essere invece (cosa che giudicherei negativamente) dato da una sorta di rifugio nel privato… intendo dire che una certa prospettiva di fede oggi tende a proporre modelli di fede per piccoli gruppi, per “eletti”, per persone che vivono la loro fede in modo individualistico… perdendo così tutta la dimensione ecclesiale della liturgia, la forza dello spazio santo e dei suoi simboli …».

Queste ragioni non sono altro, sentenzia il liturgista, che «derive pericolose, soggettivistiche, personalistiche e vagamente gnosticizzanti».

IL PRIMATO DELLA CARITA’

Infine, conclude Di Donna, «le eccezioni previste dai documenti citati dal Magistero non mirano a relativizzare la necessità del luogo sacro e alla sua forza ecclesiale e simbolica! Tutt’altro! Le eccezioni previste riguardano solo il primato della Carità verso un malato, un moribondo, un anziano, un presbitero infermo».

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