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Quella cultura del dialogo che ha unito Francesco e Bauman

Vatican Insider - pubblicato il 09/01/17

Una delle ultime apparizioni pubbliche del filosofo e sociologo di origine polacca, Zygmunt Bauman, scomparso all’età di 91 anni, è stata nel settembre scorso ad Assisi, in occasione dell’incontro interrelgioso e interculturale per la pace promosso dalla Comunità di Sant’Egidio (‘Sete di pace’) e al quale prese parte Papa Francesco. Un evento caratterizzato dalla presenza di moltissimi leader religiosi di ogni parte del Pianeta e di tanti esponenti del mondo della cultura e della società civile di numerosi Paesi. Bauman, nell’occasione, partecipò anche, insieme ad altri ospiti, al pranzo con Bergoglio che si tenne nella cittadina umbra. Di sicuro non passò inosservata davanti all’opinione pubblica la convergenza di argomenti e sensibilità fra lo studioso e Francesco.

Bauman è infatti considerato il teorico della cosiddetta «società liquida», ovvero il mondo destrutturato e mobile della globalizzazione rispetto alle solide categorie sociali novecentesche. Ma oltre a ciò, lo studioso di origine polacca, ha parlato nel corso di questi anni di «scartati», dei «rifiuti della globalizzazione», della necessità del dialogo fra culture e mondi differenti e di una redistribuzione della ricchezza che impedisca il dilagare dei conflitti e della povertà. Una serie di temi, questioni, e finanche un linguaggio, che lo avvicinavano, quasi inevitabilmente, al Papa argentino. E di certo Bauman è un altro dei grandi esponenti della cultura contemporanea, che ha trovato nelle parole e nei pensieri del Vescovo di Roma un chiaro riferimento valoriale e ideale, oltre che una leadership morale riconosciuta internazionalmente e super partes.

Ad Assisi, in un intervento ricco di spunti, lo studioso mise fra le altre cose in luce tra diversi aspetti sollevati dal magistero di Bergoglio che riteneva particolarmente importanti. In primo luogo parlò dell’ urgenza del dialogo e del confronto fra culture diverse. «Una cultura del dialogo» affermò, ha come obiettivo quello di «ricostruire la tessitura della società». Ciò significa «imparare a rispettare lo straniero, il migrante, persone che vale la pena ascoltare». «La guerra si sconfigge – aggiungeva – solo se diamo ai nostri figli una cultura capace di creare strategie per la vita, per l’inclusione». In secondo luogo papa Francesco, rilevava il filosofo, parla «dell’equa distribuzione dei frutti della terra e del lavoro che non rappresentano una pura carità, ma un obbligo morale». «Dobbiamo creare posti di lavoro reale e ben pagati per i giovani – ha detto Bauman – e passare dall’economia liquida ad una posizione che permetta l’accesso alla terra col lavoro».

Infine, sottolineava, «papa Francesco dice che questo dialogo deve essere al centro dell’educazione nelle nostre scuole, allo scopo di dare strumenti per risolvere conflitti in maniera diversa da come siamo abituati a fare». «L’acquisizione della cultura del dialogo – osservava Bauman – non è una strada facile da seguire, una scorciatoia. L’educazione è un processo di tempi lunghissimi, che necessita di pazienza, coerenza, pianificazione a lungo termine. Si tratta di una rivoluzione culturale rispetto al mondo in cui si invecchia e si muore prima ancora di crescere».

Bauman, ancora ad Assisi, aveva poi descritto la storia dell’umanità secondo una chiave particolare: ovvero come un progressivo processo di espansione della parola «noi». Una storia che faceva intravedere «una luce in fondo al tunnel, anche se il tunnel appare ancora lungo e pieno di insidie e pericoli». Bauman spiegava poi, come per parentologi e antropologi il primo «noi» non potesse includere più di 150 persone: «erano cacciatori e raccoglitori. Non avevano autobus, supermercati, era un numero limitato a quelli che poteva essere alimentato e muoversi. Il resto era altro dal ‘noi’». «Col tempo questa cifra è aumentata e si è giunti alle tribù, alle comunità, e poi gli imperi e gli stati nazione» ha ricordato il filosofo. Ora si è arrivati – proseguiva nella sua esposizione – ad un punto senza precedenti: «tutte le tappe e i balzi che ci sono stati avevano una dato in comune: erano tappe caratterizzate da inclusione e esclusione. C’era un noi che si ampliava, ma anche una identificazione dell’ ‘Altro’ escluso dal noi. E questo ha portato a grandi spargimenti di sangue». Nel momento attuale – secondo Bauman – c’è la necessità ineludibile dell’espansione del «noi» come prossima tappa dell’umanità. Questo salto successivo è rappresentato dalla soppressione del pronome «loro».

Bauman aveva infatti ricordato nel suo intervento, che i nostri avi avevano un nemico, identificato da un «loro». «Ma oggi, nella società globale dove lo troviamo un nemico?». «Non ci è stato chiesto da nessuno – era il ragionamento del filosofo – ma ci troviamo nella dimensione cosmopolita in cui ogni cosa ha un impatto sul Pianeta, sul futuro e sui nipoti dei nostri nipoti. Siamo tutti dipendenti gli uni dagli altri». Tuttavia, secondo Bauman, il rovescio della medaglia era che «non abbiamo neppure iniziato a sviluppare una consapevolezza cosmopolita. E gestiamo questo momento con gli strumenti dei nostri antenati, ed è una trappola, una sfida da affrontare».

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