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9 motivi per smentire la leggenda del Santo Graal

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Gelsomino Del Guercio - Aleteia - pubblicato il 09/01/17

Ci sono diversi elementi che fanno pensare ad una trasposizione di una storia che ha origine in Oriente

Quanto è vera la leggenda del Santo Graal? E quanto è invece è un falso storico? Mario Moiraghi in “L’enigma di San Galgano” (Ancora editrice) sgretola segreti e miti della materia di Bretagna o del Graal. Sollevando obiezioni e nuove verità.

L’autore fa questa premessa: «Il settore in questione soffre di alcune situazioni problematiche di fondo: è afflitto dalle grandi, irrisolte incertezze di base: 1) Artù, Camelot, Graal, Avalon non presentano neppure nei loro nomi una traccia storica, culturale o etimologica sicura e attestata; 2) è incapace di spiegare, oltre al nome stesso, cosa sia il Graal: pietra, vaso o che altro?; 3) è incapace di spiegare in modo convincente perché l’ambiente delle avventure della Tavola Rotonda sia così esotico: animali, piante, località, oggetti, usanze, non appartengono a nessun ambiente gallese, bretone, angioino, ma ad un ineluttabile paesaggio orientale, molto orientale».

1) L’ERRORE GEOGRAFICO

Un limite che smentisce la rappresentazione tradizionale del Graal è di carattere geografico. Lo dimostrano gli studi di ricercatori come Friedrich von Suhtscheck, il quale ha presentato ipotesi di localizzazione geografica ben diversa da quella della Bretagna.

Lo studio appare preciso e puntuale, ma è soprattutto interessante l’accuratezza delle argomentazioni portate dall’autore, che si espone, nelle sue affermazioni, con rigore. Il risultato è quantomeno rivoluzionario e trasferisce l’intero scenario delle vicende arturiane alle sorgenti dell’Indo, in una zona che confina con l’Himalaya e il Golfo Persico.

2) INDIA CENTRALE

Qualche dubbio ha sfiorato tutti i commentatori, i più allineati, i più tradizionalisti ma, ovviamente, anche i più ribelli e discordi. Si può citare Julius Evola: per il quale il Mont Salvatsche (monte dove è custodito il Graal), con Arthur, finisce con l’essere localizzato nell’India Centrale.

3) INVENZIONE DI NOBILI E SOVRANI

Esistono elementi per sospettare che otto secoli di lettura e di commento delle vicende di Artù, del Graal, dei cavalieri della Tavola Rotonda si siano retti su una volontaria mistificazione. Negli anni attorno al 1200, nei quali andò prendendo forma la leggenda del Graal, occorreva avvalorare una costruzione culturale utile ai tempi e ai personaggi dell’epoca. Si trattava di conferire il prestigio di un mito e di una tradizione a terre, a nobili e a sovrani che stavano tentando di dar vita alle prime cellule delle nazionalità e degli stati moderni. E rivenderla come una storia locale.

4) VEGETALI ORIENTALI

L’ambiente naturale entro il quale si svolgono le avventure dei cavalieri bretoni presenta importanti indizi sull’origine geografica dell’intera leggenda del Graal. Il paesaggio è cosparso di indizi significativi, soprattutto dal punto di vista naturalistico.

Sorprende anzitutto la presenza di vegetali minori, essenze profumate e di droghe che, pur essendo probabilmente assai diffuse dai traffici medievali, spargono un intenso profumo di oriente.

5) L’AMBIENTE SOCIALE E CULTURALE

L’ambiente sociale e culturale in cui si muovono i vari personaggi della materia di Bretagna contiene ulteriori elementi che portano ancora precisi collegamenti con le terre d’Oriente.

Un nome ripetutamente utilizzato, anche come appellativo generico, è quello di Baruc, un personaggio dell’antico Testamento, associato a Balaam, a Geremia e al profeta persiano Zarathustra.

6) LA MOGLIE DI ALESSANDRO MAGNO

Ma la figura più importante, in questo processo di identificazione con l’antica Persia, è certamente quella di Alessandro Magno: la donna da lui sposata è persiana e sorella di Galvano (uno dei cavalieri della Tavola Rotonda, avvalorando la tesi che i racconti del Graal e la materia di Bretagna ruotino attorno a personaggi e vicende persiane e orientali, non europee.

7) GIOIELLI E GIOCHI

Ricorrono con frequenza gioielli d’argento e d’oro, soprattutto l’oro niellato, elaborato da artigiani che, in quei tempi, erano ritenuti insuperabili: gli orafi che lavorarono l’oro erano medi ed egiziani.

Fra gli oggetti di un certo pregio e di uso comune, emergono con sorpresa gli scacchi, che sono un gioco di origine indiana. Giunsero in Occidente fra i secoli XI e XII, portati dai persiani, tanto da essere considerati un gioco tipicamente persiano.

Non possono essere stati utilizzati in ambienti europei ai tempi dell’Artù bretone (attorno al 500 o 600 d.c.), ma difficilmente possono essere stati di uso comune e corrente nel periodo fra il 1100 e il 1200.

8) I MAGI E IL MONTE VAUS

Altro legame potrebbe essere tra il Graal orientale e la leggenda dei Magi. I sapienti, forse principi, ma certamente esperti nell’astrologia, furono inviati sul monte Vaus, perché vigilassero sulla possibile apparizione di un segno di luce. Tra loro anche i più noti Gaspare, Melchiorre e Baldassarre.

Il monte Vaus ricorda le valli di Avalon. Quale equivoco si nasconde sotto queste affinità di parole? Se tutto il racconto del Graal fosse una trasposizione della vicenda dei Re Magi?

L’analogia e l’affinità fra la ricerca del Graal e quella dei Magi, che si mettono in marcia perché hanno visto un segno di luce, offrono prospettive suggestive. I Magi sono strettamente legati all’area iraniana e persiani.

9) LA CORTE

Il modello di corte alla quale si riferisce l’epopea di Artù è un modello inesistente nell’area bretone o europea, ma tipicamente nato, sviluppato e consolidato nella corte persiana. in particolare è evidente, anche al profano, quantomeno la totale estraneità dalle ambientazioni delle fiabe celtiche.

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