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Il perché porto una croce al collo (non è ciò che pensi)

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Kamil Szumotalski/Aleteia

Dk. Michał Lubowicki - pubblicato il 05/01/17

La croce al collo non significa nulla, non dà automaticamente una buona testimonianza di Colui che è morto sulla croce

È difficile che la croce possa piacere. Dopo tutto, è un segno di una delle torture più orribili inventate dall’uomo per altri uomini. La prima immagine conosciuta di Cristo crocifisso – sulle porte lignee della basilica romana di Santa Sabina sull’Aventino – risale al V secolo.

La manifestazione della (non) fede

In passato i cristiani non ritraevano in alcun modo il mezzo attraverso il quale Gesù era morto. Veniva rappresentata la cosiddetta crux gemmata, o croce preziosa, d’oro e ornata di pietre preziose, senza la persona del crocifisso, e queste rappresentazioni apparvero solo nel IV secolo. Fino ad allora, i cristiani evitavano l’utilizzo del segno della croce. Non tanto perché fosse proibito, ma per la natura controversa di questo simbolo. Per almeno due secoli dopo Cristo, le croci continuavano ad essere collocate lungo le vie dell’impero, e vi agonizzavano gli schiavi. La croce era quindi un simbolo molto ambiguo, che suscitava domande.

E per questo porto la croce. Deve suscitare domande. In me. Perché da un lato Gesù crocifisso non aveva né grazia né fulgore, dall’altro lato proprio nel contesto dell’annuncio della croce il Padre gli diceva dal cielo “Tu sei il mio Figlio prediletto, in cui mi sono compiaciuto”. La croce che porto al collo fa sì che mi possa chiedere: “Posso compiacere il Padre? Gli possono risultare graditi i miei pensieri, le mie decisioni, le mie parole, quello che faccio? Accetto la croce nella mia vita, visto che porto ogni giorno al collo la sua miniatura?” La croce al collo è l’invito quotidiano al più semplice esame di coscienza.

Non la porto per manifestare qualcosa. La croce che porto al collo non è la manifestazione della mia fede o del mio punto di vista. La croce al collo non significa nulla. Il fatto stesso di indossarla non dà automaticamente una buona testimonianza di Colui che è morto sulla croce. La croce appariva su molte bandiere e molti emblemi, e non tutti sono stati portati con buoni propositi. Più di una manifestazione e di una battaglia hanno avuto luogo sotto il segno della croce, e non tutte hanno avuto un proposito nobile. La croce al collo può diventare una testimonianza di Gesù ma anche la manifestazione della non-fede. Lo decideranno i miei gesti, le mie parole, le mie azioni, il mio comportamento.


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La “sveglia”

E per questo porto la croce. Perché nel mondo delle lotte senza fine, delle manifestazioni, degli spintoni e delle battaglie sia l’ancora della barchetta della mia vita attraccata a un altro mondo. Me la metto per ricordare che la terra da dove vengo e alla quale torno è diversa. È come la bandiera, dietro la quale cammino lentamente verso l’inizio del regno della verità e della vita, regno di santità e di grazia, regno di giustizia, d’amore e di pace.

Non la porto per proteggermi dalle disgrazie, né perché cambi nulla nel mio cammino indipendentemente dalla mia volontà. Non è un amuleto. Con la croce al collo posso essere investita da una macchina, avere un cancro o perdere il mio posto di lavoro, così come portandola posso ingannare, diffondere maldicenze ed essere un incubo per chi deve vivere con me tutti i giorni. Non cambierà in modo magico né me né la realtà che mi circonda. Questi cambiamenti non vengono ottenuti da nessuna magia “battezzata”, da nessun sistema o meccanismo spirituale. La trasformazione o Pasqua della mia vita e del mondo che mi circonda può essere realizzata solo da Dio – il Signore di tutta la realtà e del mio piccolo cuore.

E per questo indosso la croce. Perché mi ricordi a Chi appartiene tutto questo e Chi ha l’ultima parola. La porto per ricordare che sono stato acquistato a caro prezzo, e che Colui che mi ha redento e mi ha ripulito con il suo sangue non ha intenzione di abbandonarmi. La croce al collo è una promessa e un invito a lasciarlo operare in me, e sempre con me. A lavorare con Lui – per come mi è possibile – alla mia salvezza. Qui e ora. Dove mi trovo e con quello con cui sto lottando.


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Gesù si è offerto sulla croce per attirare tutti a Sé. È morto ed è risorto, e tuttavia, in un certo senso, il dramma della mia redenzione continua. Pascal ha scritto che l’agonia di Gesù continuerà fino alla fine del mondo. Non si deve dormire in quel momento. Porto la croce perché ho bisogno di una “sveglia”.

[Traduzione dallo spagnolo a cura di Roberta Sciamplicotti]

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