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Finché WhatsApp mi aiuta, mi diverte e non mi fagocita ben venga!

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Roberta Sciamplicotti - Aleteia - pubblicato il 23/12/16
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Il fantastico mondo dei “gruppi mamme” e qualche riflessione sul “progresso”L’ultimo mese non è stato particolarmente felice per quanto riguarda il mio rapporto con i telefoni cellulari. Il primo inconveniente si è verificato quando il mio smartphone è caduto in acqua, con conseguente perdita di tutte le fotografie che non avevo ancora scaricato sul computer, della rubrica e di tanti altri piccoli dettagli che non avevo trascritto sul mio fedele (e analogico) taccuino che, a meno di smarrimenti o incendi, ha meno probabilità di piantarmi in asso. La mia “astinenza” è durata poco, perché il giorno dopo mio padre mi ha portato un cellulare uguale che aveva lui, e quindi ho subito ripreso i contatti con il “mondo”.Qualche giorno fa, invece, all’improvviso WhatsApp non funzionava più, e quando ho chiesto a mio marito di controllare il motivo mi ha risposto che il mio sistema operativo era troppo vecchio e non si riusciva più a reinstallare.

Morale della favola: ho comprato un altro telefono, ma questa volta la mia astinenza dai contatti sociali “ultimo modello” è durata molto di più, complice un viaggio di lavoro del marito nel mezzo che ha fatto sì che per una decina di giorni “tornassi alla preistoria” potendo utilizzare solo gli SMS e dimenticandomi WhatsApp.

Tutta questa tediosa faccenda mi ha suscitato più di una riflessione, a cominciare dall’ormai conclamata dipendenza dalla tecnologia. Come un po’ in tutte le cose, man mano che acquisisci nuovi strumenti ti abitui talmente ad averli che quando non li hai più sembra come se fossi stato privato di una cosa fondamentale. Personalmente uso WhatsApp solo da un anno e mezzo, eppure è diventato un mezzo di comunicazione così preponderante (quasi prepotente…) che non poterne disporre mi ha fatto sentire “tagliata fuori”.

Una seconda considerazione è derivata dalla constatazione di mio marito che il nuovo cellulare che ho comprato, non ultimo modello ma comunque molto recente, dovrebbe durarmi “almeno due o tre anni”. “Due o tre anni?!?”, ho pensato io, che cambio macchina solo quando fra un po’ perde le ruote e diventa simile a quella dei Flinstones che va guidata muovendo i piedi. “Ma se è praticamente l’ultimo grido dovrebbe durarne almeno dieci!”. E invece no, la tecnologia si sviluppa così rapidamente che una cosa diventa vecchia, obsoleta, antiquata e “preistorica” in un brevissimo lasso di tempo (il mio cellulare “vecchio” aveva appena 3 anni).

Tornando a WhatsApp, uno dei motivi per i quali mi sono sentita “fuori dal mondo”, non potendone disporre, è che ormai sono entrata nel fantastico mondo dei “gruppi mamme”, visto che mia figlia ha appena iniziato ad andare all’asilo. Quando mio marito me lo ha inserito sul nuovo telefono ho trovato un centinaio di messaggi che avevo perso in questi giorni di assenza, complice anche l’aumento delle comunicazioni per via del periodo natalizio.

WhatsApp negativo, asfissiante, esempio sommo del fatto che, come dice non di rado il mio coniuge, “Certo che voi donne non avete proprio nient’altro di meglio da fare che scrivervi tutto il giorno”?

Non esageriamo! Sicuramente un uso eccessivo può portare a non pochi problemi, perché può rappresentare l’ennesimo “aggiramento” dei rapporti reali, faccia a faccia, con tutto ciò che questo comporta, soprattutto nel rapporto di coppia (cfr. Aleteia, 15 settembre 2014), o diventare addirittura una dipendenza (cfr. Aleteia, 26 maggio 2016), o ancora un palcoscenico su cui sfogarsi interpretando il ruolo che più si addice al proprio carattere, dall’“allarmista” al “complottista” (Repubblica, 11 ottobre 2016) – alcuni presidi hanno perfino vietato l’uso di WhatsApp di classe (Repubblica, 11 ottobre 2016) -, ma come tutte le cose, se usato con moderazione, rappresenta l’aiuto degli ultimi progressi tecnologici a noi uomini e – soprattutto – donne di oggi, che presi dalle tante occupazioni spesso abbiamo bisogno di ridurre al minimo il tempo dedicato a ogni cosa per mantenere l’“assetto multitasking” necessario per affrontare la giornata e arrivare alla sera con la sensazione di aver almeno “combinato qualcosa”.

Certo, anche questa “necessità di immediatezza” fa riflettere, perché sembra che al giorno d’oggi nessuno abbia più il tempo di fare niente con calma, e questa fretta continua rischia di diventare parte della nostra forma mentis e di farci considerare tutte le occupazioni quotidiane, anche quelle più piacevoli come ad esempio la cucina, solo una serie di compiti da assolvere, di quadratini su cui mettere la “V” per passare immediatamente a quello successivo e sentirsi realizzati della quantità di cose svolte, a volte sacrificandone un po’ la qualità.

L’importante, come credo si possa dire di quasi qualsiasi cosa, è la moderazione: come diceva una mia amica, certo che se una mamma chiede nella chat se qualcuno ha ritrovato lo zainetto, il peluche o la sciarpa del figlio e il telefono suona un numero di volte equivalente al numero di alunni della classe meno due – chi cerca la cosa perduta e chi eventualmente l’ha trovata – solo per leggere una sfilza di “No” la questione può risultare pesante e poco utile, ma se serve per avere comunicazioni utili, dare anche un rapidissimo saluto a qualcuno quando non hai il tempo per fare una telefonata o per vedere una vignetta che ti strappa un sorriso mentre magari sei un po’ giù perché no?

Sarebbe stato un grande danno se non avessi saputo cosa era stato scritto sul biglietto d’auguri di Natale per la maestra? No, ma mi ha fatto piacere leggerlo. Sarebbe stato grave se non avessi visto la foto e il messaggio del biglietto di ringraziamento della casa di accoglienza per mamme e bambini a cui la nostra scuola ha donato un po’ di giochi e vestitini per il Natale? No, ma è stato carino vederli ora e seduta tranquilla e non al ritorno a scuola magari dovendo farmi largo tra le persone per avvicinarmi alla bacheca per leggerlo chiaramente.

Moderazione, serve moderazione, anche per dare l’esempio ai nostri figli. Va bene ed è ormai doveroso seguire il progresso tecnologico, ma cum grano salis. E allora, quando mia figlia mi dice “Basta con il telefono” anche se l’ho preso in mano da meno di un minuto, via la tecnologia ed ecco a voi i libri, la pasta da modellare o le costruzioni. Ha tempo per diventare una “nativa digitale”, per ora è importante che giochi con una mamma che non sta incollata a smartphone, tablet e altri dispositivi simili e si diverta con lei con le cose “tradizionali”, termine che a volte ormai sembra quasi un insulto.