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Arte contemporanea e sacro sono veramente così lontani?

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Gelsomino Del Guercio - Aleteia - pubblicato il 17/12/16

L'incontro è possibile. Ma solo con dei compromessi. Ecco quali sono secondo i maggiori studiosi d'arte

E’ possibile oggi far dialogare l’arte e il sacro, sullo sfondo di una contemporaneità che pare allontanare questi due ambiti?

Se lo è chiesto Michela Beatrice Ferri in “Sacro contemporaneo. Dialoghi sull’arte” (Ancora edizioni). «Il ricorso all’arte contemporanea  – spiega Ferri – per la rappresentazione sacra è un “problema” sentito, al centro di vari dibattiti, ma per certi versi rimane ancora un “problema” senza soluzione».

Ascoltando i maggiori esperti d’arte contemporanea, l’autrice è riuscita in parte a sciogliere il “nodo” arte/sacro.

ECCELLENZE POCO VALORIZZATE

Elena Pontiggia, storica dell’arte, docente all’Accademia di Brera, è critica: «C’è stata una diffusa incapacità da parte della committenza “ecclesiastica” di conoscere il mondo degli artisti contemporanei. Faccio un esempio tra i molti possibili. Uno scultore di profonda religiosità come Arturo Martini, cui si deve una dichiarazione eloquente («Senza Cristo l’arte è solo un vuoto esercizio di forma») è stato chiamato poche volte a creare opere di arte sacra. Ha scolpito il Cristo Re per l’omonima chiesa di Roma, che non è fra le sue opere più alte, e poco altro. Ma penso anche a Sironi: certe sue opere degli anni Quaranta, come L’apologo ora al Museo Vaticano d’Arte Sacra, sono di straordinaria suggestione: pochi artisti hanno saputo mostrare, come lui (l’opera è del 1944, e l’anno dice tutto) una umanità smarrita che cerca in Cristo un senso che la storia non sembra più avere».

TROPPO SPAZIO A NON-ARTISTI

Purtroppo, prosegue Pontiggia, «la committenza di arte sacra si è rivolta spesso a non-artisti, a epigoni attardati, disinformati, superati. Mi è capitato a Brera, nell’ambito del mio corso di Storia dell’arte contemporanea, di far svolgere una ricerca sistematica su una rivista di arte sacra, forse la più diffusa in Italia. Bene, fin dagli anni Dieci gli artisti di cui la rivista si occupava erano nomi sconosciuti e, quel che più conta, poco significativi: dei protagonisti dell’arte italiana contemporanea non c’era praticamente nessuno».

UNA SVOLTA POSSIBILE

Allora come l’arte contemporanea può riprendere a rappresentare la fede? «Il modo più efficace – risponde la storica dell’arte – è che la committenza torni a coinvolgere gli artisti. È una condizione necessaria, anche se non sufficiente: non tutti gli artisti, anche grandi, sanno esprimere la fede. Ma senza rivolgersi agli artisti non si farà mai arte. Tanto meno arte sacra».

RICHIAMO AL CONCILIO

Per Timothy Verdon, storico dell’arte formatosi alla Yale University, in Italia è ancora possibile parlare di un’arte sacra “contemporanea”. «Possibile ma non facile», premette.

«È “possibile” perché – come affermava la Sacrosanctum Concilium del Concilio Vaticano II – “la Chiesa non ha mai avuto come proprio uno stile artistico, ma, secondo l’indole e le condizioni dei popoli, e le esigenze dei vari riti, ha ammesso le forme artistiche di ogni epoca“. Inoltre, è “possibile” perché già la tradizione cristiana offre esempi eccelsi di arte astratta oltre che figurativa – e questo non solo nel periodo paleocristiano, ma anche nel cuore del figurativismo rinascimentale».

TROPPO ORIENTATA ALLA RAFFIGURAZIONE

Un’arte veramente “attuale” e nel contempo “sacra”, sostiene Verdon, «è possibile. Ma è anche “difficile”», perché la tradizione ecclesiastica «ha privilegiato in maniera quasi assoluta la raffigurazione, che finisce per sembrare un “linguaggio biblico”. Parafrasando il Prologo del Vangelo di Giovanni, Cristo stesso ha “narrato” il Padre con i gesti della propria vita corporea e psicologica e in parabole che narrano di uomini e donne. L’arte figurativa e narrativa, con componenti di naturalismo e di indagine psicologica, sembra quasi imporsi alla Chiesa come “linguaggio cultico” – anche se ciò non esclude un idoneo ammodernamento del figurativo, o l’uso simultaneo di altri linguaggi».

ARTE AL SERVIZIO DELLA VITA CRISTIANA

Una voce più ecclesiastica è quella del teologo Giuliano Zanchi, Segretario Generale della Fondazione “Adriano Bernareggi” di Bergamo e Direttore del Museo Bernareggi e del Museo e Tesoro della Cattedrale di Bergamo.

Secondo Zanchi bisogna «definire con maggiore consapevolezza come l’arte possa mettersi oggi a servizio della vita cristiana. Perché anche la vita cristiana, secondo me, deve rimettere a fuoco la natura dei suoi bisogni estetici. Un cattolicesimo che ha attraversato il Concilio, una rilettura ermeneutica e fenomenologica dei propri contenuti, una riforma liturgica importante, un nuovo rap- porto con la modernità, non può avere gli stessi bisogni estetici del cattolicesimo tridentino che aveva fatto dell’arte uno strumento di propaganda fondato sul primato della figura».

POCA QUALITA’ E MOLTE PROVOCAZIONI

Se questa è la premessa, per il teologo esperto d’arte «il problema di una sintonia fra sentire cristiano e cultura artistica contemporanea» è solo «un epifenomeno della questione più profonda del rapporto fra presenza cristiana e cultura contemporanea. È ancora il tema di Gaudium et Spes. La cultura credente deve imparare a conoscere e a stimare i processi artistici che si muovono nel perimetro del presente. Quindi certo anche a discernerli. Perché l’arte contemporanea trabocca anche di molti manierismi senza qualità, di provocazioni troppo facili per essere intelligenti, di concettualismi ormai triti e ritriti, quando non di atteggiamenti apertamente antiumanistici assai poco ricevibili».

CAPIRE IL CAMBIAMENTO

Però, conclude Zanchi, «per discernere occorre conoscere. Per conoscere occorre avere buona disposizione a comprendere, possedere strumenti adeguati, concepire la possibilità del nuovo. Secondo me – conclude – è da questo lavoro più di fondo e più a lungo termine che potrà nascere con naturalezza l’esperienza di qualche artista contemporaneo capace di sentire in profondità i bisogni della vita cristiana».

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