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Come l’adozione cambia il mondo

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Pixabay.com/ Public Domain

Zoe Romanowsky - pubblicato il 01/12/16

Il nuovo libro di Paul J. Batura, Chosen for Greatness, dimostra l'impatto dell'adozione sulla nostra vita

Cos’hanno in comune Nancy Reagan, Steve Jobs, Babe Ruth, Leone Tolstoj e John Hancock, oltre al fatto di essere famosi? Tutti loro sono stati adottati, e le loro adozioni non sono state semplicemente incidentali o qualcosa che hanno dovuto sopportare, ma eventi che hanno cambiato la loro vita giocando un ruolo cruciale e positivo nella loro realizzazione e nel loro successo.

Nel suo nuovo libro, Chosen for Greatness, How Adoption Changes the World, Paul J. Batura dimostra come l’adozione abbia influenzato e rimodellato il mondo in modi che la maggior parte di noi neanche immagina. L’autore illustra il suo punto di vista in 16 biografie di persone famose sia viventi che decedute, culminando con la storia di Gesù di Nazareth. Batura ha parlato con Zoe Romanowsky di Aleteia sul suo libro e su come l’adozione continui a cambiare il corso della storia.

Perché ha voluto scrivere sull’adozione ricorrendo a delle biografie?

Paul J. Batura: Sono il padre adottivo di tre maschietti di 11, 6 e 4 anni, tutti adottati alla nascita. Abbiamo cercato di assicurarci che sapessero di essere stati adottati ancor prima di capire il significato di questa parola, e man mano che crescono e maturano capiscono meglio. Volevo trovare esempi di vita reale di persone che sono state adottate e hanno offerto contributi straordinari alla cultura e alla società. Quando ho iniziato le mie ricerche mi sono reso conto che molte delle biografie relative a queste persone si concentravano su quello che avevano fatto nella vita, e che ben poco di ciò aveva a che vedere con la loro adozione. Approfondendo le loro storie, ho scoperto che per loro l’adozione è stata davvero il punto di svolta – li ha messi su una strada che altrimenti non avrebbero mai percorso, ed è stata quella strada che li ha portati a raggiungere quello che poi hanno ottenuto. Probabilmente tutte le persone menzionate nel libro sono note, ma molti non sanno che sono state adottate.

Nel suo testo c’è una gamma davvero ampia di storie. Come le ha scelte?

Ho scelto persone che tutti potessero riconoscere e che illustrano anche la premessa del libro, ovvero che se non pensi che la tua vita sia stata cambiata dall’adozione devi guardarti intorno. Se hai un iPhone, o se hai ascoltato Bach, la tua vita è stata toccata dall’adozione. E allora ho cercato di trovare esempi di vita reale a cui la gente potesse collegarsi, e poi ho provato a trovare persone con una bella storia – qualcosa che sollevi, che incoraggi. Non storie perfette, perché come si capisce dal libro non tutti hanno un percorso ascendente; ci sono alti e bassi nella vita di chiunque, e non in ogni adozione tutto fila liscio. Il mio obiettivo, però, era trovare grandi storie e gettare una luce sul bene insito in questa esperienza.

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Al giorno d’oggi ci sono varie idee sull’adozione, e quest’ultima è complicata perché è sempre legata a perdita e tragedie, soprattutto per l’adottato. Qual è la prospettiva sull’adozione che adotta in questo libro, e perché?

In generale penso che l’adozione sia una cosa positiva. Tende a portare ordine nel caos, e quindi è un bene, soprattutto considerando le alternative. Ci sono troppe storie terribili di bambini abbandonati o che crescono senza genitori, o che purtroppo non crescono affatto a causa dell’aborto.

Circa l’imperfezione di tutto questo, è sicuramente un tema comune nel libro. Penso ad esempio a Dave Thomas, fondatore di Wendy’s [una catena di fast food statunitense, n.d.t.], ben noto nel campo dell’adozione. La storia della sua adozione non è certamente brillante, ma lui ha saputo trasformare una situazione difficile in qualcosa di molto positivo. E allora cerco di riconoscere che le adozioni sono complicate, e alla fine del libro traccio un parallelismo con Gesù e su come è venuto al mondo in circostanze drammatiche. Neanche la sua vita è stata del tutto lineare.

Lei afferma che queste persone famose non hanno avuto successo nonostante il fatto di essere state adottate, ma a causa di questo. C’è una qualità che tutte loro possedevano, per via della loro adozione, che le ha aiutate ad avere successo?

Penso di sì. Credo che un tema comune sia la capacità di andare avanti nonostante le avversità. E se si è una persona di fede, la capacità di riconoscere che Dio è sovrano e che quello che si vive può non risultare sempre gradito, ma ha uno scopo e non si è un caso. Un altro tema comune è la capacità di connettersi ad altre persone e come l’adozione possa portare a splendide opportunità.

Ha una storia preferita tra quelle che racconta nel libro, o una che l’abbia ispirata in modo particolare?

Sono tutte interessanti, ovviamente, ma mi ha colpito particolarmente la storia di Nancy Reagan. Era nata come Ann Nancy Robbins nel Queens, a New York, e i genitori divorziarono subito dopo. Andò a vivere per molti anni con una zia a Bethesda, nel Maryland, ma poi sua madre si risposò con un medico di nome Loyal Davis, e il legame con quell’uomo ha cambiato la storia. Nancy infatti cambiò il suo nome in Davis quando venne adottata da lui, diventando ufficialmente Ann Nancy Davis. E poi Nancy Davis si trasferì in California per perseguire la carriera di attrice, ma c’era una donna con il suo stesso nome sulla lista dei simpatizzanti comunisti, per cui a Nancy venne detto che doveva andare a parlare con il presidente del Sindacato degli Attori Cinematografici per tutelare il suo nome e la sua reputazione. Lei lo fece, e quel presidente era Ronald Reagan.

Se Nancy non fosse stata adottata, se non avesse cambiato il suo nome, non avrebbe avuto l’opportunità di incontrare Ronald Reagan. E Loyal Davis influenzò Ronald Reagan – era un democratico che diceva “Non ho mai abbandonato il mio partito, è stato il mio partito ad abbandonarmi” – per 10 anni prima che Reagan diventasse repubblicano e corresse per la carica di governatore della California e poi per la Presidenza. Senza Nancy penso che non avrebbe fatto nessuna delle due cose.

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È affascinante come il mondo possa cambiare con questo tipo di cose…

Sì, è divertente guardare la storia e cercare di “unire i puntini”. Quello che ho provato a fare con questo progetto è dire “E se non fossero stati adottati?” E penso che sia piuttosto chiaro che se non fosse successo non avrebbero fatto quello che hanno fatto.

Quale pensa che sia l’approccio tipicamente cristiano all’adozione?

Se sei cristiano, sei stato adottato nella famiglia di Dio. Quando adotti un bambino assume il tuo cognome e tutti i diritti e i privilegi che sono assegnati a quel diritto di nascita. Anche per noi cristiani è così. Non abbiamo fatto nulla per guadagnarci il favore di Dio, e sicuramente non ci siamo guadagnati per i nostri meriti la salvezza eterna, che tuttavia ci viene donata perché siamo inseriti nella sua famiglia.

L’atto di prendersi cura degli orfani e dei bisognosi è tipicamente cristiano. La Scrittura è piena di inviti a farlo. Negli Stati Uniti attualmente ci sono circa 400.000 bambini in affidamento, e 100.000 di loro sono adottabili, e c’è anche un grande bisogno a livello internazionale. Se avete un cuore aperto a questo, potete essere usati in modo molto potente.

Il sottotitolo del suo libro è “Come l’adozione cambia il mondo”. Se dovesse riassumere il modo in cui lo fa, cosa direbbe?

L’adozione ha cambiato, e continua a cambiare, il mondo in ogni segmento di vita. Ovviamente dal punto di vista personale – perché cambia la propria famiglia e le dinamiche in casa, e cambia anche quella vita in particolare. Ma cambia la vita di chiunque. Guardate Nelson Mandela, che ha liberato il suo popolo in Sudafrica perché il suo padre adottivo gli aveva insegnato le capacità di leadership di cui aveva bisogno. L’adozione ha toccato ogni aspetto della vita, ed è una cosa profonda che spesso diamo per scontata o consideriamo una nota a piè di pagina.

Penso che probabilmente l’adozione abbia anche contribuito più di qualsiasi altra cosa al rafforzamento dei rapporti tra le razze negli Stati Uniti negli anni recenti. Siamo una famiglia multietnica – mia moglie ed io siamo bianchi e due dei nostri tre bambini sono ispanici –, e 25 anni fa questo avrebbe fatto sicuramente girare molte teste, ma non è più così. È diventata una cosa normale – sicuramente nelle chiese e in molti aspetti della cultura la gente non ci fa più caso. E penso che sia un’ottima cosa. Le famiglie come la nostra sono una dimostrazione vivente di come possono essere, come dovrebbero essere e come, penso, Dio vuole che siano le cose.

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Zoe Romanowskyè lifestyle e video editor dell’edizione inglese di Aleteia.

[Traduzione dall’inglese a cura di Roberta Sciamplicotti]

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