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Charles de Foucauld e il “mistero di Nazaret”

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Vatican Insider - pubblicato il 29/11/16

A cento anni dalla morte, la vita del «piccolo fratello universale» dalla nascita alla conversione, dall’esperienza nella trappa ai tuareg del deserto. Parlano Fraccaro e Sequeri

di Cristina Uguccione

Giovedì 1° dicembre ricorre il centenario della morte del beato Charles de Foucauld, figura primaria della spiritualità cristiana recente, un uomo che – ha detto Papa Francesco – «forse come pochi altri, ha intuito la portata della spiritualità che emana da Nazaret»; un uomo il cui carisma – ha osservato il teologo Pierangelo Sequeri – «fu donato e destinato, in anticipo, per questo tempo della Chiesa».

L’ufficiale, l’esploratore

Charles de Foucauld nasce a Strasburgo, in Francia, il 15 settembre 1858. Nell’adolescenza subisce l’influsso dello scetticismo religioso e del positivismo scientifico che caratterizzano la sua epoca; ricordando quel tempo, scriverà: «Fin dall’età di 15 o 16 anni tutta la fede era sparita in me». Entrato alla scuola militare e divenuto ufficiale, è inviato con il suo reggimento in Algeria. Nel 1882 si dimette dall’esercito e parte per un viaggio di esplorazione che lo conduce dapprima in Marocco, quindi nel deserto algerino e tunisino.

«Mio Dio, fa che io Ti conosca!»

Rientra in famiglia, a Parigi, nel 1886, con l’intento di preparare un testo sulle sue scoperte: è un tempo decisivo per la sua conversione. Scriverà: «Ho iniziato ad andare in chiesa, senza essere credente, vi trascorrevo lunghe ore continuando a ripetere una strana preghiera: “Mio Dio, se esisti, fa che io Ti conosca!”». La sua conversione, accompagnata dall’abate Henry Huvelin, risale all’ottobre di quello stesso anno: «Non appena credetti che c’era un Dio, compresi che non potevo far altro che vivere per Lui».

Gesù, operaio di Nazaret

Compie subito un lungo pellegrinaggio in Terra santa, nel corso del quale annota: «Ho voglia di condurre la vita che ho intravisto, percepito camminando per le vie di Nazaret, dove Nostro Signore, povero artigiano perso nell’umiltà e nell’oscurità, ha appoggiato i piedi». Rivolgendosi a Gesù, scrive: «Come è fertile questa vita di Nazaret in esempi e in lezioni! Grazie! Grazie! Come siete buono ad averci donato questa istruzione per 30 anni!».

Tornato in patria, entra nella «Trappa Notre-Dame des Neiges» e viene poi mandato alla «Trappa di Akbès», in Siria. Si accorge però che nella Trappa non è possibile «condurre la vita di povertà, di abiezione, di distacco effettivo, di umiltà, direi anche di raccoglimento di Nostro Signore a Nazaret». Significativo un episodio che gli capita in quel periodo: «Una settimana fa sono stato mandato a pregare un poco accanto a un povero operaio nativo del posto, cattolico, morto nella frazione vicina: quale differenza fra questa casa e le nostre abitazioni! Io agogno Nazaret».

La stessa vita di Nostro Signore

Resosi conto che «nessuna congregazione della Chiesa dà oggi la possibilità di condurre con Lui questa vita ch’Egli ha condotto in questo mondo», si domanda se «non è il caso di cercare alcune anime con le quali […] formare un inizio di piccola Congregazione di questo genere: lo scopo sarebbe condurre quanto più esattamente possibile la stessa vita di Nostro Signore, vivendo unicamente del lavoro delle mani, senz’accettare nessun dono spontaneo né alcuna questua, e seguendo alla lettera tutti i suoi consigli, non possedendo niente, privandosi del più possibile, anzitutto per essere più conforme a Nostro Signore e poi per darGli il più possibile nella persona dei poveri. Aggiungere a questo lavoro molte preghiere».

Nazaret è la vita di Gesù, non semplicemente la sua prefazione

Emerge qui qualcosa di consapevolmente inedito nella geografia religiosa contestuale, osserva Sequeri che, nel volume «Charles de Foucauld. Il Vangelo viene da Nazaret» (Edizioni Vita e Pensiero), scrive: «La novità dell’intuizione è data, in prima battuta, dalla nettezza del riferimento cristologico della imitazione/sequela di Nostro Signore Gesù: “la stessa vita di Nostro Signore” Gesù, e cioè “l’esistenza umile e oscura di Dio, operario di Nazaret”». In altri termini, «Nazaret non è il ‘prologo’ della vita pubblica, il semplice momento ‘preparatorio’ della missione, la forma di una ‘pre-evangelizzazione’ che realizza una condivisione generica e una testimonianza anonima. […] Nazaret è la vita di Gesù, non semplicemente la sua prefazione. È la missione redentrice in atto, non la sua mera condizione storica. Nazaret è il lavoro, la contiguità, la prossimità domestica del Figlio che si nutre per lunghissimi anni di ciò che sta a cuore all’abba-Dio (“Non sapevate che devo occuparmi delle cose del Padre mio?”, Lc 2,49). […] Da dove potrebbe mai ripartire una nuova evangelizzazione, se non lungamente sostando – per tutto il tempo necessario – nel fondamento in cui Dio l’ha posta per il Figlio medesimo?».

La lettura dei Vangeli

Nel 1897 fratel Charles lascia la Trappa e si trasferisce a Nazaret, dove vive per tre anni, alloggiando in una casetta presso il monastero delle clarisse: le sue giornate sono scandite dal lavoro, dall’adorazione silenziosa dell’Eucaristia e dalla lettura dei Vangeli. «De Foucauld desidera vivere a imitazione di Gesù, “operaio di Nazaret”: per fare questo sceglie di affidarsi ai Vangeli, che legge quotidianamente e medita per iscritto», racconta Antonella Fraccaro, religiosa delle Discepole del Vangelo (Istituto religioso che fa parte della Association Famille Spirituelle Charles de Foucauld) e autrice del volume «Charles de Foucauld e i Vangeli» (Edizioni Glossa). «Le sue meditazioni – alcune migliaia di pagine – non hanno un taglio intimistico e autoreferenziale; esse mettono in luce soprattutto il legame intenso e affettuoso che de Foucauld vive con il Signore. Al centro delle meditazioni non c’è il loro autore, ma la persona di Gesù e il Suo stile, da assimilare giorno dopo giorno con la Sua grazia. I motivi che ispirano la lettura dei Vangeli sono espressi in un breve testo, molto significativo, scritto su un piccolo foglio utilizzato come segnalibro e promemoria. Annotava fratel Charles rivolgendosi a Gesù: “Leggo: 1°) per darvi una prova d’amore, per imitarvi, per obbedirvi; 2°) per imparare ad amarvi meglio, per imparare a imitarvi meglio, per imparare a obbedirvi meglio; 3°) per poter farvi amare dagli altri, per poter farvi imitare dagli altri, per poter farvi obbedire dagli altri”».

Con il popolo del deserto

Nel tempo trascorso a Nazaret matura in fratel Charles la vocazione al sacerdozio: viene ordinato nel 1901, in Francia, e l’anno successivo si stabilisce a Beni Abbès, nel Sahara algerino, «tra le pecore più perdute, le più abbandonate». Scrive in quei giorni: «Dalle 4.30 del mattino alle 20.30 della sera, non smetto di parlare, di vedere gente: schiavi, poveri, ammalati, soldati, viaggiatori, curiosi. […] Voglio abituare tutti gli abitanti della terra a considerarmi come loro fratello, il fratello universale». Nel 1905 decide di trasferirsi più a sud, fra i Tuareg, a Tamanrasset, dove non ci sono «né guarnigione, né telegrafo, né europeo».

La bellezza domestica dell’insediamento evangelico

Non nella Trappa ma nel deserto è quella Nazaret che fratel Charles agognava. Commenta al riguardo Sequeri: «Il punto non è tanto quello della ‘durezza’ dell’ascesi, quanto piuttosto quello di una imitazione ‘reale’ di Nazaret: che deve trovare le condizioni del proprio rigore nella normalità del contesto in cui quelle condizioni sono già date come umane e non artificiosamente cercate e ricostruite come religiose. In quelle condizioni infatti il “piccolo fratello universale” si insedia come il suo “beneamato fratello Gesù” perché uomini e donne vi sono già insediati; perché esse sono la loro vita quotidiana, l’orizzonte del loro sguardo sul mondo». Il rigore di questa inabitazione include «un principio di semplificazione e un criterio di affinità che liberano la singolare bellezza domestica dell’insediamento evangelico».

Fratello e familiare dei Tuareg

Per i suoi Tuareg fratel Charles si prodiga generosamente. «Vuole vincere le diffidenze, conquistare la loro fiducia, fraternizzare, rendersi un loro familiare; vuole far conoscere la bontà di Gesù», dice Fraccaro. «Il suo tempo era diviso tra la preghiera, le relazioni con gli indigeni, che aiutava e sosteneva in molti modi, e gli studi della lingua tuareg: redasse anche un dizionario tuareg-francese. Nelle lettere agli amici lontani chiede di pregare per queste anime abbandonate, e anche per sé: “PregateLo perché io faccia quel che vuole da me per loro, perché io sono l’unico, purtroppo!, ad occuparmi di loro da parte di Lui e per Lui”».

La presenza eucaristica

I gesti di cura, la tenace dedizione agli uomini e alle donne del deserto, convivono con una totale relazione/conversazione con il Signore presente nell’Eucaristia. Fratel Charles lo ha portato fra coloro che non lo conoscono perché anch’essi sono «suoi». È una presenza, una benedizione che tutti percepiscono, tutti sentono la preghiera e le parole che la abitano, tutti intuiscono il legame speciale cui dà vita. La presenza eucaristica del Signore condensa in sé la parola e il gesto cristiano meno «anonimi» che ci siano (Sequeri).

Se il chicco di grano non muore

Charles de Foucauld muore il 1° dicembre 1916, a Tamanrasset, colpito da un colpo di fucile durante una scaramuccia provocata da truppe ribelli del Sahara. Lui, che dal 1893 sino alla fine della sua vita si applicò alla redazione di «Regole» per quelle aggregazioni che tanto aveva desiderato, morì solo. Nei decenni successivi sono nate molte famiglie di religiosi, religiose, sacerdoti e laici che a lui si ispirano: attualmente sono venti, presenti in tutto il mondo. Riunite nella Association Famille Spirituelle Charles de Foucauld, comprendono circa 13mila persone. «Nella loro diversità – conclude Fraccaro – queste famiglie hanno tratti comuni: l’insediamento nei contesti dell’esistenza ordinaria, la vita in piccole comunità legate da spirito fraterno, la meditazione della Parola di Dio, la dedizione alle anime più sofferenti e abbandonate. Il chicco di grano, morendo, ha portato frutto, proprio come de Foucauld – legatissimo a questo versetto del Vangelo di Giovanni (12,24) – sperava accadesse».

QUI L’ARTICOLO ORIGINALE

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