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«Il clericalismo è ricco. E se non è ricco di denaro, lo è di superbia»

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Iacopo Scaramuzzi - Vatican Insider - pubblicato il 24/11/16
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Nel colloquio con i gesuiti pubblicato da Civiltà cattolica il Papa spiega che nei seminari è tornata a instaurarsi una rigidità e vanno coinvolti i laici nel discernimento vocazionale. «Il clericalismo è ricco. E se non è ricco di denaro, lo è di superbia». Lo scorso 24 ottobre Papa Francesco ha fatto visita ai gesuiti che, riuniti nella loro 36esima congregazione generale, avevano appena eletto il nuovo superiore, il venezuelano Arturo Sosa. Il Pontefice è rimasto presso la Curia generalizia, a pochi passi dal Vaticano, per un’ora e mezza, rispondendo a braccio alle domande dei religiosi dell’ordine dal quale egli stesso proviene. Nel colloquio, ora pubblicato dalla Civiltà cattolica, Francesco affronta i temi più disparati, dalle guerre in Africa e Medio Oriente, «che derivano da tutta una storia di colonizzazione e di sfruttamento», alla teologia tomista «del grande San Tommaso» che sta dietro l’Amoris laetitita, «non quella della scolastica decadente», dalle critiche che riceve («Credo che a volte perfino il peggiore dei malintenzionati possa fare una critica che mi aiuta»), alla mancanza, oggi, di «grandi politici che erano capaci di mettersi sul serio in gioco per i loro ideali e non temevano né il dialogo né la lotta», dal rischio di leader che vogliano riformare la costituzione per restare oltre il periodo costituzionale di mandato al «centralismo romano» che in passato ha bloccato i pionieri dell’evangelizzazione. Francesco insiste a più riprese e da diverse angolature sul tema del «problema serio» del clericalismo, sottolineando, in vista del sinodo del 2018, che «non promuovere vocazioni locali è una legatura delle tube ecclesiali. E’ non lasciare che quella madre abbia figli suoi».

«A me è successo a Buenos Aires, da vescovo, che preti molto buoni, più di una volta, conversando dicessero: “In parrocchia ho un laico che vale oro!”. E me lo dipingevano come un laico di “prima categoria”. E poi mi chiedevano: “Che le sembra se lo facciamo diacono?”. Ecco il problema: il laico che vale lo vogliamo fare subito diacono, lo vogliamo clericalizzare», afferma il Papa, in risposta ad una domanda sul crollo di vocazioni soprattutto in luoghi in cui si è stati riluttanti a promuovere vocazioni locali, nel prossimo numero, in uscita sabato, del quindicinale dei gesuiti diretto da padre Antonio Spadaro. «Il clericalismo non lascia crescere, non lascia crescere la forza del battesimo», «induce dipendenze che a volte mantengono interi popoli in un forte stato di immaturità».

Quando apparvero le comunità ecclesiali di base, ricorda Jorge Mario Bergoglio, ci furono veri e propri scontri «perché là i laici cominciarono ad avere un ruolo un po’ forte di protagonisti, e i primi a sentirsi insicuri erano alcuni preti. Sto generalizzando troppo, ma lo faccio di proposito: se caricaturizzo il problema, è perché il problema del clericalismo è molto serio. Rispetto alle vocazioni locali – prosegue Francesco – dico che della riduzione delle vocazioni si tratterà nel prossimo Sinodo. Credo che le vocazioni esistano, semplicemente bisogna sapere come vengono proposte e quale cura ricevono. Se il prete va sempre di fretta, se è immerso in mille questioni amministrative, se non ci convinciamo che la direzione spirituale è un carisma non clericale ma laicale (che può svolgere anche il prete), e se non mettiamo e convochiamo i laici nel discernimento vocazionale, è evidente che non avremo vocazioni». In questo quadro, «non promuovere vocazioni locali è un suicidio, significa né più né meno sterilizzare la Chiesa, perché la Chiesa è madre. Non promuovere vocazioni locali è una legatura delle tube ecclesiali. E’ non lasciare che quella madre abbia figli suoi. E questo è grave».

In molti altri punti del colloquio il Papa torna sul tema del clericalismo. «Il clericalismo, che è uno dei mali più seri nella Chiesa, si discosta dalla povertà», spiega il Pontefice. «Il clericalismo è ricco. E se non è ricco di denaro, lo è di superbia. Ma è ricco: c’è un attaccamento al possesso. Non si lascia generare dalla madre povertà, non si lascia custodire dal muro povertà. Il clericalismo è una delle forme di ricchezza più gravi di cui al giorno d’oggi si soffre nella Chiesa. Almeno, in alcuni luoghi della Chiesa. Perfino nelle esperienze più quotidiane».

Francesco spiega, in merito alla «audacia profetica» che deve avere la Chiesa, che «il coraggio non sta solamente nel fare rumore, ma anche nel saperlo fare, e sapere quando farlo e come farlo. E anzi si deve prima di ogni cosa discernere se si deve far rumore oppure no». A volte, poi, «l’audacia profetica è chiamata ad attaccare la corruzione, molto diffusa in alcuni Paesi. Una corruzione per cui, per esempio, quando si esauriscono i periodi costituzionali di mandato, subito si cerca di riformare la Costituzione per restare ancora». Oggi «la nostra audacia profetica, la nostra coscienza, deve orientarsi verso il lato dell’inculturazione». L’unità «si fa conservando le identità dei popoli, delle persone, delle culture». In passato, di fronte a missionari come Matteo Ricci e di Roberto de Nobili, veri «pionieri» dell’evangelizzazione in Cina e India, «una concezione egemonica del centralismo romano frenò quell’esperienza, la interruppe».

In tema di morale, «sto notando proprio la carenza del discernimento nella formazione dei sacerdoti», afferma il Papa. «Rischiamo infatti di abituarci al “bianco o nero” e a ciò che è legale. Siamo abbastanza chiusi, in linea di massima, al discernimento. Una cosa è chiara: oggi in una certa quantità di seminari è tornata a instaurarsi una rigidità che non è vicina a un discernimento delle situazioni. Ed è una cosa pericolosa, perché può condurci a una concezione della morale che ha un senso casuistico». Il Papa ricorda alla sua epoca dovette studiare una «scolastica decadente», mentre «nella misura in cui si scende nei particolari, la questione si diversifica e assume sfumature senza che il principio debba cambiare. Questo metodo scolastico ha la sua validità. E’ il metodo morale che ha usato il Catechismo della Chiesa Cattolica. Ed è il metodo che si è utilizzato nell’ultima esortazione apostolica, Amoris laetitia, dopo il discernimento fatto da tutta la Chiesa attraverso i due Sinodi. La morale usata in Amoris laetitia è tomista, ma quella del grande san Tommaso, non quella» decadente. Si deve fare «teologia in ginocchio»: «Non si può fare teologia senza preghiera».

«Credo che a volte perfino il peggiore dei malintenzionati possa fare una critica che mi aiuta», puntualizza il Papa. «Bisogna ascoltarle tutte e discernerle. E non bisogna chiudere la porta a nessuna critica, perché corriamo il rischio di abituarci a chiudere porte».

Oggi «mancano quei grandi politici che erano capaci di mettersi sul serio in gioco per i loro ideali e non temevano né il dialogo né la lotta, ma andavano avanti, con intelligenza e con il carisma proprio della politica», afferma il Papa. «La politica è una delle forme più alte della carità. La grande politica. E su questo credo che le polarizzazioni non aiutino: invece ciò che aiuta, nella politica, è il dialogo». Quanto al Medio Oriente e all’Africa, «là c’è una situazione di guerra continua. Guerre che derivano da tutta una storia di colonizzazione e di sfruttamento».

Il Papa si confida: «Sto parlando in famiglia e quindi posso dirlo: io sono piuttosto pessimista, sempre! Non dico di essere depressivo, perché non è vero. Però è vero che tendo sempre a guardare la parte che non ha funzionato. E quindi per me la consolazione è il migliore anti-depressivo che io abbia trovato!». A conclusione del colloquio, il Papa ha ringraziato «per le domande e per la vivacità, e – ha aggiunto – scusatemi se ho lasciato andare la lingua…». Il superiore dei gesuiti, padre Sosa, lo ha ringraziato di cuore «per la sua fraterna presenza tra noi e perché…, grazie a Dio, ha lasciato andare la lingua! Grazie per il suo apporto al nostro discernimento!».

 

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