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Condividere le tradizioni di famiglia, un modo per far rivivere chi non c’è più

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Sherry Antonetti - pubblicato il 15/11/16

Raccontate ai vostri figli le storie dei parenti che non ci sono più; e vivete le vostre vite in modo che un giorno siano loro a raccontare storie edificanti su di voi

Novembre è il mese migliore per ricordare coloro che non sono più con noi. Per parlare ai più giovani delle persone che abbiamo amato. E per riconoscere che un giorno anche noi saremo i protagonisti delle storie raccontate a bambini che non hanno mai visto il nostro volto. In questo mese voglio provare a raccontare in modo diverso la storia di chi è andato via. Voglio che i miei figli si approprino delle tradizioni di famiglia.

Mi piace il fatto che tutti conoscono la storia del loro bisnonno. Quando era nei campi non ha mai dovuto fare i piatti perché non si è mai lamentato del cibo. Agli altri mandriani non andava a genio il fatto che lui non pulisse mai la cucina, e una volta inondarono di tabasco le sue uova. Appena fece un morso saltò dalla sedia e urlò: “Mamma mia, come è piccante!“. L’intera squadra tacque. Poi ammiccò e aggiunse: “Proprio come piace a me“. E tutti si misero a ridere.

Mi piace il fatto che conoscono la storia di mio zio, per cui ogni occasione era buona per fare una battuta, anche se a volte poteva apparire inopportuno. Da bambino, una volta suo padre aveva detto ai ragazzi di andare a dormire: “Non voglio sentire una mosca volare!“, tuonò. Zio Pat fece il verso della mosca: “Bzzz! Bzzz! Bzzz!“, e i suoi due fratelli maggiori lo seguirono, portando il papà ad andarsene sbattendo la porta, con un nugolo di “mosche” alle sue spalle.

Mi piacciono le storie. Rivelano tutta l’umanità delle persone, colorando di emozioni le foto in bianco e nero, scatti statici di realtà che altrimenti non trasmetterebbero granché. Insegnano ai miei figli come usare il senso dell’umorismo per risolvere i problemi.

Vale la stessa cosa per noi adulti, quando ascoltiamo le storie dei santi. Se non leggiamo le loro parole e non ascoltiamo le loro storie, rischiano di rimanere statici come le statue che li rappresentano. È importante sapere come hanno superato i loro ostacoli, sapere che hanno lottato. Raggiungere la santità non fu né facile né noioso; fu un’impresa eroica, seppure difficile. Voglio che i miei figli conoscano le storie della loro famiglia perché voglio che sappiano da dove vengono. E a maggior ragione voglio che conoscano le storie dei santi, in modo che sappiano dove tutti noi vogliamo andare.


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Grazie a Dio, santi recenti come Giovanni Paolo II e Madre Teresa possono mostrare a questa generazione che i santi non appartengono a un mondo ancestrale senza cellulari, computer, stazioni spaziali o automobili. Chiunque approfondisca la vita di questi santi moderni scopre una saggezza fondamentale per la nostra epoca: come prendersi cura di chi soffre, come parlare della dignità della vita, come morire a se stessi e come rifiutarsi di cambiare opinione per abbracciare un’idea più comoda che risulta piacevole agli altri. Aiutano a mostrare ai nostri figli cosa siano la saggezza, la verità, la bellezza, cosa sia una vita vissuta per Cristo. E non è niente di miserabile, noioso o repressivo. Anzi, è un qualcosa di forte, di impegnativo, di sconvolgente.

In questo mese prendetevi dunque del tempo per mostrare ai vostri figli l’album di famiglia e per raccontare le storie dei loro antenati. In modo che tocchino le radici che hanno portato nutrimento a ciò che è adesso la vostra famiglia. E parlate loro dei santi, che saranno la loro guida ovunque andranno.

Poi però uscite insieme, giocate a baseball o andate a fare una passeggiata. Fate qualcosa di leggero, così che un giorno – quando saranno loro a raccontare delle storie – voi possiate essere le persone divertenti e simpatiche che ognuno vorrà ricordare a novembre.


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[Traduzione dall’inglese a cura di Valerio Evangelista]

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