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Come consigliare i dubbiosi a scegliere tra il bene vero e il bene falso

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Flickr.com/ Creative Commons/ ©massimo ankor

Silvia Lucchetti - Aleteia - pubblicato il 11/11/16

Don Fabio Rosini ci aiuta a comprendere il senso profondo delle opere di misericordia spirituale

«La felicità più profonda, nella vita, è prendersi cura di qualcuno» è una delle frasi che più rimane impressa del libro “Solo l’amore crea. Le opere di misericordia spirituale” (San Paolo edizioni) di don Fabio Rosini. Forse perché il mondo confuso di oggi vuole farci credere il contrario, che la felicità derivi dal soddisfare completamente se stessi e i propri bisogni. Quanti film, quante canzoni e quanti libri ci hanno inculcato il messaggio del “cerca te stesso”? Eppure noi uomini moderni che ci stiamo bevendo la balla – ormai soffocati dai nostri desideri smodati e da un egoismo ipertrofico e infantile – siamo sempre più infelici. Ma perché? Svincolati dall’altro, non dovevamo essere finalmente appagati e felici?

Monsignor Matteo Zuppi nella prefazione sottolinea che le pagine “scritte” di questo libro “in realtà parlano”, e sono rivolte a tutti…

«(…) anche ai preti e agli educatori che invece di legare a Cristo si preoccupano del loro ruolo e della considerazione; ai genitori che scappano dalla responsabilità; ai cristiani intossicati da luoghi comuni buonisti, surrogati e caricature di sentimenti e scelte veri. La misericordia, infatti, è un’assunzione di Dio, pagata a caro prezzo, che porta in alto, fa sentire davvero amati e insegna a trovare risposte all’amore per l’altro, senza paure e falsi rispetti. La misericordia libera dalla falsa religione dell’individualismo, per cui ti lascio solo, magari con tanta buona educazione o con anonime e asettiche verità virtuali. Misericordia è farsi carico dell’altro, scelta di Dio che diventa la nostra scelta, mia e sua allo stesso tempo».

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LA MISERICORDIA È UN ATTO, NON UN SENTIMENTO!

L’autore comincia affermando che la misericordia, come l’amore, non è un sentimento ma un atto.

«L’amore non è un mollusco! L’amore è forte, potente, incide. Se l’amore fosse un sentimento, non muoverebbe nulla, resteremmo tutti in una brodaglia di stati d’animo. Un amico vero ti vede come sei o cosa fai e resta estraneo? Non ti contesta se ti serve? Non si sporca le mani con te? Chi è un buon padre? Quello che concede tutto o quello che, senza esasperare, sa correggere i propri figli e portarli al loro vero bene? (…)La misericordia di Dio è la sua cura della nostra vita, perché la misericordia è la premura per qualcun altro, è la ricerca del bene di qualcun altro. (…) No, nessun dubbio: la misericordia è un atto, è un’opera, è una sapienza, una cura, una sana apprensione per l’altro che non molla fino a quando non ha aiutato l’altro verso il buon risultato. È saper accogliere, e quindi guardare, e gridare se ce n’è bisogno, saper dire di no oppure di sì, non dipende da ciò che “sente”, ma da quello che serve di più. Il centro della misericordia non è l’amante e i suoi sentimenti, ma l’amato e il suo vero bene. Se resta solo l’amante è narcisismo, è estetica».

Delle sette opere di misericordia spirituale di cui tratta don Fabio Rosini nel suo libro, ci concentreremo sulla prima: CONSIGLIARE I DUBBIOSI.

La parola dubbio, spiega l’autore, deriva da “due”, “dualità”, e attraverso il capitolo tre del libro della Genesi ci mostra come il dubbio venga dal demonio:

«Satana è il maestro di quest’ambiguità, incrina il senso del vero e del bello, mostrando il male dove non c’è. Satana non nega che Dio esista ma fa credere che in Dio sia presente il male. L’uomo perciò è costretto da questo ragionamento a determinare se stesso, la propria vita, partendo dalla coesistenza di tutte le ipotesi, anche le peggiori, ossia quella di un Dio fondamentalmente non certo, o non buono, o non presente o non partecipe».

Qual è il problema dei dubbiosi?

Ogni giorno la vita ci pone davanti delle scelte, prendere una strada rispetto ad un’altra implica conseguenze dove “talvolta, ci giochiamo tutto”. Le scelte che facciamo possono essere semplici e con pochi rischi, o enormi e complesse, in grado di compromettere molto della nostra vita. Restare fermi di fronte alle decisioni da prendere, immobilizza l’esistenza.

«Un dubbio, a sua volta, può “stroncare” una persona fino a ridurla in uno stato di inattività. Esistono persone, ed è un dato antropologico nuovo, che entrano in una fase d’indecisione attorno ai vent’anni e non ne escono per molto tempo. Essendo fallita la fase d’identificazione della propria direzione, si può arrivare ai quarant’anni senza aver fatto alcuna scelta definitiva. È un’area di parcheggio di cui molti non trovano l’uscita e le persone in questo stallo non riescono, per esempio, a sposarsi o ad identificarsi, ossia a prendere una via univoca. Spesso sono condizionati da una cultura circostante di fatto largamente ambigua».

IL BIVIO DEL DUBBIOSO: FRA IL BENE VERO E IL BENE FALSO

«(…)Se la scelta fosse fra il bene e il male, sarebbe facile e schematico, chi deve scegliere tra questi estremi sceglie di sicuro il bene, non è difficile. Ma non è mai così banale. La vera scelta, infatti, non è fra il bene e il male ma fra il bene vero e il bene falso. Tutte le opzioni, nelle scelte serie, hanno almeno una parvenza di bene ed è questo che rende arduo il campare. Il dubbioso, colui che deve decidere, si trova a un bivio e non riesce a farlo».

DUE STRATEGIE FALLIMENTARI PER AIUTARE UN DUBBIOSO

La primaè la tendenza razionalista, che si orienta a cercare una soluzione “oggettiva”, incasellando in schemi già noti la complessità delle persone e dei loro problemi.

«(…)tu mi poni un tuo problema e io cerco lo schema in cui metterti, appiccicandoti addosso altro, senza ascoltarti veramente. Sono i consigli “professionali”. Il dubbioso è messo, a martellate, dentro il novero delle cose che già sappiamo».

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La seconda strategia ricorre al paternalismo infantilizzante, in cui al dubbioso viene offerta meccanicamente da qualcuno che è in una posizione di “superiorità” la risposta – magari anche funzionale nell’immediato – invece di aiutarlo a trovare autonomamente il suo percorso per risolvere il dilemma in cui si trova e imparare così a camminare con le sue gambe.

«(…)Quanti dittatori delle coscienze ho incontrato, laici e preti, che infantilizzano le persone in nome dell’obbedienza, lasciandole in condizione minorile per un assioma inconsapevole: risolvere il problema è più importante che far crescere le persone. E la prossima volta che farà questo fratello? Dovrà tornare da me a chiedermi come fare, perché non l’ho aiutato a crescere nel problema, ma ho dato la soluzione. Ripeto: la soluzione diventa più importante del fratello».

IL BUON CONSIGLIERE AIUTA A PORSI LE GIUSTE DOMANDE

Consigliare deriva dal latino e significa ”sedersi accanto a qualcuno” per aiutarlo a “disambiguare la realtà”, partendo «(…)dalle certezze, ma non dalle certezze del consultato, ma del dubbioso. E questo implica farlo parlare, conoscerlo, lasciare che vengano fuori i suoi fulcri».

Dopo questo momento il compito del buon consigliere, che cerca veramente il bene dell’altro, non è quello di fornirgli le risposte ma di aiutarlo a farsi le domande che possano riportarlo nella giusta prospettiva da cui partire per affrontare il suo dilemma.

“(…) Il punto di forza è partire dai “sì”, dalle certezze, è annunziare le cose nitide e chiare con semplicità”, nella consapevolezza che, per noi cristiani, qualunque sia il bivio in cui ci troviamo a dover scegliere, “i nostri dubbi sono radicati nell’antico dubbio suscitato dal serpente, in quel “no”, il dubbio che in Dio possa essere presente sia l’amore che il non amore, che la realtà possa essere una storia di salvezza ma anche no. L’antico inno del Te Deum dice: (…)«Tu sei la nostra speranza, non saremo confusi in eterno»”.

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