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Papa Francesco: “Quando predico devo guardare negli occhi”

Pope Francis Holy Mass for World Youth Day Sunday 31 July 2016

© Marcin Mazur/catholicnews.org.uk

Andrea Tornielli - Vatican Insider - pubblicato il 10/11/16

Nella conversazione che apre il libro con la raccolta delle omelie e i discorsi fatti da arcivescovo di Buenos Aires, Francesco spiega come nasce una sua omelia di Santa Marta e l’importanza di parlare tenendo presente la concretezza del vissuto della gente

In seminario, quando ancora non era sacerdote, Jorge Mario Bergoglio era contrario alle omelie interamente scritte e al professore che un po’ stupito gliene chiedeva conto, aveva risposto: «Se si legge, non si può guardare la gente negli occhi». È uno degli aneddoti raccontati da Papa Francesco nella conversazione con padre Antonio Spadaro che introduce il libro «Nei tuoi occhi è la mia parola» (Rizzoli), un volume di mille pagine da oggi in libreria che raccoglie omelie e discorsi tenuti a Buenos Aires tra il 1999 e il 2013.

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«Quando in seminario ci insegnavano omiletica – racconta il Pontefice – io già avvertivo una forte avversione per i fogli scritti in cui c’è tutto. E questo lo ricordo bene. Ero e sono convinto che tra il predicatore e il popolo di Dio non ci deve essere in mezzo niente. Non può esserci una carta. Un appuntino scritto sì, ma non tutto quanto». Ancora oggi, prosegue Bergoglio, continuo a «cercare gli occhi della gente. Anche qui in piazza San Pietro. Quando io saluto c’è la massa. Ma io non la vedo come massa: cerco di guardare almeno una persona, un volto preciso. A volte è proprio impossibile per la distanza. È brutto quando sono troppo distante. A volte provo senza riuscirci, ma ci provo. Se ci provo vedo che c’è qualcosa, che scatta qualcosa. Se guardo uno poi forse anche gli altri si sentono guardati. Non come “massa” ma come singoli, come persone. Io guardo i singoli e tutti si sentono guardati».

Certo, ammette Francesco, adesso «ovviamente qui devo leggere spesso le omelie. E allora mi ricordo che cosa dicevo da studente. Per questo tante volte esco dal testo scritto preparato, aggiungo parole, espressioni che non sono scritte. In questo modo guardo la gente. Quando parlo devo parlare a qualcuno. Lo faccio come posso, ma ho questo profondo bisogno… Ho questo impulso a uscire dal testo, a guardare negli occhi».

Nella conversazione che apre il volume Papa Bergoglio racconta per la prima volta come nascono le omelie della messa mattutina a Santa Marta, l’appuntamento che più caratterizza il suo pontificato, il magistero day-by-day con il commento alle Scrittura seguito da tantissime persone in tutto il mondo. «Comincio il giorno prima – confida all’intervistatore – a mezzogiorno del giorno precedente. Leggo i testi del giorno dopo e, in genere, scelgo una tra le due letture. Poi leggo a voce alta il brano che ho scelto. Ho bisogno di sentire il suono, di ascoltare le parole. E poi sottolineo nel libretto che uso quelle che mi colpiscono di più. Faccio dei circolini sulle parole che mi colpiscono. Poi durante il resto della giornata le parole e i pensieri vanno e vengono mentre faccio quel che devo fare: medito, rifletto, gusto le cose… Ci sono giorni, però, in cui arrivo alla sera e non mi viene in mente nulla, in cui non ho idea di che cosa dirò il giorno dopo. Allora faccio quel che dice sant’Ignazio: ci dormo su. E allora subito, quando mi sveglio, viene l’ispirazione. Vengono cose giuste, a volte forti, a volte più deboli. Ma è così: mi sento pronto».

Dunque per le brevi omelie mattutine a Santa Marta Francesco non si serve di testi scritti e neanche di appunti. Ma per arrivare a dire ciò che dice servono molte ore di preparazione spirituale. «Sempre – afferma in un altro passaggio della conversazione – sempre predicare ha fatto bene a me. Mi ha fatto felice».

Il Papa racconta di incontri ed esperienze vissute con le persone, in confessionale, nei dialoghi personali e di come tutto questo lo abbia sempre aiutato nel predicare. «Quanto più sei vicino alla gente più predichi meglio o più avvicini la Parola di Dio alla loro vita. Così si collega la Parola di Dio con un’esperienza umana che ha bisogno di quella Parola. Quanto più di allontani dalla gente e dai problemi della gente, tanto più ti rifugi in una teologia inquadrata del “si deve e non si deve”, che non comunica nulla, che è vuota, astratta, persa nel nulla, nei pensieri… A volte con le nostre parole rispondiamo a domande che nessuno pone».

QUI L’ARTICOLO ORIGINALE

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