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3 riflessioni sulla bellezza a partire da un miracolo eucaristico

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Flickr.com/ Creative Commons/ ©Saint Joseph

Catholic Link - pubblicato il 10/11/16

Di Luisa Restrepo

Alcuni mesi fa ho compiuto un viaggio in alcuni Paesi europei. Rimanevo continuamente sorpresa dalla bellezza dei paesaggi, dalle chiese, dalle vie acciottolate e dalle imponenti costruzioni piene di storia. In ogni momento mi veniva in mente la fame di bellezza dell’essere umano, la necessità di vederla, di toccarla, di conoscerla e anche di esprimerla in varie forme.

Il momento più impressionante di tutto il viaggio ha avuto come teatro la città di Siena. Anche se il suo duomo è bellissimo, penso che il luogo più bello sia la chiesa di San Francesco.

Il miracolo eucaristico permanente di Siena si manifesta nella prodigiosa conservazione, contro ogni legge fisica, chimica o biologica, di 223 ostie consacrate il 14 agosto 1730 e profanate nella stessa notte da ladri sconosciuti che miravano al recipiente argenteo nel quale erano custodite.

Siamo rimasti per un bel po’ davanti alle 223 ostie esposte, e abbiamo toccato l’ostensorio che le custodisce. È stato un momento profondamente bello. Sono riuscita davvero a toccare la bellezza, a toccarla letteralmente. La prima domanda che mi è venuta in mente è stata “Cos’è successo qui?”, “Come mai, se ho visto luoghi mille volte più belli, ho visitato grandi monumenti e ho contemplato paesaggi grandiosi, ho sperimentato e toccato la bellezza qui, davanti a un ostensorio come tanti, con 223 ostie? In cosa risiede la bellezza? O meglio, cos’è la bellezza?”

Mi sono resa conto del fatto che la bellezza non può essere semplicemente la formache corrisponde a un’idea, ovvero che non c’è niente a questo mondo che possa esserne un paradigma (neanche il tramonto più spettacolare). Leggendo un po’, ho trovato un intervento di padre Marko Rupnik, “La bellezza, luogo di comunione”. Il sacerdote afferma che in tutte le lingue latine la bellezza si origina dalla forma. Nell’antichità, bello si diceva “formoso” (ovvero parte della forma), ma in russo la parola che indica la bellezza – krasatà, krasidi, che significa bello – proviene da “krasna”, che vuol dire “rosso”. Per i russi la bellezza non è la forma, ma il colore.

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Partendo da questa lettura ho potuto dedurre tre aspetti importanti che hanno trovato perfettamente senso se inseriti nella mia esperienza a Siena:

1. La bellezza è luce

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A cosa è collegato il colore? Alla luce. I colori sono i primi testimoni della luce. Se non c’è luce non c’è alcun colore. Padre Rupnik usa un buon esempio: cos’è che splende quando partecipo a una liturgia in una chiesa oscura, nella quale ci sono solo delle candele accese? Le cose che hanno colore, che proiettano la luce, come le vetrate o i mosaici che hanno oro o colori dorati e che sono belli perché sembra che la loro luce venga dall’interno. È una luce che apre le porte a un mistero che sembra nascosto. Posso dire che è la stessa luce che brillava quel giorno in quelle 223 ostie in cui è nascosta la Bellezza stessa.

2. Non c’è bellezza senza unità

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Una parola associata alla bellezza è “unità”. Sperimento la bellezza reale di una persona perché sono unito a lei. Mi riferisco alla bellezza della quale stiamo parlando, quella che va al di là della forma. La bellezza si manifesta come unità con quello che consideriamo bello, unità perché ci identifichiamo in qualcosa, perché c’è qualcosa che ci piace, perché c’è qualcosa che richiama la nostra attenzione, qualcosa che ci attira e ci invita a unirci con forza a quella persona o a quella cosa che è bella. La stessa attrazione emanata quel giorno da quelle 223 ostie in cui è nascosta la Bellezza stessa.

3. Siamo “accesi”

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L’altra esperienza che distinguiamo quando riconosciamo qualcosa come bello è che ci entusiasma. Sentiamo come veniamo illuminati da dentro da una forza traboccante di allegria che non proviene da noi, ma da quello che vediamo o percepiamo con i nostri sensi. Sentiamo letteralmente che qualcosa si accende dentro di noi. Può essere una fiamma piccola o grande, ma nasce qualcosa. E pensare che cerchiamo tutta la vita di accenderci con i nostri mezzi! Ma questo non è possibile: abbiamo bisogno che qualcuno alimenti costantemente la nostra speranza, una presenza, una persona reale.

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E allora la bellezza è luce dal di dentro, perché è luce che ci unisce, che ci apre al mistero dell’altro. È comunione. E perché è comunione? Perché non le basta che la ammiriamo. Ha bisogno che la sperimentiamo da dentro come unità.

Per questo, Cristo, la Bellezza stessa, si nasconde in quel pezzo di pane, perché vuole unirsi a noi, perché vuole renderci partecipi della sua bellezza e del suo amore.

Padre Rupnik dice che “la bellezza per noi cristiani è quando nelle cose vediamo un volto, quando le cose diventano sottili, trasparenti, e io vedo attraverso di esse. È una luce che viene da dentro, una luce calda, che ti avvolge e ti fa innamorare. La bellezza è la comunione. La bellezza ti conduce naturalmente all’amore”.

Per questo la bellezza è un grande mistero pasquale. L’Amore, che è Dio stesso, resta con noi, si unisce e cerca di realizzarsi in noi. E come si realizza? Attraverso il sacrificio di sé. La forma dell’amore di Dio è questa. Per questo motivo noi cristiani non possiamo prendere l’idea perfetta della bellezza, e per questo la capiamo un po’ tardi (come nel mio caso), perché prima la cerchiamo nella forma perfetta, la confondiamo con la cosmetica, con il romantico, con l’idealista… ma alla fine scopriamo il sacramento, in cui dentro una cosa ce n’è un’altra, in cui dentro una cosa (apparentemente non bella) si nasconde un mistero, il mistero della Bellezza stessa: una luce capace di trasformare, di accendere dal di dentro e di farti cadere innamorata ai suoi piedi. Il miracolo eucaristico di Siena per me ha significato proprio questo.

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Luisa Restrepoè una laica consacrata della Fraternità Mariana della Riconciliazione. Ha studiato Comunicazione sociale. È colombiana ma attualmente vive a Lima (Perù), dove si incarica di progetti apostolici per i giovani.

[Traduzione dallo spagnolo a cura di Roberta Sciamplicotti]

QUI IL LINK ALL’ARTICOLO ORIGINALE

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