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Il salterio dell’arcivescovo

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L'Osservatore Romano - pubblicato il 09/11/16

Identificato un codice appartenuto a san Tommaso Becket

di Gabriele Nicolò

Quando fu assassinato, nel 1170, Thomas Becket aveva in mano il suo libro di salmi personale: lo stesso libro che lo storico Christopher de Hamel afferma di aver trovato, nei giorni scorsi, tra gli scaffali della Parker Library di Cambridge.
L’intrigante tesi sostenuta dall’accademico è scaturita da una semplice conversazione, poi rivelatasi illuminante, con un collega che gli aveva mostrato un’annotazione contenuta nel Sacrists’ Roll della cattedrale di Canterbury, risalente al 1321, che fornisce una dettagliata descrizione del salterio, rilegato con pietre preziose, che era conservato come una reliquia nella tomba dell’arcivescovo cattolico inglese. De Hamel, citato dal «The Guardian», afferma che allora, in un attimo, si è svelato l’arcano. Quella descrizione corrispondeva perfettamente a un libro dei salmi che aveva già visto e analizzato: quello appunto conservato nella Paker Library. Lo storico dunque si dice convinto che si tratta dello stesso manoscritto che era custodito nel reliquiario di Becket.

La vetrata istoriata della Trinity Chapel raffigurante Becket con in mano il salterio

Secondo un’annotazione databile intorno al sedicesimo secolo, scrive Alison Flood sul «The Guardian», quel salterio un tempo era appartenuto all’arcivescovo ma, dichiara de Hamel, «gli studiosi hanno sempre pensato si trattasse di un’ipotesi senza fondamento, trascurando così il decisivo legame tra l’annotazione del Sacrists’ Roll e il manoscritto conservato nella Parker Library».
In un articolo pubblicato sul «Saturday’s Guardian Review» lo storico — che proprio recentemente ha scritto un libro che sta avendo grande successo in Gran Bretagna, Meetings with Remarkable Manuscripts — sostiene che il salterio fu redatto a Canterbury e che risale all’inizio dell’undicesimo secolo. Venne composto per uso privato a beneficio di Alphege, arcivescovo cattolico inglese (dal 1005 al 1012) che venne assassinato dai vichinghi a Greenwich: venerato come santo sia dalla Chiesa cattolica che dalla Chiesa anglicana, Alphege fu il personale patrono di Becket, che per lui — simbolo di pietà e di pace — nutrì una grande devozione.
L’annotazione del Sacrists’ Roll, evidenzia de Hamel, dice che il salterio appartiene all’arcivescovo di Canterbury, e che è un salterio per uso personale. «Sono convinto — afferma l’accademico di Cambridge — che Becket s’imbattè in questo libro e che, in segno di fedeltà al suo amato patrono, ne prese subito possesso».
Corrobora questa tesi un particolare certamente non trascurabile: la vetrata istoriata della Trinity Chapel a Canterbury mostra l’arcivescovo con in mano un libro che ha le stesse dimensioni del salterio in questione e quella stessa raffinata rilegatura decorata con pietre preziose. La vetrata è situata sopra il reliquiario di Becket ed è quasi contemporanea alla morte del santo: reliquiario che fu distrutto, nel sedicesimo secolo, da Enrico viii.
«Ovviamente — afferma lo studioso — chi dipinse quella vetrata intese mostrare ciò che era contenuto nel reliquiario, ubbidendo anche a una strategia di marketing. E quando il reliquiario venne distrutto, nulla che in esso era conservato si salvò, eccezion fatta per il salterio».

Così numerosissimi fedeli, vedendo in questo speciale accadimento il segno di una precisa volontà divina, vennero in pellegrinaggio nella cattedrale: e tra i fedeli c’era anche Geoffrey Chaucer, che nei Canterbury Tales descrisse quei pellegrinaggi.
La tesi di de Hamel, incentrata sulla presenza del salterio al momento dell’assassinio, contribuisce a rimarcare, una volta di più, la profonda religiosità di Becket, assurto come simbolo di difensore della fede contro l’assolutismo politico. Tratto, questo, reso magistralmente nel dramma di Thomas Stearns Eliot Murder in the Cathedral (1935) che raffigura la radicale contrapposizione tra potere civile e potere spirituale. E in questo contesto il salterio rimanda a quel culto della preghiera che nel Becket di Eliot rappresenta la ragion d’essere di ogni cristiano, soprattutto di quelli che sono destinati al martirio.

E come afferma l’arcivescovo nel dramma di Eliot, durante la messa di Natale del 1170 celebrata nella cattedrale di Canterbury, «un martirio è sempre un disegno divino e mai un disegno dell’uomo, perché il vero martire è colui che è diventato lo strumento di Dio e che non desidera più niente per se stesso, neppure la gloria di essere un martire». In questo assunto risuonano potenti i versi del terzo canto del Paradiso dantesco, E ‘n la Sua voluntade è nostra pace (l’incontro con Piccarda Donati) che ricordano all’umanità il dovere di conformarsi alla volontà divina, fino al sereno e proficuo annullamento di se stessi. Ed Eliot, che per Dante aveva un vera e propria venerazione, riconosce in Becket la figura perfetta in cui travasare questo credo. E così, quando quattro cavalieri irrompono nella cattedrale per ucciderlo (forse su ordine di Enrico ii), l’arcivescovo, pur sollecitato dai sacerdoti a fuggire e a mettersi in salvo, rimane saldo al suo posto, pronto, per il bene della Chiesa, a subire il martirio. Prima di essere assassinato, raccontano documenti d’epoca, andò nella sua stanza per indossare, per l’ultima volta, i paramenti sacri, tra i quali la mitria e l’anello: e stretto nella mano, stando alla tesi di de Hamel, il suo salterio personale.

QUI L’ARTICOLO ORIGINALE

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