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Perché la morte mi fa paura se credo nella resurrezione?

resurrezione

© Alessandro Bonvini

padre Carlos Padilla - pubblicato il 09/11/16

Forse quando il cuore si adagia pensiamo che il cielo possa aspettare

La morte spaventa sempre. È la fine del cammino. È il congedo definitivo. Ci turba il fatto di non sapere cosa ci sia dall’altra parte. Abbiamo paura di morire senza congedarci. Paura di rimanere soli e di perdere i nostri cari.

Il cristiano teme la morte. Conosce la resurrezione, ma teme la morte. Lo constato tutti i giorni. Lo constato in me stesso. Paura della malattia. Paura della sofferenza. Paura di perdere chi amiamo. Amiamo molto la vita sulla terra. E pensiamo che il cielo possa aspettare.

Siamo cristiani, crediamo nella vita eterna, crediamo nell’amore di Dio per sempre, ma la morte ci turba.

I martiri erano disposti a morire piuttosto che negare Dio. Disposti a dare la vita piuttosto che permettere che la loro fede venisse meno. Sono stati fedeli fino alla fine. Oggi continuano ad esserci dei martiri. Continuano ad esserci cristiani perseguitati. Non dubitano della vita eterna.

Forse, però, quando il cuore si adagia pensiamo che il cielo possa aspettare. Vogliamo assaporare fino alla fine la vita che ci viene donata. Temiamo la morte. Non vogliamo smettere di vivere.

E sorgono delle domande: “Sarò in cielo con chi amo?”, “La mia vita eterna avrà a che vedere con la vita temporale che vivo ora?” Il cielo ci si presenta sempre pieno di domande ed enigmi. Non abbiamo tutte le risposte.

Giorni fa mi parlavano delle esperienze vicine alla morte. Persone che sono state sul punto di morire e riferiscono quello che hanno visto in quel momento di luce e di pace. Per alcuni sono una dimostrazione tangibile dell’esistenza del cielo, per altri sono solo un prodotto dell’immaginazione.

Ciò che è certo è che neanche questa certezza possibile mi dà pace sufficiente di fronte alla morte. Non voglio morire. La vita mi piace. L’oggi, il qui, l’ora. L’amore con ansia di eternità. Ma l’amore concreto in cui trascorrono le mie giornate. Quell’amore mi fa sognare il cielo. Perché, come diceva G. Marcel, “amare una persona è dirle: ‘Non morirai mai’”.

E questo non morire per sempre si verifica in cielo. Ha a che vedere con una vita per sempre. Ma anche così non perdo il timore di fronte alla morte. Il timore di rimanere solo sulla terra senza le persone che amo. Il timore di attraversare da solo la soglia della morte. Il timore di non poter fare nient’altro. Il tempo finisce.

Di fronte alla morte soffro. Perché non riesco a vedere, a capire, a sapere. E la mia fede mi dice di non temere, di confidare. Di aspettare quel Dio che amo. L’ho sentito tante volte… Io stesso lo pronuncio. Per dare speranza. Perché altri non temano. Ma io stesso di fronte alla morte, di fronte al futuro incerto, di fronte alla malattia possibile, tremo e temo. Come se non credessi.

A noi cristiani succede spesso. Non ci rallegriamo del cielo. Preferiamo una religione che ci parli dell’oggi. Di come affrontare la vita. Di come amare al presente. Ma mi costa il salto immenso che abbraccia l’infinito. L’addio per sempre anche se è un arrivederci.

Di fronte alla morte sorgono sempre delle domande: “Cosa sto facendo della mia vita?”, “Sto vivendo come voglio vivere?”, “Sto amando e mi sento amato?” Sono le domande che racchiudono un seme di eternità.

Una persona pregava guardando Dio: “Non so bene cosa contengono i palmi delle tue mani. Quali infiniti nascondono le acque dei tuoi mari. Non so quanto silenzio abita oggi nel tuo petto. Quanto infinito nascondono le profondità della tua anima. Non so bene quanto mare servirà in cielo. Non so bene cosa contengono le acque dei tuoi mari. Non so se tante spiagge abbracciano l’infinito. Se nella tua barca i mari riempiono tutta la mia vita. Se tenendoti tra le braccia calmo la sete eterna. So solo che navigo in mari che non capisco. In cascate di luce, di silenzio, d’amore. Non so bene come fare per riempire l’ampio abisso che separa le mie acque dalle tue. Lentamente mi addentro nella vita che intuisco, alla cieca, sordo e muto. Con occhi innocenti, con parole taciute. So solo se tutto questo amore che sostengo riempie tutto quel cielo che sogno dentro di me”.

È lo sguardo del cuore che anela. Dell’anima che desidera. Della vita ancora non piena che vuole essere eterna.

[Traduzione dallo spagnolo a cura di Roberta Sciamplicotti]

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