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Quanto fa bene piangere!

Crying man

© DR

padre Carlos Padilla - pubblicato il 04/11/16

Amare fa male, perdere ferisce, morire uccide

Riconosco che mi piacciono le feste che mi parlano di luce e di speranza. Senza pretendere di negare il dolore della morte e della perdita.

L’autunno ha qualcosa di perdita, di assenza, di nostalgia. Quelle foglie che cadono davanti ai miei occhi. Senza che io possa impedirlo. La morte anticipata di una vita che sogna di essere eterna. Le mie vie si riempiono di foglie morte. E il cuore soffe.

A volte mi abituo alle perdite e voglio consolare con parole che non consolano. Continuo a camminare. Non guardo ai lati. E mi sfuggono parole di consolazione. Non preoccuparti. Lascia stare. Non dargli importanza. La vita va avanti. Il tempo aiuta…

Come se le mie parole avessero il potere di cambiare lo stato d’animo, di alleviare il cuore spezzato, di guarire la ferita che fa male. Come se le mie parole potessero cambiare il passato, il presente o il futuro. E non ci riescono. Vogliono essere parole di consolazione. Solo questo.

Ma non posso porre rimedio al pianto, evitare il dolore, asciugare le lacrime, eludere l’angoscia. Non è solo che non posso – in realtà non voglio. Perché è positivo sentire la mancanza, perdere e piangere, smettere di fare e soffrire, non esserci e lamentarlo, avere nostalgia, non poter andare e soffrirne.

È positivo sapermi lamentare nelle perdite, piangere nelle morti, angosciarmi nella malattia, in quella situazione che non controllo, davanti ai futuribili che mi sfuggono. La vita è quell’unione imperfetta di pianto e allegria, giorno e notte, luce e oscurità.

Leggevo qualche giorno fa che “la risposta perfetta non esiste in questo mondo tanto caotico ed emotivo. La perfezione è fuori dalla portata dell’umanità. In ogni momento splendente di felicità c’è una goccia di veleno. La certezza che il dolore tornerà. Sii sincero con i tuoi cari, mostra loro il tuo dolore. Soffrire è umano quanto respirare”[1].

Non voglio eludere il dolore, né nella mia vita né in quella di nessuno. Voglio baciare la luce e abbracciare la notte. L’oscurità ha qualcosa che fa parte della mia vita. Non la eludo. Acetto la luce e l’oscurità. Non posso evitare la morte. Non posso negare la vita. Non solo una cosa, ma anche l’altra. Entrambe fanno parte della mia vita. Se non imparo a soffrire l’oscurità della notte, non godrò mai della luce del giorno.

Quando una persona ama, soffre molto di più nella vita. L’ho verificato. Per questo capisco molto bene chi non vuole amare, chi non vuole gettare radici, chi non vuole attaccarsi a niente. Lo capisco. Amare fa male. Perdere ferisce. Morire uccide.

Ed è meglio eludere la vita senza far rumore. Senza amare troppo. Per non temere la morte. Per vivere sempre di passaggio. Ma non è quello che voglio. Ho passione per la vita. E allora accetto la morte. Anche se l’anima soffre. Soffro il dolore della perdita. E nella mia felicità c’è sempre qualcosa di nostalgico.

Voglio amare la mia vita con passione, e soffrire le perdite con tutta l’anima. Non voglio evitare il dolore. Mi è chiaro. Non voglio nasconderlo, come se mi vergognassi delle mie lacrime. Nel corso della mia vita ho verificato il potere delle lacrime. Sono il sorriso dell’amore.


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Quanto fa bene piangere! Quanto è difficile quando non posso lasciar cadere nelle mie lacrime tutto ciò che mi fa male! Apro le porte dell’anima e quel fiume di nostalgia riempie il cuore. Soffrire fa bene. Fa bene toccare con le mani tremanti l’oscurità della notte.

L’oscurità che precede la luce ha qualcosa di prezioso. Qualcosa che guarisce il dolore. L’allegria che emerge come un’alba tra le lacrime che mi spezzano. Lì, nel mio dolore, Dio è presente.

Come diceva papa Francesco a Cracovia: “Dov’è Dio, se nel mondo c’è il male, se ci sono uomini affamati, assetati, senzatetto, profughi, rifugiati? Dov’è Dio, quando persone innocenti muoiono a causa della violenza, del terrorismo, delle guerre? Dov’è Dio, quando malattie spietate rompono legami di vita e di affetto? O quando i bambini vengono sfruttati, umiliati, e anch’essi soffrono a causa di gravi patologie? Dov’è Dio, di fronte all’inquietudine dei dubbiosi e degli afflitti nell’anima? Esistono domande per le quali non ci sono risposte umane. Possiamo solo guardare a Gesù, e domandare a Lui. E la risposta di Gesù è questa: “Dio è in loro”, Gesù è in loro, soffre in loro, profondamente identificato con ciascuno”.

Nella notte dell’anima, Gesù è ai piedi della mia croce. Non mi abbandona nella mia oscurità. Non è assente dal mio dolore. Mi accompagna, si prende cura di me, mi sostiene. Mi sussurra all’orecchio di non temere. Che mi ama. Di non angosciarmi, perché Lui mi sostiene sempre.

Tace davanti alle mie lacrime, commosso. Non vuole evitare che soffra, perché quel dolore purificherà il mio cuore, anche se io nel momento presente non lo capisco molto.

Mi abbraccia senza quasi che io me ne renda conto. Mi incoraggia e mi dice che mi ama, di non temere, che resta al mio fianco fino all’alba.

[1] John Tiffany e Jack Thorne, Harry Potter e la maledizione dell’erede, basato sulla storia di J.K. Rowling.

[Traduzione dallo spagnolo a cura di Roberta Sciamplicotti]

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