Oggi l'individuo cammina da solo verso il suo destino mortale
Nella nostra epoca la morte è un tabù. Anche se è il nostro destino più sicuro, preferiamo guardare da un’altra parte, come se non ci riguardasse. Pretendiamo di eliminare l’angoscia che ci provoca esiliandola dal mondo della parola. Al posto dell’accettazione religiosa e culturale della morte come parte integrante della nostra esistenza, avviene in modo clandestino, alle spalle del moribondo e del suo contesto sociale.
La buona morte non è più quella annunciata che permette di risolvere le questioni pendenti, ma quella inaspettata, indolore e rapida, in sintonia con il cibo rapido o il denaro rapido. Oggi l’individuo cammina da solo verso il suo destino mortale. La morte, tuttavia, irrompe bruscamente con il decesso di un familiare, di un amico o di un collega.
L’obitorio è il luogo in cui ci imbattiamo più di frequente in questa realtà. Le reazioni a cui ho assistito davanti al feretro di una persona cara sono le più varie: la moglie che grida al marito morto all’improvviso: “Perché mi hai fatto questo, perché mi lasci sola?”, il giovane sconcertato che sospira: “Perché dobbiamo morire? Dove vai, amico mio?”, il bambino di 10 anni che inginocchiato piange in silenzio davanti al cadavere del padre.