Il nudo artistico
Domanda di un fotografo a un teologo:
Carissimo,
sono un fotografo e ho il dubbio se sia possibile (o moralmente adeguato) fotografare una persona nuda, in una posa naturale, ovvero non provocante, per fini puramente artistici. Non ho mai fatto foto di questo tipo, ma vorrei sapere se facendolo potrei stare con la coscienza tranquilla.
Per favore, se è possibile mi tolga questo dubbio.
Rispettosamente,
“Il Mandriano Digitale”
Caro Mandriano Digitale,
la tua è una domanda che richiede una risposta ampia.
1. La nudità in sé
La nudità non è in sé una cosa immorale. Dio, dopo aver formato il corpo umano, lo giudicò cosa molto buona (Gn 1, 31). Da dove deriva il possibile disordine? È espresso nei due atteggiamenti successivi descritti nella Genesi:
a) “Tutti e due erano nudi… ma non ne provavano vergogna” (Gn 2, 25).
b) “Si aprirono gli occhi di tutti e due e si accorsero di essere nudi; intrecciarono foglie di fico e se ne fecero cinture” (Gn 3, 7). “’Ho udito il tuo passo nel giardino’ – dice Adamo a Dio -. ‘Ho avuto paura, perché sono nudo, e mi sono nascosto’. Riprese: ‘Chi ti ha fatto sapere che eri nudo?‘” (Gn 3, 10-11).
La comparsa della vergogna mostra un cambiamento di stato nell’uomo e nella donna. Questo cambiamento deriva dal peccato originale, che introduce un disordine nell’attività umana. Questo disordine che resta come sequela del peccato è chiamato “concupiscenza”. La concupiscenza disordinata modifica l’ordine e la natura delle cose; sul piano della sensualità e della sessualità ordina il corpo al piacere venereo egoista, alterando il fine della sessualità, che è la complementarietà sponsale reciproca (realizzando la doppia dimensione della sessualità – unitiva e procreativa). La concupiscenza, quindi, fa sì che la tendenza sessuale passi da “donazione piena d’amore” (possibile solo nel contesto coniugale) a “possessione egoista”, trasformando l’altro (il corpo dell’altro) in oggetto d’uso anziché termine di donazione.
Il problema del nudo allo stato attuale della natura umana (ferita dal peccato) è che può diventare occasione di quello che si definisce “sguardo concupiscente”: lo sguardo che si posa sul corpo come oggetto di desiderio, integrandolo nella concupiscenza disordinata del cuore. Il doppio male che si segue è da un lato il peccato della persona che guarda sminuendo il corpo a oggetto di piacere, dall’altro la perdita della dignità nella persona che si espone ad essere guardata come oggetto.
All’interno del matrimonio, invece, mantiene la sua dimensione originale. Lì il corpo nudo, manifestandosi com’è, ovvero mostrando visibilmente la complementarietà sessuale, diventa parola (ogni gesto è una parola).
Mostrandosi, ci si dice che ci si dona, che si è complementari, che i due non sono che una cosa sola, come dimostrano i loro corpi (due metà di un unico essere). In questa sfera, essendo stata sigillata dal patto matrimoniale, questa dimensione mantiene tutta la sua verità.
Per questo velare il corpo (la funzione del vestito) è un mettere a tacere il tema della sessualità davanti alle persone con cui non si deve parlare o a cui non si deve offrire la sessualità.