Racconto di un rito scomparso per il “Vespro di Tutti i Santi” (Halloween)Il passato è affascinante, soprattutto se ci dicono che nel passato ci sono “riti pagani” che noi immaginiamo crepuscolari, persuasivi, attraenti. Per trovare qualcosa di interessante oggigiorno c’è una sola parola d’ordine, ed è scavalcare la staccionata cattolica, quel periodo che avrebbe “rovinato” la bellezza dei riti pagani. Orsara di Puglia è un paese in cui passato e presente convivono senza litigare, e si può vedere un utile equilibrio tra le due cose. Nel presente sopravvivono usanze molto antiche, perché il modo migliore per ricordare è celebrare, altrimenti ci si immagina cose che non sono. Si celebra il 1 novembre la Notte del Purgatorio, la notte delle luci, dopo il “Vespro di Tutti i Santi” (inglese: Halloween) e lì si vede lo strascico di un rito antico. L’immaginazione gioca brutti scherzi: c’erano riti cristiani.
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Il problema è che i riti cristiani erano seri. Non ridicolizzavano la morte col trucco. Gli anziani raccontano che era una ricorrenza “mesta”, intima, familiare. Il rito aveva tre momenti:
Al Vespro si inaugura una grande cena, un banchetto a famiglia riunita, entro le mura di una casa benedetta e protetta dalla croce di fuoco, intagliata nella zucca; una cena luculliana chiamata il “Purgatorio” o “Anima dei morti”, illuminata dai grandi falò d’autunno. Era il nome della notte e il nome della cena, il “Purgatorio”, perché tutto era fatto in suffragio dei defunti. Tutto. Atti di volontà, di pietà, di misericordia, rinuncia all’orgoglio, carità, preghiera del rosario: tutto ciò che si poteva fare per “rinfrescare” le anime del Purgatorio… era d’obbligo. Moltiplicare il bene, ad ogni costo. La cena è un momento ancora oggi commovente: nessuno deve restare solo, nessuno abbandonato, né vivo, né defunto. C’è la gioia, l’entusiasmo, il fremito di stare insieme.
A mezzanotte ci si alzava da tavola. In piedi, i Confratelli della Confraternita delle Anime del purgatorio uscivano per una questua processionale chiamata “Fûkacòste” (letteralmente col fuoco a fianco), solenne e silenziosa, “con le torce/lanterne a fianco”, che una volta procedeva per ore e si scaldava ai fuochi, questuando di casa in casa, bussando alle porte. Era un corteo penitenziale, scalzo e infreddolito, umilmente coperto di cappuccio, umiliato dalla questua continua. Tutto si faceva in suffragio delle anime.
Alle tre di notte, nella Chiesa confraternale (oggi nella Chiesa madre), la processione confluiva nella solenne “Messa Nera” alle 3 di notte (oggi all’1 di notte). Era detta nera come i paramenti del prete, nera come l’addobbo della notte, nera come gli abiti della Confraternita e si trattava di una solenne celebrazione di suffragio: la messa “ante auroram” che neanche la legislazione contraria riuscì a sopprimere. Tutto il bene che si faceva, le rinunce scelte, le preghiere offerte confluivano in questo grande momento notturno, che raccoglieva nel calice lo sforzo di un popolo e rendeva vigorosa e commisurata la preghiera.
Si comprende bene come ci siano tutti gli elementi di Halloween, ma è chiaro: si trattava del “Vespro di Tutti i Santi”. Niente celti, niente pagani, ma semplici e mistici usi cristiani. Rovinati certo, ma dalla demonizzazione moderna. Ci vorrebbe un giorno della memoria per non dimenticare. Assurda, infatti, questa amnesia collettiva che dimentica un popolare uso cattolico; ridicolo invece che il giorno della grande preghiera per i defunti e dell’esorcismo diffuso sia diventato il travestimento del diavolo.
Memoria, dunque.
Il libro “Di luce e d’ombra” (Todi 2016) per la Tau editrice studia il fenomeno antropologico, ne abbozza una ricostruzione, ne spiega un approccio. Si avvale di due fonti: la tradizione orale locale di Orsara che ancora sopravvive e i documenti scritti, di due tipi: l’archivio confraternale e la relazione delle visite pastorali, i cardini per la ricostruzione di quel mondo popolare sempre a margine della storia. La ricostruzione è precisa e rivede in modo completamente diverso la percezione del mondo passato, utile per fare memoria.