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Il cardinale Quevedo: “Urge la pace tra la Chiesa e Duterte”

Vatican Insider - pubblicato il 26/10/16

Un ramoscello d’ulivo al Presidente Rodrigo Duterte: è l’offerta che, attraverso Vatican Insider, parte dal cardinale filippino Orlando Quevedo, Arcivescovo di Cotabato, città sull’isola di Mindanao, la grande isola del Sud dell’arcipelago dove Duterte è nato e dove ha governato da sindaco la città di Davao per 22 anni. 

Il presidente delle Filippine, eletto a maggio scorso, è l’uomo del momento a livello internazionale: venuto alla ribalta delle cronache per le sue «spacconate» e per gli epiteti non proprio gentili riservati a Obama, all’Onu e perfino a Papa Francesco, nella sua recente visita di stato in Cina ha annunciato «la separazione delle Filippine dagli Stati Uniti», salvo poi compiere una parziale retromarcia, una volta rientrato a Manila. 

In ogni caso, nella visione di Duterte, le Filippine – fino al 1946 territorio d’oltremare Usa e poi solido alleato regionale di Washington – «non saranno più una colonia» e intendono avvicinarsi – in un’operazione geopolitica che spariglia gli equilibri dello scacchiere del Pacifico – a Pechino e poi a Mosca. 

Che il presidente outsider – estraneo ai tradizionali clan familiari che per decenni hanno saldamente detenuto il potere politico e finanziario nell’arcipelago – sia un personaggio a dir poco eccentrico e privo di aplomb diplomatico è sotto gli occhi di tutti.  

Anche la Chiesa cattolica ha sofferto la sua esuberanza, popolarità e il suo andare fuori dagli schemi. Durante la campagna elettorale alcuni vescovi hanno pronunciato parole pesanti per squalificare Duterte agli occhi dell’elettorato, paragonandolo a Pol Pot o al diavolo. Ottenendo, in cambio, insulti della stessa risma dal nuovo presidente. 

Oggi la campagna lanciata per “ripulire” le strade della nazione da trafficanti e spacciatori di droga – che ha fatto finora oltre tremila vittime, dato l’approccio sbrigativo di agenti di polizia «dal grilletto facile» – ha suscitato nuove critiche e legittime preoccupazioni negli ambienti cattolici istituzionali. La «guerra fredda«» tra la Chiesa e gli alti vertici dello stato continua

Nonostante ciò, la convinzione del cardinale Quevedo è chiara: «Credo che la Chiesa e il presidente Duterte debbano fare pace. La pace e il bene della nazione iniziano con questo cammino di riavvicinamento. La nostra posizione è nota: è una “collaborazione critica” con il governo. Lo abbiamo ribadito come Conferenza episcopale. Il paradigma di “attacco e contrattacco” non ci appartiene e non giova a nessuno». 

I passi proposti da Quevedo sono concreti: «Si potrebbe inviare una delegazione di vescovi a parlamentare col presidente. Credo che l’uomo giusto per costruire un ponte, in questa fase delicata, sia Romulo Valles, attuale vescovo di Davao, la città di Duterte. Occorre un pizzico di buona volontà reciproca, ma sono convinto sia una strada da percorrere». 

Per spiegare l’approccio della Chiesa, il cardinale filippino fa un esempio: «Prendiamo temi come la lotta alla droga, alla corruzione, al terrorismo. Come cattolici, ci sentiamo parte attiva di questa campagna, che è certo moralmente giusta e rivolta a promuovere il bene comune. Faremo perciò del nostro meglio per collaborare e dare un contributo a fermare questi mali, per il benessere e lo sviluppo della società». 

«L’approccio è critico sui metodi adottati – spiega Quevedo – ma è una critica costruttiva, in quanto la bussola è il rispetto della dignità e dei diritti fondamentali di ogni uomo. Auspichiamo che la campagna contro la criminalità possa proseguire con metodi differenti: ad esempio senza uccidere i sospettati e senza giustiziare persone senza processo». 

Nello specifico, riguardo alla campagna contro i trafficanti di droga, c’è da distinguere nella casistica degli omicidi: «In molti casi, quando la polizia procede a un arresto, i sospettati sparano: allora gli agenti rispondono al fuoco e questa è legittima difesa. D’altro canto esistono bande di “vigilantes” non ben identificate. Gente che compie omicidi mirati, a sangue freddo. Questi sono contro lo stato di diritto e la legalità, questa è giustizia sommaria. Va difeso il diritto di ogni cittadino ad avere giustizia, secondo l’iter costituzionale». 

Sarà facile il riavvicinamento con un presidente che ha insultato il Papa e ha definito i vescovi «ipocriti»?: «Probabilmente – conclude Quevedo – il presidente Duterte ha voluto rispondere a delle provocazioni. Il cardinale Luis Tagle, io e la maggioranza dei vescovi siamo rimasti fuori da scaramucce personali. Sono fiducioso: sapremo superare questo momento difficile». 

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