Kasper ricorda così, a pagina 37, le «ragioni politiche» della Riforma, e come Lutero «pose la riforma nelle mani della nobiltà cristiana e dei magistrati delle città imperiali», consegnandosi ai nobili e ai principi, e generando nel tempo «il particolarismo ecclesiale e politico» e «un nazionalismo che spesso prese colore confessionale e riservò all’Europa molte sventure». Particolarismo e nazionalismo: difficile immaginare concetti meno “cattolici”, secondo l’etimologia, cioè “universali”.
Inoltre «dal punto di vista ecclesiale si arrivò, già durante la vita di Lutero e completamente dopo la sua morte, a una dissoluzione dell’unità anche all’interno del movimento riformatore e ad un funesto pluralismo all’interno della cristianità occidentale e poi dell’intera cristianità». Dando vita a chiese nazionali di stato, Lutero asservì la religione ai sovrani, e, lungi dal difendere la «coscienza soggettiva», come spesso si dice, la sottopose all’ «autorità secolare» (p. 44).
È vero, nel libretto di Kasper ci sono anche passi che vanno in senso contario a quelli citati, ma si tratta non tanto di constatazioni storiche oggettive, quanto di desideri e pie aspirazioni. Oppure di affermazioni vaghe e gratuite che contraddicono quanto detto in altri luoghi del libro stesso. Certamente, tutti i cristiani aspirano all’unità, e spesso cattolici e protestanti si sono trovati uniti in determinate occasioni.
Ma ciò che Lutero ha creato e difeso in vita (le chiese nazionali di stato e i settarismi; l’idea del servo arbitrio; la condanna radicale della ragione, «prostituta del diavolo», e dell’uomo, del tutto incapace di bene; la condanna della Messa cattolica e di 5 sacramenti…) va quanto prima dimenticato, in nome proprio dell’unità auspicata.