«L’attitudine umana più vicina alla grazia di Dio è l’umorismo». Con una frase pronunciata ieri a braccio nell’udienza ai confratelli gesuiti, Jorge Mario Bergoglio «sdogana» quel riso che nel Medioevo descritto da Umberto Eco nel romanzo «Il nome della rosa» andava ferocemente combattuto a salvaguardia della fede. La «riabilitazione» dell’umorismo da parte di Francesco arriva dopo che, in pieno pontificato di Joseph Ratzinger, Letture, la rivista dei Paolini, aveva riconosciuto che l’arma più efficace contro ogni forma di retorica è l’ironia: «L’umorismo finisce per abbattere le costruzioni più seriose».
Nei monasteri spaccati dalle diatribe teologico-ecclesiastiche dei seguaci del papa avignonese Giovanni XXII e dell’imperatore Lodovico il Bavaro, Guglielmo di Baskerville scopre la sanguinosa rimozione del codice di Aristotele sul comico perché «non c’è nulla di più pericoloso, per la dottrina ufficiale, della comicità, dell’ironia, della parodia». Il testo proibito era in custodia a un monaco che lo aveva intriso di un veleno in grado di uccidere chiunque lo toccasse.
Non solo un pregiudizio medievale. Era convinto che il riso venisse dal diavolo e che il comico fosse figlio del peccato anche il poeta maledetto Charles Baudelaire. La pensa in tutt’altro modo Francesco. A presentare lo scorso gennaio in Vaticano il suo libro «Il nome di Dio è misericordia» è stato il comico Roberto Benigni. E al ritiro per gli esercizi spirituali di quaresima, il leit motiv delle meditazioni è stato: «Non perdiamo la speranza, né l’umorismo». Non più una risata vi dannerà, bensì l’umorismo via per il Paradiso.