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“Discutiamo sui valori morali dell’Europa”

Vatican Insider - pubblicato il 24/10/16

A Verona si discuterà di valori morali d’Europa. Attesi una cinquantina di relatori provenienti da atenei, centri di ricerca, fondazioni nazionali e internazionali. Una sfida imperdibile tesa alla ricostruzione di un pensiero che sia volto a ciò che sta a cuore a ciascun uomo, il bene. Tema del convegno internazionale è “What is Good? Contemporary Debates in Moral Philosophy”. «Ci ha stupito ricevere una così alta richiesta di partecipazione. C’è il desiderio da parte di studiosi e docenti di tornare ad un pensiero propriamente umano, ad una riflessione su ciò che caratterizza il cuore dell’uomo, su quel bene senza il quale non è possibile né convivenza tra realtà apparentemente contraddittorie né progresso», afferma Elisa Grimi, direttore esecutivo della Società. Il Presidente è il professor Roger Pouivet, dell’Université Lorraine e membro dell’Institut Universitaire de France.  

1. Uno dei concetti principali della tradizione filosofica occidentale è quello di “Persona”, un “individuo in relazione”. Pensate che sia un concetto ancora utile per affrontare le questioni globali della contemporaneità – come le frequenti rivendicazioni di diritti umani, o dalla parte opposta il ritorno dei nazionalismi e i tentativi totalitari –, o forse è troppo obsoleto e eurocentrico?

Lo Ping: sì, nel mondo di oggi vi sono in effetti i due estremi dell’individualismo ontologico ed etico, e del collettivismo ontologico ed etico-politico. L’individualismo ontologico guarda all’individuo come primario, più reale e fondamentale della società umana e delle sue istituzioni. L’individualismo etico-politico dà un valore morale maggiore all’individuo rispetto alla società e alle sue istituzioni. Il collettivismo ontologico ed etico-politico fa esattamente il contrario. Io penso che l’idea di un “individuo-in-relazione”, o di un sé relazionale, sia una concezione plausibile della persona umana. Noi mettiamo sempre l’accento sull’individuo, piuttosto che sul collettivo, ma l’individuo non è un’entità separata e tagliata fuori dagli altri. Piuttosto, l’individuo è costituito (almeno parzialmente) dai vari legami che intrattiene, come la famiglia, gli amici, la chiesa, e la nazione. Ci sono fonti sia occidentali che non-occidentali (come ad esempio il confucianesimo) che arricchiscono questa comprensione della persona umana. 

Seifert: la nozione di persona è tra le più centrali e utili. Non è un’invenzione occidentale, ma una realtà universale implicitamente riconosciuta e presupposta da chiunque sia in contatto con la realtà. La definizione della persona come “individuo in relazione” è piuttosto inadeguata. Perché anche un cane è un “individuo in relazione”. 

Nessuna definizione può esaurire ciò che la persona è, ma deve sufficientemente caratterizzare e distinguere ciò che vuole definire da ogni altra cosa. La definizione che tu fornisci, se applicata ai cani, alle mucche, o agli uccelli, manca questo obiettivo. La principale definizione classica di “persona” è quella di Boezio e Tommaso d’Aquino: “persona” significa “sostanza individuale di natura razionale”. Essere una sostanza significa che una persona non può mai essere un epifenomeno del cervello, una funzione della società o un attributo di qualcos’altro. No, ogni persona ha il suo proprio essere, risiede autonomamente nella realtà: ecco cosa significa “sostanza”. La natura razionale implica che una persona non può mai essere una cosa materiale, poiché è una realtà spirituale. Una persona può essere un puro spirito, come Dio o un angelo, oppure può essere una persona-in-un-corpo, una persona incarnata, come l’uomo. Tuttavia, affinché un uomo sia una persona deve avere un’anima spirituale, che sola può spiegare la sua natura razionale.Chiamare una persona un “individuo di natura razionale” indica che la sua personalità risiede più in profondità del suo esercizio attuale della ragione. Gli embrioni, i malati di Alzheimer, i bimbi piccoli sono persone anche se non possono ancora, o non più, esercitare la loro ragione e libera volontà. Dunque, la prima definizione della persona è cruciale per la vita pratica. Negare la personalità dell’uomo, o spostarla su di un piano accidentale che ci permetterebbe di escludere un’ampia parte dell’umanità dal novero delle persone, avrebbe delle conseguenze morali e legali immediate e disastrose. 

La seconda definizione classica della persona è nei termini della dignità: una persona differisce dalle piante e dagli animali non solo per avere un valore intrinseco, cosa che anche gli animali e le piante hanno, ma anche per essere rivestita di un alto valore chiamato dignità. Questa dignità è inalienabile; ogni uomo, cosciente o meno, malato o sano, buono o cattivo, la possiede. Essere umani è condizione sufficiente per possedere questa dignità ontologica. 

Ma la dignità delle persone autocoscienti include valori e diritti propri e ulteriori, come quello all’educazione, al libero matrimonio, alla partecipazione alla vita politica, eccetera. 

Né la dignità ontologica né quella propria dei soggetti coscienti e autocoscienti è la più alta dignità della persona. Anche il diavolo le possiede entrambe, e più perfettamente degli uomini. Ciò mostra che c’è un terzo tipo di dignità che una persona deve acquisire: la dignità morale che una persona possiede solo quando pone il suo intelletto e la sua volontà al servizio della verità e del bene, quando ama e fornisce risposte adeguate ai valori e ai beni. 

C’è anche una dignità conferita dal di fuori, una dignità-come-dono, ad esempio la dignità di un re o di un giudice, o la dignità assegnata ad una persona per essere amata e integrata in una famiglia. Come cristiani, crediamo che la dignità più profonda, quella di essere amati e redenti da Cristo, rientri in questa classe in quanto “dignità concessa come un dono.” 

È di importanza fondamentale per l’etica e per il diritto, per ogni religione e per ogni comprensione dell’uomo, che si apprezzino tutte e quattro le dimensioni della dignità umana, e che non si riduca la nozione di dignità della persona a una sola tra esse. Si potrebbe dire che se la terza accezione di dignità non si è capita, l’istruzione e una società umana pacifica sono impossibili. Se manca del tutto, la società diventa l’inferno. 

Allo stesso modo, la dignità ontologica inviolabile di ogni individuo di natura razionale è di importanza cruciale per la pace e per una società buona e giusta, o per uno “stato di diritto”, affinché siano riconosciuti il diritto alla vita e la dignità di ogni persona. Senza tale riconoscimento, anche se in maniera inconsapevole, diventiamo realmente o potenzialmente esposti ad abusi e omicidi, ai regimi totalitari, all’umiliazione o all’estinzione. 

La tua definizione della persona come “un individuo in relazione” punta a un’altra importante verità sulla persona, ma deve essere migliorata e allo stesso tempo corretta come: “un soggetto-individuale-di-natura-razionale-in-relazione”. Allora potrebbe davvero esprimere una profonda verità metafisica, che forse solo la religione cristiana è in grado di riconoscere pienamente circa l’essere divino supremo: e cioè, che Dio stesso non è una singola persona isolata, come il Giudaismo e l’Islam credono, ma una comunità di tre persone, unite nella più profonda relazione ontologica reciproca, che è una relazione d’amore. L’intuizione umana e filosofica, per cui l’amore è una perfezione assolutamente insuperabile, ci permette di avere qualche sentore di questa verità metafisica di Dio che una bambina di tre anni, una volta, mi confermò, rimarcandomi o chiedendomi: “Non è vero, Josef, che, per amare bisogna essere in due”? 

Le persone umane, certo, sono anch’esse membri di una comunità di persone, per lo meno dell’umanità, e sono quindi in relazione agli altri. Esse sono concepite e nascono da una relazione tra i loro genitori; esse sono chiamate a vivere in comunità e relazione con gli altri; esse sono chiamate ad un amore che implica relazioni profondissime tra le persone, il riconoscimento del loro valore intrinseco, la partecipazione e l’unione tra di loro, la chiamata a dare vita a nuove persone nella procreazione, etc. 

2. Oggi sembra che ognuno abbia il proprio codice morale, e che l’unica cosa che lo Stato debba fare sia riconoscere e preservare questa estrema “libertà” morale. Ora, il concetto moderno di “autonomia morale”, con il riconoscimento della dignità umana, era di tipo universalistico: gli uomini sono liberi di scegliere e di fare il bene o il male, ma il bene è razionalmente fondato. Pensate che l’attuale crisi di una fondazione universale dei diritti umani, con il nostro estremo individualismo morale, sia dovuta a un tale fondamento razionalistico della morale, o che un nuovo razionalismo potrebbe essere la terapia adeguata per questa crisi?

Lo Ping: Da un lato, socialmente e politicamente, dobbiamo difendere un’ampia estensione delle libertà civili e della tolleranza. Moralmente, tuttavia, il nostro esercizio della libera scelta deve essere guidato dalla morale. Immanuel Kant, il primo grande filosofo che abbia posto l’accento sull’autonomia, concepisce l’autodeterminazione come la volontà razionale o la ragione pratica che legifera per la nostra scelta. Se la scelta che facciamo deriva dalla nostra “inclinazione”, o da ogni tipo di desiderio irrazionale, si tratta ancora di eteronomia. Questa concezione kantiana è molto diversa dalla nostra attuale concezione dell’autonomia, che significa qualsiasi libera espressione della scelta di un individuo. Il Confucianesimo non considera l’autonomia come indefinitamente aperta (a fare qualsiasi cosa come ognuno vuole). Piuttosto, dovremmo essere liberi di fare come si dovrebbe. La crisi della società contemporanea è dovuta all’anti-razionalismo e al rifiuto di un comune sé razionale. La razionalità è frammentata, scomposta in qualsiasi valore uno contempli al momento. 

Seifert: Credo che la crisi di un fondamento universale dell’etica e dei diritti umani non sia una conseguenza del razionalismo, in qualunque modo si voglia intendere questa nozione ambigua. Nessuno dei grandi filosofi razionalisti, né Cartesio, né Leibniz, né Wolff, né i loro successori hanno negato i diritti umani universali, anzi hanno insistito sulla fondazione razionale dell’etica e dei diritti umani, che era già stata sottolineata con forza da filosofi pagani come Cicerone, Socrate, Platone, Aristotele ecc, in parte contro la religione del loro tempo. Pertanto, credo fermamente che un nuovo razionalismo, o meglio una nuova e piena riscoperta della dignità e dell’universalità della ragione umana (che è in grado di cogliere i valori oggettivi e assoluti), sia necessaria al fine di superare la crisi dell’etica e di riscoprire una filosofia dei veri diritti umani radicati nella natura umana. Una tale “nuova” riscoperta della grandezza della ragione etica è inoltre necessaria per impedirci di inventare nuovi diritti umani, che sono tra i più grandi nemici di quelli veri. 

Penso che la crisi dell’etica e della teoria dei diritti umani, piuttosto che essere dovuta al razionalismo, sia dovuta al soggettivismo e al relativismo, soprattutto alla svalutazione da parte del relativismo etico di ogni capacità della ragione umana di scoprire verità assolute sulle cose e sui beni stessi. Il falso autonomismo in etica, con le sue devastanti conseguenze, è quindi più una conseguenza della perdita di fiducia nella ragione umana che del razionalismo. 

Peraltro, se crediamo in Fides et Ratio, cioè nella fede e nella ragione come le due ali per mezzo di cui l’uomo raggiunge la più alta verità, allora un razionalismo che taglia fuori l’ala della fede nella rivelazione divina si priva della pienezza della verità, e finisce facilmente, soprattutto se accoppiato con l’orgoglio, col negare anche le verità evidenti alla ragione umana. In questo modo, un razionalismo radicale separato dalla fede può, come tu suggerisci, portare alla crisi attuale, provocando altresì un crollo della ragione. Ho trattato questa importante questione del rapporto tra la ragione completamente autonoma e le sue molteplici relazioni positive con la fede religiosa nel mio libro Filosofia Cristiana e Libertà. 

3. Nella scia dell’eteronomia morale, che è il tentativo di dare una fondazione esterna a “ciò che è buono”, ci sono tre grandi direzioni: l’approccio metafisico, l’approccio “fisico”, e l’approccio sociale. Sinteticamente, nell’approccio metafisico la bontà è un obiettivo morale che Dio rivela agli esseri umani, al fine di aiutarli e salvarli; nell’approccio “fisico” (intendo, per esempio, il movimento filosofico dell’“etica delle virtù”) la bontà è qualcosa che scaturisce dalla natura umana, qualcosa in grado di realizzare pienamente le diverse potenzialità di ogni essere umano; nell’approccio sociale, la bontà deriva dal riconoscimento della necessità esistenziale del “vivere insieme”. Quale approccio, o quale combinazione di essi, fate vostro?

Lo Ping: Per il confucianesimo, Dio/Cielo, natura umana e vita comune sono tutti collegati. È il Cielo che sostiene l’umanità in me, e tale umanità è un germoglio morale che vuole nutrimento e coltivazione. Ora, poiché la natura umana è co-umanità, ovvero ogni sé è costituito dalla relazione significativa che ha con gli altri, la coltivazione morale non è un atto solitario da compiersi nella propria privacy, ma un progetto da realizzarsi nell’interazione quotidiana con gli altri, specialmente con i familiari e gli amici. 

Seifert: Non sposo nessuno di questi approcci, né una loro combinazione, nel modo in cui sono formulati. In primo luogo, penso che una fondazione metafisica dell’etica non possa essere ridotta, o identificata con un’etica basata sulla rivelazione divina. Piuttosto, una metafisica della persona o di Dio è un importante fondamento etico che non è soltanto aperto alla fede religiosa, ma anche alla comprensione filosofica. Ad esempio, la comprensione della persona e della sua dignità è una fondazione metafisica dell’etica accessibile alla ragione umana, anche se le espressioni più elevate di una tale fondazione metafisica dell’etica e della dignità umana, in particolare la dignità morale e la dignità conferita, possono aprirsi alla nostra mente solo attraverso la rivelazione divina. 

L’etica delle virtù difficilmente può essere identificata con un approccio fisico. Poiché le virtù sono senza dubbio una dimensione importante della vita morale, ma sono del tutto non-fisiche, spirituali. Le virtù sono atteggiamenti positivi superattuali dell’anima verso beni o mali moralmente rilevanti. 

Infine, l’approccio sociale, così come tu lo hai caratterizzato, dipende da come viene concepito. Se esso comprende la tesi per cui i valori morali derivano esclusivamente da un qualche tipo di consenso sociale intersoggettivo, come dicono l’ermeneutica o l’etica del discorso di Habermas, allora si tratta di un relativismo fatale. Se invece vuol dire, al contrario, che la dimensione morale della vita umana deriva dalla relazione tra le persone, nel senso che gran parte di essa dipende da come ci relazioniamo e rispondiamo ad altre persone, allora hai perfettamente ragione. Gli obblighi morali a cui un individuo isolato (che neanche esiste perché viene concepito e cresce nelle relazioni umane) può essere soggetto, come la ricerca della verità, o l’astensione dal suicidio, da alcune forme di impurità e da altri atti cattivi nei confronti di se stesso, è solo una piccola parte della vita morale. La pienezza della vita morale non può essere concepita e non esiste senza la giustizia, la misericordia, la gratitudine, o l’amore diretto verso altre persone. 

4. Pensate che il dialogo tra le diverse culture potrebbe aiutarci nella ricerca di un’etica universale, o che aumenti la coscienza di un relativismo morale irreparabile?

Lo Ping: Farà entrambe le cose. Le differenze culturali saranno evidenziate. Ma possiamo anche scoprire qualche “consenso incrociato” tra le culture. Inoltre, ogni cultura non è monolitica, ma si compone di diverse tradizioni (ricordo sempre, in proposito, il titolo del memorabile volume di MacIntyre, Whose Justice? Which Rationality?). Si potrebbe trovare una tradizione A nella cultura occidentale incompatibile con la tradizione A nella cultura asiatica, ma anche scoprire che la tradizione B in una cultura parla in un linguaggio morale che è comune alla tradizione B di un’altra cultura (per esempio, l’idea di persona come individuo-in-relazione nella domanda 1). 

Seifert: Tutto dipende da cosa si intende per dialogo interculturale o interreligioso. Se è condotto con la ricerca sincera della verità e dei valori presenti nelle diverse culture e religioni, allora può essere utile, ma se è condotto in uno spirito di relativismo culturale o di mero interesse storico, può causare confusione e relativismo. Solo se l’obiettivo di un dialogo interculturale rimane quello di comprendere una verità che è sempre trans-culturale ed eterna, pur impregnandosi e incarnandosi in modi sempre nuovi nelle diverse culture, allora un dialogo interculturale e interreligioso può essere molto utile. Tutto dipende dalla tua volontà di imparare qualcosa di nuovo sull’uomo, sulla verità, e sulla natura. Se tu ti metti in questo atteggiamento, questo dialogo porterà buoni frutti; in caso contrario, ti farà perdere i valori della tua cultura e ti condurrà in un relativismo culturale che alla fine non ti lascerà niente . 

5. L’Europa è stata la culla della riflessione sulla dignità umana e sui diritti umani, ma ora sembra essere incapace di svolgere il suo ruolo sullo scenario globale. Come immagina il futuro dell’Europa?

Lo Ping: Fin quando l’Europa è disposta ad impegnarsi in un dialogo umile con le altre culture, piuttosto che parlare con condiscendenza, i valori europei possono ancora trovare delle sponde in altre culture. Matteo Ricci (1552 – 1610), gesuita italiano venuto in Cina più di 400 anni fa, oggi è ancora molto apprezzato dagli intellettuali cinesi, in quanto è stato un messaggero che ha favorito la comprensione interculturale e il dialogo. Molti cinesi hanno beneficiato della cultura occidentale che ha portato in Cina; allo stesso tempo, il suo sforzo di tradurre i classici cinesi in latino, e di inviarli in Europa, è stato molto apprezzato dai cinesi. 

Seifert: Credo in Europa, così come in qualsiasi altro continente, possa verificarsi sia un vero, sia un falso riflesso dei diritti umani (per esempio la concezione totalmente soggettivista dei diritti umani isolati dalla natura umana, dal bene e della verità). 

Purtroppo, anche se l’Europa è stata la culla di queste riflessioni, l’Europa e la maggior parte del mondo sono immersi in una profonda crisi, che riguarda la capacità di comprendere adeguatamente la dignità umana e i diritti umani. Questa crisi, insieme con la degenerazione di un’Europa morente in cui si hanno sempre meno bambini, rischia di portare all’estinzione dell’Europa, alla sua scomparsa dalla scena della storia del mondo, da cui molte altre nazioni decadenti sono scomparse. Entro il 2050 le nazioni europee potrebbero essere inghiottite da religioni straniere, da culture straniere e da nazioni che difficilmente potranno lasciare una traccia di ciò l’Europa e la sua identità culturale e spirituale sono stati, un’identità che è già ora in gran parte perduta. E questo è un male di gran lunga minore rispetto alla perdita della verità, della verità eterna, di cui l’Europa è stata scelta in modo speciale come una custode, e una mediatrice per tutte le nazioni. 

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