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Vaticano, McDonald’s e Hard rock café: scelte di mercato

Vatican Insider - pubblicato il 23/10/16

Una tempesta in un bicchier d’acqua? In parte certamente sì. La storia dello sbarco di Mc Donald’s e dell’Hard Rock Cafè, due celebri catene multinazionali del fast food – il marchio dell’hamburger per eccellenza il primo, più legato al culto della musica rock e delle sue ’memorabilia’ il secondo – ha avuto una certo eco mediatica; i fatti, però, appaiono meno così clamorosi se osservati da vicino. In particolare sembrava che vi fosse stata una rivolta di cardinali residenti nell’edificio destinato ad ospitare il nuovo McDonald’s, anche per gli eccessivi costi sostenuti per una ristrutturazione dovuta non tanto al beneficio degli abitanti dello stabile, quanto alle necessità del nuovo fast food. A questa si sarebbero aggiunte lamentale per il carattere per così dire profano e poco in sintonia con la basilica di San Pietro. Si è parlato di una quasi rivolta di Curia. 

I fatti sono i seguenti. L’Apsa, l’Amministrazione del patrimonio della sede apostolica, che gestisce buona parte del patrimonio immobiliare del Vaticano, è proprietaria fra l’altro di due palazzi: uno in via della Conciliazione al civico 28 e un secondo in via del Mascherino, fra Borgo Pio e le mura vaticane, abitato da diversi cardinali; fra questi Gianfranco Ravasi, Giuseppe Versaldi, Gilberto Agustoni, Andrea Cordero Lanza di Montezemolo, Dario Castrillon Hoyos e Manuel Monteiro de Castro (un tempo era la residenza anche del cardinal Jospeh Ratzinger). Nel primo caso al posto di un libreria “Elledici” dei salesiani, arriverà uno shop dell’Hard rock café, un negozio insomma di souvenir e gadgets, almeno in un primo momento. In Via del Mascherino, all’altezza della strada invece, si trovano i locali rimasti sfitti di oltre 500 metri quadri, che presto verranno occupati da un Mc Donald’s (c’era una banca)

In un primo tempo era trapelata sui media la notizia di una lettera mandata dall’Apsa ai cardinali-inquilini con la quale si faceva presente che alcuni lavori di ristrutturazione necessari per adeguare l’edificio alla presenza di un ritornate fast-food al pian terreno, sarebbero stati a carico degli inquilini stessi. Da qui sarebbero nate le proteste dei porporati per un costo che non li riguardava direttamente. Tutto sommato una bega condominiale. 

Di questa lettera tuttavia non c’è stata – fino ad ora – traccia; esiste invece un’altra comunicazione dell’Apsa inviata agli inquilini dello stabile, spiegano in Vaticano, «per informarli che sarebbe stato rimosso un ascensore secondario, precisando che ciò ’determinerà una riduzione degli oneri accessori, sia per la manutenzione ordinaria che per quella straordinaria’. L’intervento era in ogni caso necessario, perché senza di esso anche i bar già esistenti nel palazzo, che svolgono attività di ristorazione, avrebbero perso l’agibilità dal Comune di Roma». Insomma tutto il contrario, non maggiori spese ma minori. Di certo, poi, non risulta che una rivolta in Curia sia in corso; si è levata – anche in questo caso fino ad ora – la sola voce del cardinale Elio Sgreccia ex presidente della Pontificia accademia per la vita, che comunque non abita lì e le cui proteste sono relative al tipo di locali giudicati eccessivamente consumistici, che aprirebbero a pochi passi da piazza San Pietro. 

Nella realtà l’Apsa ha proceduto a mettere a frutto economicamente ambienti rimasti sfitti, scegliendo, come si dice, il miglior offrente, ovvero sfruttando al meglio il valore commerciale e turistico della zona (guadagnandoci insomma). A questo però si deve aggiungere la protesta dei residenti della zona che vedono nell’arrivo delle due nuove catene multinazionali della ristorazione, un fattore di nuova confusione e di ulteriore perdita delle tradizioni di Borgo. L’argomento, in realtà, anche Oltretevere, viene valutato come un po’ capzioso: la zona pullula già ora di ogni sorta di bar, fast food e pizzerie, per non dire dei chioschi e dei negozi di souvenir, degli homeless che dormono sui marciapiedi e negli anfratti dei portoni; via del Mascherino è caotica da molti anni: auto, spazzatura, bar, turisti, vi si accalcano ogni giorno dell’anno; il problema insomma sembra endemico e non relativo all’apertura di un nuovo fast food che cambierà poco nello scenario quotidiano ma forse aumenterà la concorrenza. Il caos intorno a San Pietro, d’altro canto, è questione seria che riguarda la città nel suo complesso. 

Tutto questo, in ogni caso, non ha impedito al Comitato di Borgo di contestare in particolare l’apertura di un locale della catena McDonald’s nei pressi del Vaticano, richiedendo l’intervento di varie amministrazioni dello Stato, poiché il fatto metterebbe a rischio la tutela dei beni storici, artisti e culturali della zona. 

C’è poi da valutare l’aspetto economico, non secondario. E cioè quanto il patrimonio immobiliare incide, in un momento di crisi e di ristrutturazione interna del Vaticano, sullo stato delle casse d’Oltretevere. Secondo quanto afferma un importante e recente studio – «Le finanze del Papa» – pubblicato dall’Università urbaniana, di cui è autore Pier Virginio Aimone Braida, docente emerito di diritto canonico all’università di Friburgo e docente all’urbaniana – in Vaticano, «l’unica posta di bilancio (voce di bilancio, qui ci si riferisce al periodo dal 1992 al 2014; ndr) che è rimasta costantemente in attivo negli ultimi vent’anni è quella concernente il settore immobiliare. Essa ha sempre contribuito, a volte di più, a volte di meno, al riequilibrio del bilancio. Occorre ricordare che questa posta rispecchia tutt’ora l’antica politica della Santa Sede (dopo la sottoscrizione dei Patti Lateranensi) di sovvenire ai propri bisogni grazie alle rendite del proprio patrimonio mobiliare e immobiliare». In tal senso, si spiega, il settore mobiliare ha offerto «ingenti guadagni» ma ha anche «inferto perdite non indifferenti. Il settore immobiliare ha sempre garantito nel tempo, vale a dire ormai da oltre 80 anni, una solida continuità di rendite».  

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