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Vostro figlio ha tra 1 e 3 anni? Vi diamo 6 consigli per educarlo correttamente

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Christin Lola/Shutterstock

Gelsomino Del Guercio - Aleteia - pubblicato il 20/10/16

Dal saperlo accudire all'accrescimento dell'autostima. Mai sottovalutare i gesti del piccolo

I primi mille giorni della vita di un bambino sono talmente importanti da condizionare gran parte dell’esistenza. Infatti, come una piantina cresce bene se il terreno è buono e fertile, così le prime cure e premure per il cucciolo d’uomo sono il prototipo, la base per una vita sufficientemente buona.

Come educare al meglio il piccolo che cresce? Ci sono dei consigli che ogni genitori, di un bimbo di età compresa tra 1 e 3 anni, dovrebbe sapere.

Li spiega “Crescere è una straordinaria avventura” di Ezio Aceti (edizioni Città Nuova)

1) SAPERLO ACCUDIRE

La madre è una figura chiave. Di solito, quando il bambino piange, lei interviene e dolcemente cerca di accudirlo, pulirlo, nutrirlo, insomma di calmarlo nel pianto. Quando invece il bambino è tranquillo, lo vezzeggia, lo coccola, manifestando gioia e felicità. In termini psichici significa che ogni buona madre compie un’operazione fondamentale per la crescita armonica, e cioè prende l’ansia del bambino su di sé e restituisce calma, positività, tranquillità. Questa esperienza è la base dell’amore e della fiducia. Il bambino, grazie a queste cure, restituisce fiducia, sentendosi accolto e protetto, manifestando inconsciamente la gioia di vivere. Questa esperienza è a fondamento di tutte le altre. Averla sperimentata in modo sufficientemente strutturato sarà fonte di vitalità e di voglia di crescere.

2) I RISCHI DELL’INSICUREZZA

Al contrario le madri insicure, tese, con carenze affettive profonde, strutturano o un’attenzione morbosa (sintomo di simbiosi eccessiva) o una trascuratezza patologica, determinando nel bambino una immagine di sé svalutativa e a volte depressiva.

3) AIUTARE ALL’ “INTERIORIZZAZIONE MATERNA”

E’ sorprendente notare come la base dell’esperienza e del rinforzo materno siano in continua attività, in un’esplosione di conoscenze e di attenzioni stupefacenti. La percezione degli oggetti, l’attenzione sulle cose aumenta tanto che, verso il settimo o ottavo mese il bambino raggiunge un’ulteriore tappa fondamentale: l’interiorizzazione materna. Quel processo psichico, cioè, per cui il bambino “porta la madre dentro di sé e la interiorizza”.

Il bambino in questo processo va supportato e seguito, non ignorato. Un processo che permetterà al bambino non solo di acquisire maggiore sicurezza e padronanza di sé, ma anche di sviluppare una capacità di sopportare momenti in cui la madre è assente. Inizierà ad affrontare il mondo, dapprima gattonando, cercando di aprire i cassetti della cucina o cercando di mettere le dita nella presa della corrente ma, successivamente sarà in grado di esplorare anche senza la presenza costante della madre.

4) APPRENDIMENTO IMITATIVO

Sin dal settimo-ottavo mese, molti bambini, mediante la lallazione, esprimono quella che poi diventerà la conquista della parola come suono-significato, legato alle persone e agli oggetti.

I genitori devono tener conto che il linguaggio è, per i bambini, anche realtà e intenzione, infatti, anche se la frase non è ancora strutturata (ci vorrà ancora un bel po’ di tempo), la comprensione comincia a raffinarsi, tanto è che, quando il bambino vuole l’acqua, dice: «Aua», non solo per descrivere l’oggetto acqua, ma anche per il suo desiderio di bere.

La descrizione degli oggetti con la semplice parola o la piccola lallazione renderà il bambino in grado di governarli, di viverli. È stato il grande psicologo russo Lev Vygotskij (1896-1934), morto giovane di tubercolosi, geniale nelle sue scoperte, a dimostrare che la cultura e l’apprendimento imitativo sono basilari per l’acquisizione del linguaggio, dando così fondamentale importanza ai modelli come la madre e il padre, che dunque stimolano l’apprendimento dei piccoli con i loro gesti quotidiani.

5) RIFIUTO APPARENTE

La percezione corporea è una conquista fondamentale per ciascuno; il bambino, infatti, dopo aver interiorizzato la madre e sperimentato col suo corpo il camminare e con il suo pensiero il parlare, verso i diciotto-venti mesi si pone una domanda: «Ma io chi sono?», e anche se questa domanda è ancora intuitiva, rappresenta la base dell’identità propria, di persona distinta dagli altri e soprattutto dalla madre. Questa domanda e ricerca di sé è talmente impellente che inizia a comparire in modo sempre più esplicito il “no”. Questo “no” spesso non rappresenta un rifiuto di quello che si chiede al bambino, ma un bisogno di affermare se stesso distinguendosi dall’adulto.

Sapeste quanta pazienza i bambini hanno con noi quando pensiamo o attribuiamo loro intenzioni che non hanno.

Il bambino non vuole disubbidire, ma affermare il desiderio di esprimere se stesso, anche se apparentemente sembra rifiutare la regola.

6) ESERCITARE L’AUTOSTIMA

Per questo occorre che esercitiamo costantemente con i bambini quello che ci sottolinea il primo principio dell’autostima, ossia “prendere atto dei pensieri dell’altro”; ci accorgeremmo che tutti i bambini che abbiamo considerato come cattivi e disubbidienti, in realtà erano alle prese con il bisogno di dirci: «Guarda che ci sono e voglio fare da solo».

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