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La “notte oscura dell’anima” potrebbe non fare per me

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Zoltán Vörös-CC

Sherry Antonetti - pubblicato il 18/10/16

Forse le nostre vie verso la santità sono individuali quanto le nostre croci

La famosa Totale Consacrazione a Gesù per Maria di San Luigi Maria Grignion de Montfort termina con una preghiera che non riesco a recitare.

Complessivamente amo la Consacrazione: mi ha spinta a pregare di più, a recitare il rosario, ad andare sempre più a fondo nel formarmi sulla fede e sulla nostra Beata Madre, perfino a lottare con la preghiera contemplativa.

Alla fine, però, il santo chiede che non gli vengano date consolazioni, un riflesso della sua idea secondo la quale non meritiamo nulla.

Quando arrivo a questo punto della Consacrazione, so che non riesco a ripeterlo, almeno non con tutto il cuore.

Il mio versetto preferito del Nuovo Testamento è “Chiedete e vi sarà dato”. Sono brava in questo. Chiedo spesso. Voglio tutte le grazie. Dico continuamente a Dio: “Ti prego, effondile tutte su di me. Non voglio perdermene neanche una”.

Mi infastidisco per la spavalderia della mia anima – chiedere sempre – e per la sua codardia – la mia paura di non chiedere niente.

Il mio rosario è una lista di intenzioni. La mia preghiera divaga sempre per chiedere qualcosa.

Ogni volta che mi ritrovo tra le mani la Consacrazione, quindi, scatta in me un piccolo conflitto.

Non dovrei essere capace di pregare per la “notte oscura dell’anima”? Non dovremmo confidare totalmente nella fedeltà di Dio nonostante le sofferenze, il dubbio, la necessità? Non sarebbe un segno del fatto che non voglio usare Dio ma essere usata da Lui – essere, come dice Santa Teresa di Calcutta, una matita nelle sue mani?

Sapevo di non poter pregare Dio di rimanere in silenzio, anche se sapevo bene che il Suo silenzio era un dono, un’opportunità per mettere in pratica la piena fiducia in Cristo.

E allora avrei provato. Sarei andata a fare adorazione. Ma mi sono ritrovata ancora una volta a chiedere. Sgranando il mio rosario, le intenzioni saltavano fuori automaticamente – per i miei familiari, per la mia famiglia, per me.

Poi, un giorno, mi è venuto in mente di chiedere se avrei dovuto chiedere. Mi è tornata in mente l’immagine di Madre Teresa. Lei è la matita, è vero, ma è Lui che scrive.

Invitare Dio a fare tutto ciò vuole con me, a usarmi come Sua matita, significa proprio lasciare a Lui la scelta.

Chiedere un silenzio che il mio spirito non può gestire è solo un’altra forma di resa a cui si oppone resistenza.

“Dio, fa’ di me ciò che vuoi” riflette una profonda fiducia nel fatto che Colui a cui si chiede è infinitamente buono e desidera la nostra santità più di noi… e sa come ottenerla.

Forse, ho capito, quello che sta scrivendo con questa piccola matita di nome Sherry è proprio la mia lista di intenzioni. La mia intercessione è il mio mezzo per dare a Dio tutta la mia attenzione e la mia devozione. Riflette la mia fiducia nel fatto che Egli possa guarire tutte le cose e che, come dice papa Francesco, “non si stanca mai”.

Nessuno di noi ha la stessa afflizione, e allo stesso modo nessuno di noi ha la stessa missione.

Dio ha inscritto nel mio cuore “Chiedi”.

[Traduzione dall’inglese a cura di Roberta Sciamplicotti]

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