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5 cose che i terapeuti vorrebbero che i pazienti sapessero prima di iniziare la terapia

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William McKenna, MS - pubblicato il 14/10/16

Cosa sapere per trarre il massimo profitto dalla consulenza

La gente mi chiede sempre cosa si dovrebbe aspettare dalla terapia. “Il terapeuta avrà un divano di pelle su cui mi dovrò stendere?”, “Mi darà saggi consigli che cambieranno la mia vita?”, “Mi dirà che è tutta colpa di mio marito?” Considerando domande di questo tipo, ho pensato che sarebbe stato utile affrontare cinque cose che i terapeuti vorrebbero che i loro pazienti sapessero prima di iniziare la terapia.

1. Il mio compito non è quello di risolvere la tua vita

Spesso i pazienti entrano nello studio, dicono al terapeuta cosa li infastidisce e poi restano sbalorditi quando il terapeuta dice che il suo compito non è quello di “risolvere” la vita del paziente. Il terapeuta è lì per aiutare a guidare il paziente nell’autotrasformazione e per offrire sostegno nel corso del processo della terapia. Andare da un terapeuta è radicalmente diverso dall’andare dal medico. Noi non possiamo prescrivere medicinali che elimineranno tutte le vostre sfide, e a volte non siamo sicuri di cosa sia esattamente a provocare il problema. La nostra cultura, purtroppo, si aspetta una soluzione per ogni problema e un rimedio rapido per qualsiasi dolore. I terapeuti esperti vi diranno che non cercano di alleviare immediatamente il dolore perché a volte non c’è rimedio. A quel punto, cercano di guidare i pazienti a capire meglio come rapportarsi a situazioni che potrebbero non avere soluzione.

2. Non do consigli

Questo punto si collega bene a quello precedente. Spesso le persone vanno in terapia e chiedono a bruciapelo cosa dovrebbero fare in questa o quest’altra situazione. I pazienti credono che se il terapeuta dicesse loro cosa fare tutto andrebbe bene. Al contrario, andrebbe tutto peggio. Quando un paziente cerca il consiglio del terapeuta, alla fin fine vuole nascondersi dietro la decisione del terapeuta e poter così o dare la colpa al terapeuta per il fallimento di una situazione o usare il suo consiglio come argomentazione quando amici e familiari lo affrontano riguardo a un certo comportamento. In ogni caso la situazione è senza via d’uscita, e può iniziare a costruire una dipendenza del tutto controproducente. La terapia dovrebbe concentrarsi maggiormente sull’aiutare il paziente a vedere i propri punti di forza e la sua capacità di influenzare il proprio presente e futuro.

3. La terapia durerà più di un mese

Sì, ci sono terapeuti che affermano di potervi dare le capacità di cui avete bisogno in uno o due mesi, ma una terapia di questo tipo trascura le questioni più profonde. La ricerca ha indicato in modo consistente che uno stile di terapia di questo tipo può portare a un ricaduta nei sintomi. Bisogna quindi chiedersi quale tipo di cambiamento si vorrebbe verificare nella propria vita, se permanente o temporaneo. La ricerca ha anche indicato che la terapia inizia davvero a funzionare in circa sei mesi, e poi ancora dopo un anno. Dopo quel momento, gli effetti della terapia iniziano a stabilizzarsi. Buona parte della durata della cura dipenderà dalla gravità del problema combinata con l’impegno a cambiare.

4. Siate onesti con il vostro terapeuta, ma soprattutto con voi stessi

La terapia diventa inutile per i pazienti non disponibili ad essere onesti con se stessi circa la propria situazione e onesti con il terapeuta su ciò che sta accadendo realmente nella loro vita. Se i terapeuti non sono capaci di comprendere il panorama più ampio soggiacente alla situazione, può essere difficile compiere grandi progressi nella cura. Tutti i terapeuti, tuttavia, capiscono che ci vuole tempo per creare un rapporto in cui ci si sente abbastanza sicuri da riuscire a svelare segreti su di sé, ma a un certo punto bisogna fidarsi della persona che si ha davanti. Ricordate, siamo qui per aiutare.

5. La terapia non inizia davvero finché non ci si assume una responsabilità personale

Il compito dei terapeuti non è quello di criticare le persone. Trovo che criticare gli altri sia controproducente e dannoso al processo terapeutico. Ovviamente i pazienti devono esprimere la propria rabbia nei confronti delle ingiustizie di cui sono stati vittime, ma questo è diverso dal biasimare degli individui per tutti i loro mali. È meglio concentrarsi su come il paziente sia arrivato a quel punto e su cosa possa fare per procedere verso la guarigione. Il modo in cui i pazienti arrivano nello studio del terapeuta non è solo loro responsabilità (ad esempio in caso di abuso), ma a un certo punto devono assumersi la responsabilità del proprio futuro e del modo in cui interagiscono con gli altri nella vita quotidiana. Se non si compie questo passo, il paziente lotterà per vedere un cambiamento.

Conclusione

Uno dei miei mentori e amici fidati mi ha fornito questa immagine della terapia: la terapia è come una partita di football, nella quale sono quarterback/cheerleader e il paziente è il running back. Io chiamerò sempre il gioco e passerò la palla, ma poi devo mettermi da parte di modo che l’altro possa segnare. La terapia è uno sforzo di collaborazione. Come terapeuti, offriamo la nostra esperienza di psicologia ai nostri pazienti, ma è dovere dei pazienti decidere di essere disposti a fare qualsiasi cosa sia necessaria per cambiare. Uno stile di terapia di questo tipo è salutare e si allinea all’autentico fiorire umano, visto che cerca di aiutare la persona a realizzare la propria capacità di autodeterminazione, oltre a fornirle un luogo sicuro in cui iniziare a riconoscere questa capacità.

[Traduzione dall’inglese a cura di Roberta Sciamplicotti]

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