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Don Simoni e il precedente di Koliqi

Vatican Insider - pubblicato il 10/10/16

Il nome di don Ernest Simoni è indubbiamente quello che maggiormente spicca nella lista dei nuovi cardinali che Francesco creerà nel Concistoro del prossimo 19 novembre. Tuttavia il sacerdote albanese, vittima di torture e violenze della dittatura comunista, non sarà il primo cardinale proveniente dal Paese delle Aquile.  

La sua porpora segue infatti quella di un altro coraggioso sacerdote albanese, che dovette anch’egli pagare a caro prezzo la propria fede cristiana sotto il regime di Enver Hoxha. 

Era Mikel Koliqi, al quale Giovanni Paolo II concesse la porpora nel Concistoro del 26 novembre 1994. Il sacerdote aveva 92 anni e morì tre anni dopo, il 28 gennaio 1997. 

Come don Simoni, anche lui aveva incontrato e raccontato la propria testimonianza al Papa durante un viaggio in Albania. Ovvero la visita a Scutari che Giovanni Paolo II svolse nell’aprile del 1993, durante la quale dovette ricomporre le fondamenta di una Chiesa distrutta dagli anni bui della persecuzione anticristiana posta in atto da un regime – l’unico in Europa – che aveva proclamato l’ateismo di Stato.  

Consacrando quattro vescovi albanesi nella Cattedrale di Scutari che i comunisti avevano trasformato in un palazzetto dello sport, il Papa polacco, che già nell’amata Polonia aveva vissuto sulla sua pelle i soprusi delle dittature, si commosse profondamente nel conoscere la storia di quei vescovi, sacerdoti, religiosi e laici che subirono il martirio, dopo anni di prigionia e torture di ogni genere.  

Koliqi era uno dei pochi sopravvissuti. Più volte si trovò a un passo dalla morte e il suo nome ha rischiato di finire nella lista dei preti trucidati dal regime: 65 per condanna a morte o tortura, 64 morti nei campi o dietro le sbarre.  

Nato a Scutari, il 29 settembre 1902, Koliqi iniziò in diocesi la sua attività pastorale dopo essere stato ordinato sacerdote il 30 maggio 1931. Dopo un periodo di formazione teologica in Italia, fu nominato nel 1936 parroco della Cattedrale e vicario generale. In questa veste, seguendo il cammino dell’Azione Cattolica, si impegnò a portare il Vangelo fra i giovani attraverso la stampa, le attività ricreative e l’istituzione di una compagnia filodrammatica. Come Wojtyla, nutriva infatti una naturale passione per l’arte, il teatro, la musica.  

Nel 1945 fu condannato a 21 anni di lavori forzati, con l’accusa di ascoltare emittenti radiofoniche straniere. Ne dovette però scontare 38, tra prigione e violenze, privazioni di acqua e cibo e frustate sulla schiena, senza mai abiurare la sua fede. Fu liberato nel 1986, un anno dopo la morte del dittatore Hoxha, per motivi di età. Aveva infatti 84 anni.  

A 92 ricevette la porpora che fu salutata dall’intera Albania come segno di speranza e incoraggiamento a una Chiesa che a fatica cominciava ad avviarsi verso la rinascita.Chiesa di cui è stato «autorevole rappresentante», come affermò Giovanni Paolo II nella Lettera che consegnò al neo porporato il 27 novembre 1994, in Aula Paolo VI. «Lei – si legge nel testo – ha offerto una coraggiosa testimonianza di fedeltà a Cristo, affrontando le terribili sofferenze causate dalla dura persecuzione scatenata dal regime totalitario».  

«La sua illuminata azione pastorale venne fortemente contrastata dal regime comunista, che La fece arrestare e condannare più volte. Le minacce e le pressioni non frenarono il suo impegno di evangelizzazione e di servizio ai fratelli. Per questo – disse il Pontefice – la persecuzione comunista si accanì contro di Lei condannandola ai lavori forzati, a cui Lei fu sottoposto per lunghi anni in vari campi di lavoro, fino alla liberazione, avvenuta nel 1986».  

Quella berretta rossa voleva essere dunque un ‘premio’ per Mikel Koliqi da parte del Successore di Pietro «per l’esempio di intrepida testimonianza evangelica offerta nello svolgimento del ministero sacerdotale». «Dopo il duro inverno della violenta opposizione, la Chiesa albanese insieme con Lei può oggi guardare con speranza al futuro», assicurò infatti Giovanni Paolo II. 

La stessa speranza che oggi Bergoglio vuole infondere con la nomina di don Ernest Simoni. Ma se la porpora di Koliqi rientrava in un certo qual modo in quella strategia politica che il Pontefice polacco pose in atto per smantellare i blocchi di dittature e totalitarismi che schiacciavano l’Europa di allora, nella visione di Francesco l’ingresso di Simoni nel Collegio cardinalizio è soprattutto un segno di riconoscimento per tutte le Chiese e i sacerdoti del mondo che oggi soffrono la persecuzione ma che, con coraggio, rimangono aggrappati a Cristo. 

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