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Adolescente dipendente dai social network, incinta di un pedofilo, dice “NO” all’aborto

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Portaluz - pubblicato il 10/10/16

L'aspetto peggiore è stata la pressione alla quale è stata sottoposta per essersi rifiutata di abortire

Da alcuni anni, persone vulnerabili di varie fasce sociali e di qualsiasi parte del mondo sono vittime di violenza psicologica e fisica a causa di un rapporto non salutare con le nuove tecnologie e i social media.

Secondo un rapporto del 2015 del Pew Research Center, il 92% degli adolescenti statunitensi (tra i 13 e i 17 anni) è online tutti i giorni, incluso il 24% che dice di essere collegato ai propri dispositivi “quasi costantemente”. Il 71% utilizza Facebook, la metà è su Instagram e il 41% usa Snapchat. Quasi ¾ degli adolescenti utilizzano più di un sito di reti sociali.

Così era anche per Kali, un’adolescente statunitense che a 14 anni era dipendente dalla realtà virtuale.

Adolescenti a rischio

Non era la prima volta che si recava a un “appuntamento al buio”, ma questa occasione sarebbe stata la peggiore, ha ricordato in una testimonianza diffusa da Savethe1 e Life News:

“Tutto è accaduto in una fredda notte di settembre, una delle ultime dell’estate. Si poteva già sentire l’autunno che si avvicinava. Sono fuggita dalla casa dei miei genitori nella cittadina in cui vivo per conoscere un ragazzo con cui parlavo su Internet. Era un ragazzo molto gradevole e diceva di avere la mia età. Sapevo che i miei genitori non avrebbero mai approvato quel rapporto, e allora sono scappata dopo che si sono addormentati”.

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Kali conosceva quel ragazzo solo attraverso la realtà virtuale, e quando è arrivata sul luogo dell’appuntamento si è trovata davanti un uomo di 66 anni che l’ha aggredita e violentata.

Paura, vergogna e un forte senso di solitudine come mai aveva provato prima la invadevano. Dopo qualche giorno, sopraffatta a livello emotivo, ha raccontato tutto ai genitori. Poi, quando ha saputo di essere incinta del suo violentatore, non è stato il bambino che portava in grembo a darle nuovi problemi.

“Sono una ragazza piuttosto esile, e già a tre mesi si vedeva la pancia. La mia famiglia era distrutta. Alcuni familiari mi sostenevano perché portassi avanti la gravidanza, altri mi esortavano ad abortire e i medici erano divisi. La prima cosa che ho sentito è stata: ‘Ci sono sempre opportunità per avere altri figli’. Un altro medico ha detto ai miei genitori che ero una ‘scavezzacollo’, incapace di prendere qualsiasi decisione sul mio bambino. Nessuno di quei medici ha mai pensato ad altro che all’aborto”.

Guarire in mezzo alla tempesta

Alcuni dei suoi compagni di scuola, ha denunciato Kali, l’hanno derisa o tormentata, e uno di loro ha minacciato di abusare sessualmente di lei. I genitori l’hanno tolta da scuola, ma non è stata lasciata in pace comunque.

“Una mattina ci siamo svegliati e abbiamo visto dipinta su casa nostra la scritta ‘Prostituta’. Per un po’ è sembrato che tutto nella vita fosse una spirale fuori controllo. La maggior parte della gente mi faceva sentire pazza per aver deciso di tenere un bambino concepito durante uno stupro. Quando ti violentano e decidi che la vita dentro di te merita di andare avanti e che lo stupro non è colpa di quel bambino, la gente ti guarda come se avessi perso la testa. Peggio ancora, alcuni iniziano a dubitare che tu sia stata davvero violentata”.

Kali ha raccontato che è riuscita a iniziare a “riparare” la sua anima rifugiandosi nella fede, sentendosi amata da Dio, nel seno della sua famiglia. È stato anche importante che la polizia sia riuscita a catturare l’uomo che l’ha violentata e vederlo poi in carcere.

“Anche se la vita che portavo dentro era stata concepita dopo la brutalità della violenza da parte di un mostro, non potevo uccidere il mio bambino. I miei genitori hanno sostenuto la mia decisione”, ha spiegato Kali.

Meritiamo di essere amati

La gravidanza è stata difficile per via della sua età. Kali ha affrontato un parto prematuro e il bambino è rimasto vari giorni in terapia intensiva. Alla fine, però “aggrappandosi alla vita”, si è stabilizzato, e oggi è un bambino sano, amato e felice, dice orgogliosa la mamma.

“Ringrazio Dio per non aver ascoltato tutte quelle persone che mi esortavano a negare a mio figlio la possibilità di vivere. Ci sono molte altre persone che, come me, vogliono partorire, ma vengono spinte a non farlo. Per favore, aiutate a fermare questo pregiudizio. Parlo con il cuore: anche nel caso di uno stupro, la vita è bella e mio figlio è stupendo. Guardandolo nessuno direbbe che sia stato concepito in occasione di una violenza. E allora mettiamo fine a questo atteggiamento nei confronti di madri e bambini. Meritiamo di essere amati come qualsiasi altra persona”.

[Traduzione dallo spagnolo a cura di Roberta Sciamplicotti]

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