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Cina, ordinato senza consenso del Papa un vescovo “clandestino”

Vatican Insider - pubblicato il 08/10/16

Si chiama Dong Guan Hua il prete cinese che a settembre si è fatto ordinare vescovo della diocesi di Zhengding, nella provincia dell’Hebei. Lo ha fatto senza il consenso del Papa e della Santa Sede, ricevendo l’ordinazione da un anziano vescovo con problemi di equilibrio mentale. Ha agito per scelta deliberata, non è stato certo costretto a tale gesto dagli apparati di controllo sulla Chiesa che fanno capo al potere cinese: padre Dong appartiene all’area ecclesiale cosiddetta “clandestina”, che rifiuta le procedure imposte alla vita della Chiesa dalla politica religiosa del governo comunista. Per il suo gesto è già stato scomunicato dal legittimo vescovo di Zhengding, anche lui clandestino, e potrebbe arrivare sul suo caso anche un pronunciamento dei Dicasteri vaticani.  

Nella diocesi di Zhengding, di cui il nuovo Vescovo Deng pretende di portare il titolo, c’è già un vescovo legittimo e riconosciuto dalla Santa Sede: è l’81enne Julius Jia Zhiguo, considerato una bandiera vivente dai cattolici dell’area clandestina, per aver continuato a esercitare il suo ministero episcopale senza essere riconosciuto come vescovo dal Governo cinese, a costo di trascorrere anche da anziano tanti periodi di detenzione o “residenza sorvegliata”. Negli ultimi tempi, Julius aveva espresso anche pubblicamente fiducia e speranza rispetto al dialogo in atto tra governo cinese e Santa Sede sulle questioni controverse che hanno reso sofferente e anomala la condizione della cattolicità cinese dopo l’avvento di Mao, a cominciare proprio dalla questione della nomina dei vescovi: «Ci fidiamo del Papa. Non ci preoccupiamo. Sappiamo che il Papa non rinuncerà alle cose essenziali che fanno parte della natura della Chiesa» aveva detto Jia in un’intervista esclusiva concessa a Vatican Insider lo scorso febbraio. Secondo fonti locali, contattate da Vatican Insider, proprio questo atteggiamento conciliante di Jia viene tirato in ballo da Dong per giustificare la sua decisione di farsi ordinare vescovo: l’anziano Julius, con le sue parole concilianti, ormai sarebbe diventato un vescovo “ufficiale” pronto a collaborare con le autorità civili, e quindi i cattolici clandestini di Zhengding avevano bisogno di un nuovo vescovo, di cui «potersi fidare». Per perseguire il suo intento, Dong ha chiesto e ottenuto di essere ordinato vescovo dall’anziano Casimirus Wang Milu, emerito di Tianshui, nella provincia settentrionale di Gansu, da tempo noto per uscite e atteggiamenti bizzarri, che gli ha imposto le mani. Davanti al diffondersi della notizia, arrivata presto a conoscenza anche degli apparati politici cinesi, il vescovo Julius Jia non ha perso tempo e esercitando la sua legittima autorità episcopale ha dichiarato scomunicato padre Dong, comunicando a tutti i sacerdoti e a tutte le comunità cattoliche che quel sacerdote è incorso automaticamente nella scomunica prevista dal Codice di Diritto Canonico per chi conferisce o riceve ordinazioni episcopali illegittime. 

La vicenda, complicata e ancora da chiarire nei dettagli, porta comunque alla luce aspetti cruciali e processi in atto nella presente condizione della cattolicità cinese, solitamente oscurati dalle manipolazioni mediatiche prevalenti intorno alla questione dei rapporti tra governo cinese, Chiesa in Cina e Santa Sede.  

Le parole e anche l’immediato intervento canonico del vescovo Julius Jia Zhiguo confermano il saldo sensus fidei che caratterizza la stragrande maggioranza dei vescovi clandestini e delle comunità affidate alla loro cura pastorale. Sono sempre più numerose le voci di vescovi “clandestini” che esprimono pubblicamente speranze e fiducia nel dialogo in atto tra Santa Sede e apparati cinesi, nella consapevolezza che attraverso tale cammino potranno gradualmente essere superati o almeno attenuati i problemi e i condizionamenti da loro sofferti lungo decenni per fedeltà al Vangelo e al Successore di Pietro. Nello stesso tempo, la vicenda di Zhengding conferma in maniera dolorosa l’esistenza in seno all’area clandestina di gruppi minoritari contagiati da un rigorismo settario di stampo donatista. Frange pronte a tutto, capaci di bollare come “traditore” anche un confessore della fede come Julius Jia, per le parole di speranza da lui espresse rispetto ai contatti tra Cina e Vaticano. Sono gli stessi gruppi che già avevano di fatto respinto le linee guida pastorali espresse nella Lettera di Papa Benedetto XVI ai cattolici cinesi del 2007. I “duri e puri” che hanno sempre rifiutato di riconoscere la validità dei sacramenti amministrati nelle parrocchie cinesi da preti e vescovi che sottopongono le loro attività pastorali alle regole imposte dal governo, e sembrano disposti a intraprendere sentieri scismatici davanti alla prospettiva aperta di una graduale normalizzazione dei rapporti tra Pechino e Santa Sede.  

C’è da credere che l’incidente di Zhengding non basterà a sabotare la road map dei negoziati sino-vaticani. Non sarà difficile spiegare ai funzionari di Pechino che dietro quella vicenda isolata non c’è nessun “doppiogiochismo” vaticano, e tanto meno un indizio della insofferenza dei cattolici cinesi davanti alle scelta del dialogo da sempre auspicata dalla Santa Sede: proprio l’immediata reazione messa in atto dall’interno della stessa comunità clandestina, ad opera del vescovo Jiulius Jia, ha confermato che il corpo ecclesiale diffuso nell’Ex Celeste Impero è ben fornito di anticorpi contro le derive settarie, e che proprio le tribolazioni vissute per confessare in pienezza la propria fedeltà al depositum fidei hanno solo reso più forte e struggente l’affetto verso il Papa e il vincolo di comunione con la Chiesa di Roma. E li rende vaccinati anche rispetto a commentatori e agenzie che fuori dalla Cina continuano a applicare alle scelte della Santa Sede una griglia di lettura politica, presentandole come opzioni ispirate da un ingenuo o cinico desiderio di “successo” politico- diplomatico, e non dalla sollecitudine pastorale e missionaria per la vita di fede dei cattolici cinesi.  

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