Capire che il problema siamo noi e non gli altri è un punto cruciale
La bambina dopo un pomeriggio di musi mi abbraccia con la consueta grazia da escavatrice e mi scaraventa sul lettone. Poi con la faccia nascosta sotto la mia ascella prosegue:
“La verità è che per tutte le cose brutte che mi succedono – se ho sonno, se non mi piace la merenda, se non mi va di fare i compiti – io preferisco arrabbiarmi con te. È più semplice”.
Guardo mia figlia come se fossi davanti a un prodigio. Ha solo dieci anni, ma ha fatto un passaggio di consapevolezza a cui certi – certe – cinquantenni faticano ad arrivare (e tenderei a pensare che dopo una certa età, salvo miracoli, è difficile che ci si arrivi). Capire che il problema siamo noi e non gli altri è un punto cruciale, direi il punto di svolta della conversione, o della maturazione se vogliamo usare un termine laico.
Ci sono persone che sembrano aver sempre qualcosa da recriminare, ed è sempre colpa di qualcosa o di qualcuno se non sono felici, perché capire che ognuno di noi è responsabile del proprio stato d’animo è davvero un passaggio di maturazione decisivo. E qui siamo ancora sul piano semplicemente umano.
Poi c’è quello di fede, che come sempre non smentisce ma si sovrappone al dato di ragione e di realtà e lo completa: io decido di prendere atto della mia realtà e di abbracciarla facendomene pienamente carico, portando tutto il mio peso (piccolo, come la merenda sbagliata, o grande che sia) e poi magari anche quello di qualcun altro, perché credo fermamente che c’è un Padre che mi ama, che mi dà la grazia di farlo, che mi ama gratuitamente e immeritatamente, e allora tutta la mia realtà è redenta e trasfigurata, tutti i pesi accolti con fiducia sono occasione di guarigione, di redenzione, perché la croce salva ed è preziosa ed è stata studiata al millimetro da Dio, della misura e pesantezza perfetta per noi, perché ci possa salvare.