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3 parole che possono aiutare a formare la nostra preghiera nell’adorazione eucaristica

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Thoom/Shutterstock

Elizabeth Scalia - Aleteia - pubblicato il 05/10/16

Dopo un grande silenzio vengono l'epiclesi, l'oblazione e l'intercessione

La parola epiclesi significa “invocazione”. Come oblata benedettina, so che un’oblazione è un’offerta di sé, e tutti sappiamo che le intercessioni sono suppliche a favore di altri. Combinate con altri elementi importanti, queste tre parole formano spesso la base delle mie preghiere nell’adorazione eucaristica.

Sono debole, spesso al massimo grado, quando vado all’adorazione settimanale, ma so che la mia preghiera lì – anche se non ho niente e non sono niente – viene resa forte perché è compiuta davanti alla Presenza fisica del Cristo, e perché Egli vede la mia buona volontà.

Spesso, quando me ne vado al mio banco per la mia ora di adorazione settimanale, sono come una persona nel deserto che ha attraversato sabbie roventi e alla fine ha trovato un ruscello fresco accanto a cui crollare e da cui bere, e le mie prime preghiere sono come gemiti mentre cerco di incamerare la luce e la pace che si irradiano davanti a me.

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Dopo un po’ riesco a raccogliermi, e allora la mia preghiera assume la forma del ringraziamento: per la Sua presenza, per quell’ora, per la mia famiglia, per il mio impiego e per le buone notizie condivise dai miei amici. Queste preghiere portano naturalmente a preghiere di lode, perché la gratitudine permette la preghiera, il che a sua volta rende le nostre preghiere più simili a quelle degli angeli. Le preghiere di lode sono un distacco dalla terra. Sono una spinta d’amore semplice, diretta, rivolta al cielo.

Chiamatemi presuntuosa, ma nella rinnovata calma porto tutto il mondo nella preghiera: le persone sulla mia lista di preghiere; il Santo Padre; il sacerdoti e i religiosi, nominandoli quando è possibile; le Nazioni; le persone che fanno notizia; le città; gli Stati; i continenti. Le mie richieste a volte sembrano infinite, come se stessi arringando Dio: “Signore, colui che ami è ammalato”, o “Signore, colui che ami è solo”, o “Signore, coloro che ami sono sotto la schiavitù della rabbia e dell’odio”.

Le mie richieste sembrano infinite, e come un cerimoniere faccio entrare chiunque, e poi mentalmente, spiritualmente, ritorno dietro le quinte, immaginandomi a terra, quasi prostrata, senza il coraggio di guardare in su, mentre prego:

“Aiutali a comprendere la verità, la forza e l’inviolabilità del tuo amore, la generosità della tua misericordia; mostra loro l’effusione della tua grazia; dona loro la tua guarigione e permetti loro di riconoscere e di confidare nel fatto che i tuoi doni una volta offerti non vengono mai ritirati. Tu, Alfa e Omega, in cui viviamo e ci muoviamo e troviamo il nostro essere, effondi la tua pace come il miele più dolce per rinfrancare i cuori affamati e gli spiriti stanchi. Fa’ che la tua Luce ci tocchi, come balsamo consolatore, per lenire e riscaldare la nostra umanità ormai fredda, perché possiamo essere aperti alla tua giustizia e desiderosi di essere risanati. Ma non sono un intercessore degno, solo un essere manchevole che confida nella tua misericordia. Considera non quello che merito ai tuoi occhi, ma solo le necessità di coloro che ami, che porto davanti a te e per cui io, l’ultima, supplico. Fa’ che la mia preghiera si elevi davanti a te come incenso. Perdona i miei peccati, soprattutto le mie mancanze nell’amore, i miei peccati di omissione, e gettateli alle spalle come ha promesso il tuo profeta Isaia, e con la tua grazia potrò fare meglio. Gesù, Figlio del Dio Vivente, abbi pietà di me, peccatrice, nel tuo nome io prego…”

La preghiera è una forza, ed è reale. Ci vuole un sacerdote per recitare la preghiera eucaristica nella Santa Messa, ma noi membri del laicato abbiano accesso all’epiclesi, all’oblazione e all’intercessione: possiamo implorare e invocare; possiamo offrire il nostro debole io come condotto attraverso il quale possano fluire grazie inimmaginabili; possiamo intercedere attraverso il sacerdozio acquisito nel Battesimo.

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Per gentile concessione della rivista The Catholic Answer, sul cui numero di novembre/dicembre 2015 questo articolo è apparso per la prima volta.

[Traduzione dall’inglese a cura di Roberta Sciamplicotti]

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