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La potente frase che ha salvato un matrimonio a pezzi

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Elizabeth Scalia - Aleteia - pubblicato il 03/10/16
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Dopo aver pianto nella doccia e gridato a Dio, un marito ha imparato un segreto che gli ha cambiato la vitaSulla carta Richard Paul Evans sembrava essere uno degli uomini più felici sulla faccia della terra. Padre di cinque figli, scrittore di grande successo (il suo nome è spesso in cima alla lista dei bestseller del New York Times), sembrava avere tutto. Ma nonostante gli affezionati lettori, i figli amorevoli e la bella casa nello Utah, Evans si sentiva miserabile. Perché – come scritto sul suo sito – il suo matrimonio era infelice.

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“Mia figlia Jenna, la maggiore, mi ha detto recentemente: ‘La mia più grande paura da bambina era che tu e mamma avreste divorziato. A dodici anni pensai che forse sarebbe stato meglio così, visto che litigavate tantissimo’. Poi ha aggiunto, sorridendo: ‘Sono contenta che abbiate risolto le cose tra di voi’ “.


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Non fu semplice. Evans e sua moglie Keri sembrarono incompatibili sin dai primi giorni, destinati a combattersi, continuamente, quasi dall’inizio del matrimonio.

“Mia moglie Keri ed io abbiamo lottato per anni. Guardando indietro, non ricordo esattamente cosa ci fece avvicinare all’inizio, ma le nostre personalità erano del tutto inconciliabili. Man mano che il matrimonio andava avanti le differenze apparvero ancora più estreme. Aver trovato ‘notorietà e fortuna’ non rese più facile la convivenza. Anzi, esacerbò i nostri problemi”.

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La coppia litigava così tanto che Evans iniziò ad organizzare molte presentazioni del suo libro, pur di allontanarsi da casa. Ma le discussioni proseguivano al telefono, ed entrambi assunsero un atteggiamento “perennemente difensivo”. In una lite a distanza particolarmente accesa, Keri sbatté il telefono in faccia a Evans.

“Allora mi rivolsi a Dio, o meglio me la presi con Lui! Non so se urlare a Dio possa considerarsi una preghiera o meno ma, qualsiasi cosa fosse, non la dimenticherò mai. Ero nella doccia dell’hotel Ritz-Carlton di Atlanta e urlavo contro Dio… Dentro di me sapevo che Keri era una brava persona e che io lo ero a mia volta. Allora perché non riuscivamo ad andare d’accordo? Perché avevo sposato una persona così diversa me? Perché lei non cambiava?”

Alla fine, a pezzi, scoppiai a piangere. Anche in quel buio riuscii a vedere una luce. Non puoi cambiarla, Rick, puoi solo cambiare te stesso. In quel momento iniziai a pregare. “Dio, se lei non può cambiare, allora cambia me”. Pregai fino a tarda notte e il giorno dopo mentre tornavo a casa. Pregai mentre varcavo la soglia, tornando da una moglie fredda che a stento si era accorta del mio rientro. Quella notte a letto, mentre eravamo a pochi centimetri di distanza eppure lontanissimi, arrivò l’ispirazione. Sapevo cosa fare.

Il giorno dopo mi avvicinai e le chiesi: “Come posso rendere migliore la tua giornata?”

Keri mi guardò arrabbiata: “Cosa?”

“Come posso rendere migliore la tua giornata?”

“Non puoi, perché lo chiedi?” disse.

“Perché dico sul serio, voglio sapere cosa posso fare per migliorare la tua giornata”

Il suo sguardo si fece cinico.

“Vuoi fare qualcosa? Pulisci la cucina”.

Si aspettava che mi arrabbiassi. Invece annuii: “Ok”.

Mi alzai e andai in cucina.

Il giorno dopo posi la stessa domanda: “Cosa posso fare oggi?”

Con gli occhi socchiusi, mi disse “C’è da pulire il garage”.

Feci un respiro profondo. Avevo già avuto una giornata pesante e sapevo che la sua richiesta era provocatoria. Stavo quasi per perdere le staffe.

Invece le dissi ok e per le due ore seguenti mi dedicai al garage. Keri non sapeva cosa pensare.

“Cosa posso fare per te oggi?

“Niente”, urlò, “Non puoi fare niente. Smettila di chiederlo”

Io dissi: “Mi dispiace, non posso. Ho preso un impegno con me stesso. Cosa posso fare per te oggi?”

“Perché fai tutto questo?”

“Perché tengo a te e al nostro matrimonio”.

Per due settimane ho insistito, chiedendole cortesemente di farmi sapere come poterla rendere felice. Keri scoppiò a piangere. “Ti prego smettila di chiedermelo. Non sei tu il problema, sono io. Vivere con me è difficile, non so perché resti insieme a me”.


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Le sollevai dolcemente il mento per guardarla negli occhi e dissi: “Perché ti amo. Cosa posso fare per rendere migliore la tua giornata?”

“Dovrei chiedertelo io”.

“Dovresti”, risposi, “Ma non adesso, adesso ho bisogno di essere io a cambiare. E tu devi sapere quanto conti per me”.

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Fu un momento di connessione pura. Così pieno di quell’autentica intimità che nasce quando vengono chieste (e accettate) delle scuse. Con le parole, con le azioni, con la semplice presenza. Quando Evans chiese a Keri cosa avrebbe potuto fare per renderle la giornata migliore, lei disse: “Possiamo semplicemente passare un po’ di tempo insieme?”

“Mi piacerebbe molto”, rispose lui.

È stata la svolta di cui avevano bisogno. Evans e Keri decisero di non voler essere più lontani l’uno dall’altra, ma di desiderare la reciproca compagnia.

Evans continuò a chiedere quella domanda per più di un mese. Non litigavano più, e presto fu Keri ad iniziare a chiedere: “Cosa hai bisogno che io faccia?”


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“I muri che ci separavano crollarono”, scrive Evans. “Iniziammo ad avere discussioni significative su ciò che volevamo dalla vita, e su cosa avremmo potuto fare per rendere felice l’altra persona. No, non abbiamo risolto tutti i nostri problemi e non posso ovviamente dire di non aver litigato mai più. Ma era la natura dei nostri scontri ad essere cambiata. Si erano fatti più rari e non erano più cosi violenti come un tempo. Li avevamo privati dell’ossigeno. Non avevamo più voglia di ferirci a vicenda”.

Il matrimonio è difficile. Sono rare le coppie per cui non lo è. Evans lo sa molto bene, ma conclude così: “Avere un compagno per sempre è un dono eccezionale. Ho imparato che il matrimonio può aiutarci a smussare anche i nostri lati più odiosi. E tutti ne abbiamo”.

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Quest’ultima frase di Evans è giusta. Spesso le coppie si impantanano nei loro doveri verso la famiglia, nella carriera e negli impegni di chiesa. Al punto da perdere facilmente di vista gli altri (persino se vivono attorno a loro) e i propri bisogni. “Cosa posso fare per rendere la tua giornata migliore?”, posta con serietà e convinzione), è – o dovrebbe essere – la principale domanda d’amore, che spazza via (attivamente e intenzionalmente) gli interessi personali, aprendoci agli altri.

“Il vero amore non consiste nel desiderare una persona, ma nel desiderare la sua felicità, anche a spese della propria… Sono immensamente grato dell’ispirazione che ho avuto quel giorno, tanto tempo fa”.

Ispirazione è la parola corretta. Il concetto rivelato ad Evans – che il vero amore desidera la felicità dell’altro, anche a spese della propria – fu la risposta a una preghiera. E parla proprio di Cristo, del suo amore. Semplicemente un altro modo per spiegare ad un uomo, e a tutti noi, che l’amore ha sempre una connessione con la Croce.

[Traduzione dall’inglese a cura di Valerio Evangelista]