Ma le scuole, bombardate e ricostruite, restano aperte “Siamo responsabili degli allievi in qualsiasi condizione”
di Giordano Stabile
«Noi religiosi siamo come soldati. E i soldati non scappano». Suor Luisa indica le piastrelle del ballatoio al secondo piano della scuola armena cattolica «Farah», nel quartiere di Middan. Quelle più chiare indicano la parte che era crollata dopo un bombardamento da parte di ribelli, lo scorso giugno. «È venuto giù tutto – racconta -: il terrazzino, una parete, le scale. È stata dura, ma siamo riusciti a rimetterla prima dell’inizio dell’anno scolastico». Suor Luisa è stata mandata a dirigere la scuola nel 2010, all’inizio della guerra civile. Parla con un sottofondo di esplosioni, a meno di un chilometro. «Ci spaventiamo più noi adulti che i bambini, loro si abituano a tutto. In molti mi hanno detto di venire via. Ma noi siamo responsabili dei nostri allievi in qualsiasi condizione».
Alla scuola si insegnano armeno, arabo, inglese e francese oltre alle materie tradizionali. «Per fortuna quando è caduto il razzo non c’era nessuno nella classi. È stata una vendetta per il riconoscimento del genocidio armeno da parte della Germania. Appena si è diffusa la notizia sul quartiere di Middan è scoppiato l’inferno». Anche perché bombe e colpi di mortaio arrivano da vicino quartiere di Bustan al-Basha, «il frutteto del pascià», feudo dei ribelli filo-turchi di Ahrar al-Sham. E l’odio turco per gli armeni si somma a quello fra insorti e governativi. La maggior parte delle vie di Middan sono chiuse da blocchi fatti con macerie e auto carbonizzate che indicano fin dove ci si può spingere. Teli stesi attraverso la strada e attaccati ai palazzi servono a togliere la visuale ai cecchini. Quando il vento li strappa, riattaccarli è un’impresa a rischio della vita.