Quello che il Papa inizia venerdì 30 settembre è un viaggio lampo di tre giorni e due notti nel Caucaso. Francesco visiterà due paesi, Georgia e Azerbaigian, completando il pellegrinaggio iniziato lo scorso giugno in Armenia. Inizialmente il viaggio era stato concepito come un tutt’uno, ma la coincidenza con il concilio panortodosso di Creta aveva obbligato a dividerlo in due, per non intralciare la presenza del Patriarca georgiano Ilia II al grande sinodo: il Vescovo di Roma non avrebbe potuto giungere in un paese di antichissima tradizione cristiana in assenza del capo della Chiesa più importante. La sorte ha poi voluto che Ilia sia stato tra quei patriarchi che, insieme con quello di Mosca Kirill, hanno deciso all’ultimo di non prendere parte all’assise di Creta. Ma ormai il calendario del viaggio papale spezzato in due tronconi era stabilito.
Il viaggio al confine tra l’Europa e l’Asia rientra nella tipologia delle trasferte bergogliane nel Vecchio Continente: Paesi piccoli, ancora feriti da conflitti, dove il Papa spera di incoraggiare percorsi di riconciliazione e di pace. Paesi dove i cattolici sono un «piccolo gregge» ma nei quali convivono con altre confessioni cristiane e con altre religioni. Quello in Georgia e Azerbaigian è – come già lo fu in Turchia – anche un pellegrinaggio che lambisce il dramma dei rifugiati in fuga dall’Isis. Bergoglio condividerà le sofferenze dei cristiani iracheni venerdì sera a Tbilisi nella chiesa assiro-caldea intitolata a Simone bar Sabbae. Come pure la visita lambisce il dramma di altri profughi, costretti a lasciare le zone di confine con la Federazione russa dopo gli scontri che hanno visto i carri armati di Mosca entrare in Georgia nel 2008. Ed è ancora una ferita aperta il conflitto tra Azerbaigian e Armenia per il controllo della regione del Nagorno Karabakh.
«Ho accolto l’invito a visitare questi Paesi – spiegava lo scorso giugno Papa Francesco – per un duplice motivo: da una parte valorizzare le antiche radici cristiane presenti in quelle terre – sempre in spirito di dialogo con le altre religioni e culture – e dall’altra incoraggiare speranze e sentieri di pace. La storia ci insegna che il cammino della pace richiede una grande tenacia e dei continui passi, cominciando da quelli piccoli e man mano facendoli crescere, andando l’uno incontro all’altro. Proprio per questo il mio auspicio è che tutti e ciascuno diano il proprio contributo per la pace e la riconciliazione».
«Direi che è abbastanza facile osservare nel Papa – ha detto il cardinale Segretario di Stato Pietro Parolin – un vivissimo desiderio di essere portatore di pace, ovunque egli vada. In questo senso, anche le situazioni politiche o i piani strategici passano, per così dire, in secondo piano. Nel caso concreto, non penso si possa ipotizzare una facile soluzione di tutte le problematiche che riguardano la regione caucasica. Esse hanno bisogno di sforzo, di volontà politica e di disponibilità al compromesso. Ma Papa Francesco si reca nei Paesi caucasici con grande umiltà, cercando innanzitutto di ascoltare, di capire e, conseguentemente, di incoraggiare ogni iniziativa di dialogo e di apertura verso l’altro».
Già durante l’incontro ecumenico e la preghiera della pace a Yerevan, il 25 giugno 2016, Francesco ha fatto cenno al conflitto nel Nagorno Karabakh auspicando una soluzione pacifica. Il conflitto nell’area si è riacceso in aprile, e i membri del Gruppo di Minsk creato dall’Osce stanno cercando di rilanciare iniziative per un compromesso capace di portare finalmente alla pace. Non va poi dimenticato che Georgia e Azerbaigian, come pure l’Armenia, facevano parte dell’impero sovietico e la Federazione Russa cerca di conservarli nella sua orbita o almeno di impedire che altri li annettano alla propria.
Il viaggio, specie nella sua prima tappa di due giorni in Georgia, ha importanti implicazioni ecumeniche. La Chiesa ortodossa georgiana, con la quale la Santa Sede intrattiene buone relazioni, è tra le poche che non riconoscono la validità del battesimo amministrato dai cattolici. Francesco e Ilia II si abbracceranno, ma non pregheranno insieme. Il Patriarca e Catholicos degli ortodossi georgiani non parteciperà personalmente alla messa celebrata dal Pontefice sabato 1° ottobre, ma ha deciso di inviare una delegazione: un segnale giudicato importante dalla Santa Sede. Non va dimenticato che quello in Georgia è di fatto un viaggio alle radici cristiane dell’Europa: il cristianesimo è stato dichiarato religione di Stato nel 337 d.C. e la Chiesa georgiana si è proclamata autocefala, rendendosi autonoma dal Patriarcato di Antiochia, già nel V secolo.
L’Azerbaigian è un Paese a stragrande maggioranza musulmana (96%), composta per il 63% di sciiti per il 33% sunniti. E attira l’attenzione non soltanto del vicino Iran, ma anche dei Paesi arabi interessati a introdurre la componente fondamentalista dell’islam. Con notevoli sforzi le autorità civili e religiose del Paese hanno tentato in ogni modo di tenere distinto l’assetto statale da quello confessionale, resistendo alle infiltrazioni radicali promosse, per motivi diversi, dai Paesi vicini e correligionari, compresi quelli del Caucaso del nord. La presenza del Papa, che incontrerà i leader delle religioni domenica pomeriggio, sarà dunque di incoraggiamento per questa via di «multiculturalità» e di tolleranza, quotidianamente minacciata in un mondo in subbuglio per quella «terza guerra mondiale a pezzi» nella quale si sta cercando di ammantare di motivazioni religiose interessi economici e politici.