Il missionario giornalista si racconta: la mia vita spirituale era decaduta, ci sono stati tre motivi che hanno spinto la mia rinascita
Oltre 80 Paesi visitati per incontrare sul campo popoli, culture, missionarie, missionari, volontari; più di 100 i libri scritti per raccontare l’incontro con le genti del Sud del mondo e tanti testimoni di solidarietà; numerosi i colleghi di cui è stato amico, confidente e collaboratore, da Indro Montanelli a Enzo Biagi. Molti gli scoop giornalistici come il racconto fotografico della guerra civile in Angola nel 1975 o i “contro-reportage” dal Vietnam durante il conflitto degli anni Settanta.
C’è tutto questo, e molto di più, nel nuovo libro di padre Piero Gheddo, «decano» dei missionari giornalisti d’Italia, per 40 anni direttore del mensile Mondo e Missione, fondatore dell’agenzia stampa AsiaNews. Il suo libro Inviato speciale ai confini della fede. La mia vita di missionario giornalista (Editrice missionaria italiana, pp. 224, euro 14, prefazione di Andrea Tornielli) è in libreria da questa settimana.
DURE PROVE
In questo libro Padre Gheddo rivela che più volte nella sua vita ha attraversato vere e proprio crisi interiori. Da uomo e da prete. «Anch’io ho vissuto momenti di difficoltà – dice – affrontato rischi e prove. In più occasioni ho visto da vicino la miseria più disumana, le atrocità delle guerre e delle violenze. Qualcuno mi ha chiesto: “Non ti è mai salito, da dentro, il grido “Dio, dove sei?” davanti a certi tragici spettacoli?”».
“HO CONOSCIUTO LA FAME AUTENTICA”
Cosa ha sconvolto il missionario-giornalista? Sicuramente ciò che ha visto con i suoi occhi. «Ho già visto la fame in India, ma non in questa spaventosa situazione: uomini, donne, bambini, anziani, seduti per terra in tutte le costruzioni, nei corridoi, nelle stanze, nel cortile sotto un sole impietoso, per avere due volte al giorno una fetta di polenta di mais con un po’ di peperoncino e un litro d’acqua per famiglia. La fame autentica (che poi proverò in Angola) torce lo stomaco, rende l’uomo disumano. Ho pensato a Gesù crocifisso. Questi poveri scheletri umani sono in Croce con Gesù. Mi sento colpevole, responsabile di quella tragedia. Penso a tutto quel che Dio ha dato a me e nulla a quei poveri in Croce con Gesù. Provo vergogna, piango e prego per loro».
NEL CICLONE PER L'”HUMANAE VITAE”
Crisi e sofferenze a volte, prosegue il sacerdote, «le ho patite per attacchi personali. Sono cose passate, quasi non meritano di essere ricordate. Però, dopo il primo viaggio in Vietnam (1967-1968), la pubblicazione della Humanae vitae di Paolo VI (1968) e il “Sessantotto”, ero contestato aspramente, deriso e, a volte, insultato e umiliato come “papalino”, perché davo sempre ragione al papa e ai vescovi. Andavo controcorrente e ne pagavo il prezzo. Nel 1972 chiesi a monsignor Aristide Pirovano, rieletto superiore generale del Pime nel capitolo post-conciliare del 1971-1972, di poter andare in missione, poiché mi contestavano anche non pochi confratelli. Pirovano mi disse di andare avanti: ero d’accordo con Paolo VI e con lui e questo doveva bastarmi».
“MI SONO LASCIATO TRASCINARE…”
Da sacerdote, confessa ancora Gheddo, «ho attraversato la forte crisi dell’attivismo: mi sono lasciato trascinare in un tale inarrestabile ingranaggio di attività, sempre più urgenti, da mettere in secondo piano la preghiera e la ricerca dell’intimità con Gesù Cristo».