«A un mese dalla tragedia, sul piano personale la nostra comunità è ancora nel momento del dolore per la perdita dei legami affettivi e familiari. La tragedia non è superata e richiede un lungo tempo di elaborazione e di attenzione. La ricostruzione delle case deve procedere, ma in parallelo con la ricostruzione delle vite e degli animi delle persone colpite dal terremoto: le due cose camminano in modo distinto ma non separato, l’una regge l’altra». È quanto sottolinea monsignor Domenico Pompili, vescovo di Rieti.
Dopo l’accusa nell’omelia durante i funerali delle vittime, in cui ha ammonito a non chiamare in causa Dio, ma piuttosto l’uomo per i morti provocati dal crollo delle case durante il terremoto, il vescovo di Rieti esprime un auspicio in prospettiva di una ricostruzione: «Il terremoto ha naturalmente una sua violenza; ma l’uomo è in grado di attrezzarsi per attutire l’impatto sulla popolazione, così come del resto già accade in varie parti del mondo, dove anche di fronte a eventi naturali estremamente violenti non si registrano vittime o il loro numero è molto limitato. Così dovrà essere anche in Italia».
«In questo momento, siamo in una sorta di tempo sospeso – afferma monsignor Pompili – Ora inizia la fase in cui la gente esce dalle tendopoli che sono state la prima risposta all’emergenza: sia per il freddo in arrivo, sia perché molte aree sono interessate ai lavori di costruzione delle casette provvisorie; tempo che coinciderà con un allontanamento fisico ma certo non emotivo da quei luoghi. Ci auguriamo che questo periodo sia davvero breve, lo stretto necessario per consentire l’allestimento di questi nuovi spazi abitativi». Nei paesi colpiti dal sisma c’è poi un’altra forte attesa, oltre a quella naturale sui piani di ricostruzione: quella per la visita annunciata di Papa Francesco. «Dopo aver espresso pubblicamente, durante un Angelus di qualche domenica fa in piazza San Pietro, il suo forte desiderio di voler incontrare la gente colpita dal terremoto, c’è una grande attesa da parte di tutti – conferma il vescovo di Rieti – Ma ancora non si può prevedere una data, neanche di massima, per l’arrivo del Pontefice, che attendiamo con grande desiderio e speranza».
Il bisogno di attenzione per questa fase delicata viene sottolineato anche da monsignor Giovanni D’Ercole, vescovo di Ascoli Piceno, che a un mese dal terremoto del 24 agosto terrà una celebrazione eucaristica nella tendopoli di Arquata del Tronto il 25 settembre. «Il terremoto – dice D’Ercole – comincia a far sentire adesso i suoi effetti più devastanti perché ha distrutto dentro, c’è un senso di incertezza verso il futuro».
«Sarà un momento di preghiera e anche l’occasione per fare il punto della situazione a un mese di distanza, per capire quello che è stato fatto finora e ciò che ci resta da fare. Siamo solo all’inizio del cammino. È come dopo un lutto, nei primi giorni ci sono i parenti, gli amici, poi mano a mano si torna nella vita ordinaria e lì si comincia a realizzare quello che è successo, che si è perso tutto, la casa, i progetti. Lì – spiega – c’è bisogno di un grande sostegno umano e spirituale e noi cerchiamo di fare questo».
Monsignor D’Ercole è stato vescovo dell’Aquila nel post-sisma. «Vorrei evitare gli errori che sono stati fatti in passato, cioè considerare anche inconsapevolmente i terremotati come delle persone da assistere. Fin dall’inizio ho voluto che fossero loro i protagonisti, che si rimboccassero le maniche con l’aiuto dei volontari». Dall’esperienza dell’Aquila «ho imparato quanto è importante curare la parte relativa all’anima perché mi sono reso conto che c’è un bisogno spirituale: dare risposte a quelle domande profonde che la morte, il terremoto, impongono. E lì serve una presenza spirituale che aiuti a trovare ragioni di vita».
La notte del terremoto monsignor D’Ercole, appena appresa la notizia del sisma, si attivò per arrivare all’alba nella zona colpita. «Ho trovato una situazione disperata che non potrò mai dimenticare. Ho sentito il puzzo del terremoto, acre, della terra che si gretola. Una scena difficile da dimenticare». Ora «siamo tra i terremotati, una presenza discreta, di sostegno, di ascolto, di vicinanza, questo è il lavoro che abbiamo fatto finora e che vogliamo continuare a fare». Qui la gente «mi chiede di non abbandonarli, di rifare la chiesa. Questi sono paesi che – sottolinea – si reggono sulle tradizioni, e queste vanno tenute vive».