Alcuni appunti sul bel catechismo pubblicato da Padre Maurizio Botta e Padre Andrea Lonardo
«Le scuole e i saggi più ermetici non hanno mai avuto la gravità che alberga negli occhi di un neonato di tre mesi. La sua è la gravità dello stupore di fronte all’universo, e questo stupore non è misticismo, bensì buonsenso trascendente. Il fascino dei bambini sta nel fatto che con ognuno di loro tutte le cose vengono rifatte, e l’universo rimesso alla prova. Quando camminiamo per strada e sotto di noi vediamo le deliziose teste bulbose di questi funghi umani, il triplo delle dimensioni che dovrebbero avere in proporzione al loro corpo, dovremmo sempre ricordarci innanzitutto che ognuna di quelle sfere contiene un universo nuovo fiammante, nuovo quanto era nuovo il mondo il settimo giorno della creazione. In ognuna c’è un nuovo sistema di stelle, nuova erba, nuove città, un nuovo mare»
(G.K. Chesterton, L’imputato, p. 113).
Quando mi capita di incontrare degli amici con prole al seguito e ho l’occasione di intrattenermi con loro, mi ritrovo spesso a chiedere loro: «E che faccia ha fatto la prima volta che gli hai parlato di Gesù?». Alle volte, quando questa domanda mi sale alle labbra, mi trovo deluso e un po’ ferito dalla risposta, che spesso suona: «Ma non è ancora il momento, è piccolo». Sarà che dentro di me immagino che la risposta “giusta” sarebbe: «Sai che non ricordo quando sia stata la prima volta che glie ne ho parlato? Tra le prime parole che gli ho detto, appena l’ho visto, c’è stata la benedizione “nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo”». Io, però, non ho figli (almeno per ora), e forse la mia è una romanticheria destinata a perdersi tra le poppate e il cambio di pannolini, intervallati da turni di riposo da due ore appena. Eppure qualcosa mi dice che forse non ho torto marcio: quando passeggiavo sul lungomare di Terracina col mio amico Luciano, portando sulle spalle suo figlio Paolo, la domanda che ci ha fatto, con la testa rivolta verso la riva immersa nel buio – “Papà, ma il mare c’è anche di notte?” – mi ha lasciato di sale. La meraviglia e la sofferta impressione delle cose, queste sante aristoteliche radici della filosofia, affondavano vigorose nel terriccio cosmico del suo cervello, ricercandovi sempre l’archetipica acqua, il principio. Neanche Chesterton aveva figli, ma forse questa cosa l’aveva capita meglio di alcuni miei amici: «[…] ognuna di quelle sfere contiene un universo nuovo fiammante, nuovo quanto era nuovo il mondo il settimo giorno della creazione. In ognuna c’è un nuovo sistema di stelle, nuova erba, nuove città, un nuovo mare».

Le domande dei bambini risplendono di quella incandescenza propria del demiurgo ammirato di ciò che vede comparire davanti al proprio spirito: nulla è scontato, nulla è vietato, nulla è cattivo – tutto anzitutto è, semplicemente, e il primo giudizio della mente fanciullesca è che certamente le cose esistono. Nessuno spirito ha una predisposizione migliore a recepire un qualunque insegnamento, e fa tristezza vedere che di questo i paladini del “gender” e tutti quelli interessati a deturpare la mente infantile sembrano più avvertiti di quanto non lo siano quelli che nel Vangelo Gesù chiama “i figli della luce”. Non tutti i figli della luce, però, si espongono al richiamo evangelico: il filippino Padre Maurizio Botta e il sacerdote romano don Andrea Lonardo, ad esempio, hanno da poche settimane dato alle stampe (per i tipi di Itaca), il loro “catechismo per la prima comunione”. “Le domande grandi dei bambini” è il titolo, che riecheggia il monito di Gesù: «Se non saprete farvi come bambini, nella novità del cuore e della vita, non entrerete nel Regno dei cieli».