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Spiritualità
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Il catechismo per bambini utile agli adulti

Pope Francis blesses children

© ANTOINE MEKARY / ALETEIA

La Croce - Quotidiano - pubblicato il 22/09/16

Alcuni appunti sul bel catechismo pubblicato da Padre Maurizio Botta e Padre Andrea Lonardo

«Le scuole e i saggi più ermetici non hanno mai avuto la gravità che alberga negli occhi di un neonato di tre mesi. La sua è la gravità dello stupore di fronte all’universo, e questo stupore non è misticismo, bensì buonsenso trascendente. Il fascino dei bambini sta nel fatto che con ognuno di loro tutte le cose vengono rifatte, e l’universo rimesso alla prova. Quando camminiamo per strada e sotto di noi vediamo le deliziose teste bulbose di questi funghi umani, il triplo delle dimensioni che dovrebbero avere in proporzione al loro corpo, dovremmo sempre ricordarci innanzitutto che ognuna di quelle sfere contiene un universo nuovo fiammante, nuovo quanto era nuovo il mondo il settimo giorno della creazione. In ognuna c’è un nuovo sistema di stelle, nuova erba, nuove città, un nuovo mare»

(G.K. Chesterton, L’imputato, p. 113).

Quando mi capita di incontrare degli amici con prole al seguito e ho l’occasione di intrattenermi con loro, mi ritrovo spesso a chiedere loro: «E che faccia ha fatto la prima volta che gli hai parlato di Gesù?». Alle volte, quando questa domanda mi sale alle labbra, mi trovo deluso e un po’ ferito dalla risposta, che spesso suona: «Ma non è ancora il momento, è piccolo». Sarà che dentro di me immagino che la risposta “giusta” sarebbe: «Sai che non ricordo quando sia stata la prima volta che glie ne ho parlato? Tra le prime parole che gli ho detto, appena l’ho visto, c’è stata la benedizione “nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo”». Io, però, non ho figli (almeno per ora), e forse la mia è una romanticheria destinata a perdersi tra le poppate e il cambio di pannolini, intervallati da turni di riposo da due ore appena. Eppure qualcosa mi dice che forse non ho torto marcio: quando passeggiavo sul lungomare di Terracina col mio amico Luciano, portando sulle spalle suo figlio Paolo, la domanda che ci ha fatto, con la testa rivolta verso la riva immersa nel buio – “Papà, ma il mare c’è anche di notte?” – mi ha lasciato di sale. La meraviglia e la sofferta impressione delle cose, queste sante aristoteliche radici della filosofia, affondavano vigorose nel terriccio cosmico del suo cervello, ricercandovi sempre l’archetipica acqua, il principio. Neanche Chesterton aveva figli, ma forse questa cosa l’aveva capita meglio di alcuni miei amici: «[…] ognuna di quelle sfere contiene un universo nuovo fiammante, nuovo quanto era nuovo il mondo il settimo giorno della creazione. In ognuna c’è un nuovo sistema di stelle, nuova erba, nuove città, un nuovo mare».

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Le domande dei bambini risplendono di quella incandescenza propria del demiurgo ammirato di ciò che vede comparire davanti al proprio spirito: nulla è scontato, nulla è vietato, nulla è cattivo – tutto anzitutto è, semplicemente, e il primo giudizio della mente fanciullesca è che certamente le cose esistono. Nessuno spirito ha una predisposizione migliore a recepire un qualunque insegnamento, e fa tristezza vedere che di questo i paladini del “gender” e tutti quelli interessati a deturpare la mente infantile sembrano più avvertiti di quanto non lo siano quelli che nel Vangelo Gesù chiama “i figli della luce”. Non tutti i figli della luce, però, si espongono al richiamo evangelico: il filippino Padre Maurizio Botta e il sacerdote romano don Andrea Lonardo, ad esempio, hanno da poche settimane dato alle stampe (per i tipi di Itaca), il loro “catechismo per la prima comunione”. “Le domande grandi dei bambini” è il titolo, che riecheggia il monito di Gesù: «Se non saprete farvi come bambini, nella novità del cuore e della vita, non entrerete nel Regno dei cieli».

Sorge allora il sospetto che le domande dei bambini, domande grandi, siano in realtà perfino più di un utile pretesto per gli adulti, molto più di quando i genitori ripassano le tabelline con la scusa di doverle insegnare ai figli: le domande grandi dei bambini sono una condizione necessaria per accogliere il cuore della rivelazione cristiana.

Che differenza c’è tra l’uomo e la scimmia? Perché c’è l’universo? Con la scienza si può conoscere tutto? Perché Dio ha scelto un popolo? Perché Dio non si è fatto conoscere tutto d’un colpo? Perché Gesù è dovuto venire in mezzo a noi? Ma insomma questo Dio è uno o sono tre? Perché si fa il battesimo? Ecco le domande che gli autori, forti di anni e decenni di catechesi ai “piccoli” hanno voluto raccogliere in questo agile volumetto, impreziosito dalle belle illustrazioni di Andrea Pucci. Ovviamente a chiunque compri un “catechismo per la prima comunione” balza agli occhi che mancano proprio le domande che più si aspettava (per esempio “Come fa Gesù a stare in ogni ostia?” e “come facciamo a non fargli male se mordiamo l’ostia consacrata e Lui sta là dentro?”): in effetti le domande scelte da Botta e Lonardo costituiscono un arco teologico più individuabile secondo i canoni classici della “prima catechesi”, insomma un moderno e fanciullesco “de catechizandis rudibus”. Sono domande che configurano una iniziazione cristiana, e hanno quindi uno spettro più ampio di una “sintesi della dottrina eucaristica ad uso dei bambini”.

Una scelta d’impianto che merita un plauso e un’immediata domanda: «E il resto?» Poi uno guarda la copertina e capisce che si tratta di un primo volume, l’altro – a domanda hanno risposto gli autori – verrà pubblicato tra un anno. La scelta di partire dalle domande dei bambini è quindi non solo finalizzata alla brevità e alla semplicità (che pure sono due grandi pregi di un catechismo), ma pure all’ambizioso disegno di costruire quella che da un paio di secoli a questa parte si chiama “teologia fondamentale” (anzi, una teologia fondamentale che accolga al proprio interno una teologia dogmatica, come nell’antica tradizione patristica, quando la sacra dottrina era forse meno articolata ma sicuramente più fluida e coesa).

Allora si gira pagina aspettandosi di cominciare da “che differenza c’è tra l’uomo e la scimmia?” e si trova invece un’altra serie di domande, questa non corredata da numeri di pagina, che sono invece esplicitamente indirizzate ai catechisti: Se Dio ha creato il mondo, chi ha creato Dio? Io ho paura che Dio non esiste! Ma siamo sicuri che la nostra religione è quella vera? Dio sa il mio nome? Se l’uomo è stato creato da Dio, e io, mamma, ci credo davvero, perché c’è stato anche l’australopiteco? Mamma, ma se tu muori, puoi amarmi ancora? Se Dio è amore, perché ha mandato a morire suo figlio e non è venuto lui? Dov’ero quando tu, papà, eri ancora piccolo? Quale sensazione si prova quando diventi padre? Perché esiste l’odio? Perché Gesù è dovuto nascere per forza? Perché Gesù vuole che lo mangiamo?

E gli autori mostrano ai catechisti da quale gilda di domande ficcanti e talvolta dolorose sia venuto fuori il volumetto che hanno in mano: queste non sono in ordine, ovvero sono in ordine sparso, e se non ne emerge la nitidezza di un progetto è un’altra cosa a colpire l’intelligenza – la perfetta coincidenza di spazio e tempo, la percezione non confusa di una potente trama unitaria che unisce la grande storia, quella cosmica e quella umana, alla piccola storia, fatta di affetti ancestrali e di paure archetipiche. Per i bambini il timore di perdere l’amore di chi li ama da sempre è complanare alla domanda filosofica sulla provvidenza che regge il mondo, e la paternità di Dio si rispecchia in quella dei genitori con un’analogia segnata da una dolce soluzione di continuità.

«Troverete al termine di questo volume ulteriori riflessioni sui criteri con cui lo abbiamo scritto – avvertono gli autori –. Vorremmo prima, però, che lo leggeste così com’è, perché un libro non dipende dalle sue introduzioni». Ci sentiamo un po’ colpevoli, davanti a padre Botta e a don Lonardo, per aver indugiato tanto sulle prime pagine, a mo’ di introduzione, ma ci scuseremo volentieri fingendoci anche noi bambini, perché la meraviglia è la cosa più meravigliosa del mondo, e quando ci stupiamo dello stupore dei bambini sentiamo che anche la nostra testa torna incandescente e magmatica come quelle, bulbose, dei bambini, in cui «tutte le cose vengono rifatte e l’universo è rimesso alla prova».

La sensazione è che Dio stesso, ogni volta che si risponde alle “domande grandi dei bambini” venga rimesso alla prova, e che volentieri l’Onnipotente si distenda sul lettino operatorio per farsi vivisezionare dalle acuminate intelligenze dei Suoi preferiti. Per godere della loro gioia quando viene da loro trovato vivente, vivo e vivificante.

Così in apertura viene affrontata una delle questioni che per molti “grandi” significa invece la crisi della fede, il crollo della fede in una trascendenza: l’uomo primitivo che, dice padre Botta ai bambini, «vi interessa moltissimo». E alla domanda implicita, che è sempre un bisturi ficcato nell’immateriale corpo dell’Altissimo, rispondono i fatti, non le teorie: gli uomini sono i soli animali col culto dei morti, sono i soli che disegnano, i soli che cantano. E i bambini vedono subito che per queste semplici e sole cose gli uomini primitivi sono infinitamente più simili a noi che a qualunque scimmia evoluta: «L’anello che separa l’ultimo animale dal primo degli uomini non è un anellino piccolo piccolo, ma un anello grande e pesante come quelli che nei porti servono per tenere ferma una nave».

“Le domande grandi dei piccoli” è quindi un libro per bambini, sì, ma che deve essere usato con l’aiuto di catechisti – dare vita alle pagine è cosa che solo un maestro, un pedagogo, può fare… – e non può mancare un riferimento importante ai primi responsabili di ogni educazione per un bambino, ai genitori, che anche della catechesi sono e devono essere i principali promotori. «La catechesi – scrive don Lonardo ai “cari genitori” – non è per loro [i bambini, N.d.R.] un’imposizione, anzi è il luogo dove emergono le domande importanti che hanno nel cuore, quelle domande che hanno anche i bambini di genitori atei». La conclusione è chiara, ed è diretta ai genitori, i quali possono essere portati a pensare «che non è bene parlare di Dio pubblicamente, che non è bene parlarne ai bambini»: «Non avere delle persone con le quali parlare di Dio impoverisce la vita di un bambino».

Sfogliando le pagine dei due sacerdoti si può avere l’impressione che alcune espressioni siano messe là più per gli adulti che per i bambini. Ad esempio quando si legge: «Se ci pensate bene, tanti dei vostri perché sono “metafisici”, sono “sopra” la fisica: riguardano il bene e il male, la vita e la morte, la gioia e la paura, non solo le leggi scientifiche». Si può pensare che padre Botta voglia impressionare i lettori adulti e dar loro prova “di saperla molto lunga” (cosa peraltro vera, se ne accorge chiunque abbia a che fare con lui, come con don Lonardo): la verità però è più complessa e più interessante. Botta e Lonardo hanno scoperto l’estrema duttilità e l’impressionante potenza astrattiva e concettuale dei bambini: le parole difficili non sono un problema, per una mente che è capace di concepire il numero due senza immaginarselo con due oggetti. Così vale la pena, con dolcezza e senso della misura, di “premere a fondo il pedale” della loro intelligenza: non si sciupa, anzi ne guadagnano tutte le facoltà. Così parlare del mondo porta al concetto di “universo” (che non è un semplice sinonimo di “mondo”, ma ne implica una sua specifica rappresentazione filosofica), e il concetto di “universo” alla teoria detta “del Big Bang”: così un bambino in età da prima comunione viene a conoscere il nome di Georges Édouard Lemaître, e ne ammira la figura sacerdotale in atto di discorrere con Albert Einstein. Quale appiglio troverà in lui, un giorno, la cialtronesca menzogna della scienza che demolisce la fede?

E come prevenendo l’obiezione (in realtà storicista, quindi propria di un adulto e non di una mente legata ai fenomeni) che la foto di Einstein e Lemaître apparterrebbe a un mondo ancora parzialmente legato alle superstizioni religiose, il libro mostra ai bambini una foto di Samantha Cristoforetti nella Stazione Orbitante Internazionale: è la stessa foto comparsa sui quotidiani e nei telegiornali, ma non ha il taglio censorio con cui quasi ovunque è stata riportata – si vedono le icone russe sulla testa degli astronauti. Gli scienziati pregano, le astronaute si truccano e hanno fede in Dio e in Gesù Cristo.

Momento di silenzio per gli “oh” di stupore. I quali appartengono più ai genitori che ai bambini, come era ragionevole aspettarsi: difatti nella pagina successiva seguono le illustrazioni di Copernico, Galilei, Newton, Mendel, Marconi, Volta. Le reminiscenze liceali (o accademiche, ché spesso sono pure più blande) vanno rischiarate o integrate: i grandi scienziati sono stati quasi tutti grandi uomini di fede.

Dopo qualche pagina di “domande metafisiche”, si passa a una sezione “storico-dogmatica”: le due sono separate da una semplice schematizzazione (già vista anche in Giussani), raffigurante un triangolo, ossia una piramide in sezione, e al suo interno una “l”, iniziale di “libertà”. «Gli uomini, nei secoli, hanno espresso questa libertà in tanti modi diversi, per esempio attraverso il culto dei morti, l’arte, la poesia, la musica, la filosofia, la scienza e tutte le religioni».

Ma poi si pone la domanda: e qual è la vera religione? E si parte con la storia della salvezza, corredata da sintetiche ma complete cartine che sottraggano l’età patriarcale al fumoso “c’era una volta” che i bambini riconoscono come introduzione al linguaggio fiabesco-mitologico. A un tratto, mentre si sta introducendo la formazione del corpo scritturistico, un’immagine fulminante che raccoglie la Scrittura nel concetto di Tradizione (e non nomina alcuna delle due!): «Alcuni di voi, in gita scolastica o con i vostri genitori, avranno visitato delle grotte: nelle grotte ci colpiscono le stalattiti e le stalagmiti, che si sono formate goccia dopo goccia nel corso dei secoli. Un lavoro immenso. Allo stesso modo Dio, liberamente, ha voluto farsi conoscere un po’ per volta […]. I libri dell’Antico Testamento, quindi, sono come delle meravigliose stalattiti e stalagmiti che ci raccontano i segreti di Dio».

Chiunque abbia letto la costituzione dogmatica Dei Verbum sente riecheggiare in queste poche parole alcuni importanti concetti di teologia dell’ispirazione: e nell’omogeneizzato di padre Botta e don Lonardo si trovano pure passaggi sull’inerranza biblica e sui gradi di verità della Scrittura. Il passaggio è situato al confine tra la storia prima dell’Esodo (in senso stretto, la pre-istoria d’Israele) e quella che dalla liberazione parte: scelta ponderata, perché diverse sono le pretese di attendibilità cronachistiche dell’elohista di Genesi e del deuteronomista di 1-2 Samuele. La cosa meravigliosa è che questo astruso concetto così tecnicamente enunciato, roba abbastanza ostica per i non addetti alla materia, è sbriciolato con naturalezza dagli autori, come una pagnotta in briciole davanti ai passerotti.

E i passerotti devono arrivare al dunque: dopo “perché la fede?” e “perché la rivelazione di Dio?” si arriva a “perché tutta la pienezza sta in Cristo?”. E seguirà a chiusura del libro “perché tutto questo lo troviamo solo nella Chiesa?” (insomma, si tratta di un classico schema di teologia fondamentale). Senza soluzione di continuità, l’avvento di Gesù viene innestato nel suo proprio ceppo, ossia nella storia d’Israele (la quale prepara già il passaggio comunitario per comprendere “perché la Chiesa”). E di Gesù non si dicono solo “le opere e le parole”, per le quali tutta la storia lo riconosce grande pur se non sempre arriva alla fede – Botta e Lonardo vanno dritti al cuore della pretesa di Cristo: «Prima di Gesù nessun uomo religioso aveva mai preteso di essere Dio: i grandi fondatori delle altre religioni si sentivano tutti piccoli e peccatori davanti a Dio. Gesù, invece, è l’unico che parla a Dio Padre da pari a pari, l’unico che dice di conoscere i segreti di Dio, l’unico che racconta del suo rapporto con Dio ben prima che il mondo fosse creato».

E i bambini vengono messi davanti alle sole possibilità che un uomo razionale e ragionevole può trovare davanti all’enigma della sua persona: o aveva ragione o era un povero pazzo.

La fine della sezione storico-dogmatica è segnata dall’aggiunta di un altro schemino, da comporsi con quello precedentemente dato: una sezione di piramide, stavolta rovesciata, con una “L” grande al centro, a indicare la libertà di Dio che decide di “scendere” dal Cielo nel suo mistero, e di rivelarsi agli uomini. Un’appendice alla sezione, che presenta un gagliardo sviluppo dogmatico, è riservata al mistero trinitario, per il quale il volume conserva una delle proprie illustrazioni più belle (evidentemente ispirata alla visione di Dante in Pd XXXIII). La delicatezza e la ragionevolezza con cui è balbettato per i bambini qualche barlume del mistero più alto della fede cristiana, insieme con quello dell’incarnazione, segna uno dei passaggi più notevoli (e vorremmo anche dire “importanti”) del libro.

Uno schema della “perichóresis” trinitaria, integrata da un simbolo dell’incarnazione, viene infine aggiunto alle due sezioni di piramide delle due parti precedenti – così le tre sezioni del classico trattato di “teologia fondamentale” vengono declinate per i bambini e raccolti in un unitario colpo d’occhio.

A questo punto, e solo a questo punto, chi viene iniziato alla vita cristiana capisce, quasi istintivamente, che cosa siano i sacramenti in genere e il battesimo in specie: sono mezzi che immettono l’uomo, ogni uomo di ogni posto e di ogni tempo, in quella vita divina che, liberamente, Dio fa corrispondere al desiderio naturale del soprannaturale. Perché, come scopriva stupefatto sant’Agostino, «Dio ci ha creati per sé, e il nostro cuore è inquieto finché non riposa in lui». I bambini, come gli adulti, possono toccare con mano la verità dell’annuncio cristiano quando vedono che tutta questa lunga e complessa storia coincide perfettamente con il semplicissimo desiderio del loro cuore.

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QUI L’ARTICOLO ORIGINALE

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