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Dopo il caso di eutanasia su un minore in Belgio, sarà questa la nuova frontiera?

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Roberta Sciamplicotti - Aleteia - pubblicato il 20/09/16

Si riuscirà a bloccare l'estensione della pratica a tutti coloro la cui vita non viene ritenuta degna di essere vissuta?

Nei giorni scorsi ha fatto scalpore la notizia del primo caso di eutanasia su un minore in Belgio, e quindi nel mondo, perché il Paese è finora il primo ed unico ad aver approvato, nel 2014, una legge che lo consente.

La vittima aveva 17 anni e, come ha specificato Wim Distelmans, direttore del Centro di controllo dell’eutanasia, “soffriva di dolori fisici insopportabili. I dottori hanno usato dei sedativi per indurre il coma come parte del processo” (Repubblica.it, 17 settembre).

La legge belga del 2014 consente ai genitori di scegliere la “dolce morte” per i propri figli malati terminali dopo averne fatto richiesta al medico curante, che deve sottoporre il caso al Dipartimento di controllo federale e valutazione dell’eutanasia e riceverne l’autorizzazione. La legge specifica che anche il minore deve esprimere una forma di consenso.

La storia di Nancy

Se si ammette l’eutanasia, il prossimo passo sarà l’assassinio dei disabili? Potrebbe indurre a pensare così la storia di Nancy Fitzmaurice, una bambina britannica di 12 anni che respirava da sola e non stava morendo, ma era nata cieca con idrocefalia, meningite e setticemia, non poteva camminare, parlare, mangiare o bere e trascorreva ore gridando in agonia.

Nel 2014, la madre Charlotte ha scritto a un giudice dell’Alta Corte britannica, e l’organismo ha deciso con una sentenza definita “storica” di non processare la donna, che nell’agosto di quell’anno ha fatto interrompere le cure alla figlia provocandone la morte (Huffington Post, 27 ottobre 2014).

Nancy è morta il 21 agosto 2014, e l’ospedale in cui è deceduta, il Great Ormond Street, subito dopo la sua morte ha iniziato a combattere al fianco dei suoi genitori per ribadire il principio del diritto alla “dolce morte”, intesa come fine delle sofferenze.

“La luce dai suoi occhi è scomparsa, sostituita dalla paura e dalla voglia di essere in pace”, ha scritto Charlotte. “Mia figlia non è più mia figlia, ora lei è solamente un guscio”. “Anche se so che è la decisione giusta non mi perdonerò mai. Voglio che i genitori sappiano che è giusto volere che il proprio figlio sia in pace, che non significa amarlo di meno”.

Nonostante la morfina e la ketamina che le venivano somministrate, la piccola Nancy gridava per ore per il dolore in ospedale. La lettera inviata dalla madre è stata letta dal giudice Eleanor King, che ha subito acconsentito alla richiesta di Charlotte. Nancy è morta due settimane dopo (Mirror, 25 ottobre 2014).

Il caso ha rappresentato un precedente importante, perché per la prima volta è stato “permesso di morire” a una bambina che respirava da sola e non soffriva di malattie terminali.

Il caso di Nancy si è presentato cinque anni dopo che l’Alta Corte aveva approvato la morte del piccolo Ronnie Bickell, nato con una condizione genetica che rendeva i suoi muscoli inutilizzabili. Ronnie era attaccato a un apparecchio per la ventilazione e non riusciva a comunicare, ma poteva sentire e vedere.

Nel novembre 2009, un giudice dell’Alta Corte ha stabilito insieme alla madre Kelly che la qualità di vita di Ronnie non sarebbe mai stata tale da giustificare l’assistenza medica di cui godeva. Quando la macchina che lo teneva in vita è stata staccata, Ronnie aveva appena 13 mesi. I genitori si sono trovati nei due campi opposti di un’aspra battaglia legale.

A Charlotte è stato detto che la figlia sarebbe nata gravemente malata due giorni prima della sua nascita, nel luglio 2002. Charlotte aveva lo streptococco di gruppo B, che non era stato curato durante la gravidanza, altrimenti una semplice cura antibiotica avrebbe risolto tutto.

Quando Nancy aveva sei mesi le è stata diagnosticata anche l’epilessia, e aveva crisi quotidiane. Charlotte ha abbandonato il suo lavoro da infermiera per dedicarsi completamente a lei. “Le ho dato la migliore qualità di vita che potesse avere”, ha affermato.

A un certo punto soffriva e gridava continuamente. “Mi uccideva l’idea di non poter far nulla per aiutarla”; “tutto quello che volevo era che mia figlia morisse con dignità mentre le tenevo la mano”.

“L’amore, la devozione e la competenza della madre di Nancy sono evidenti”, ha dichiarato il giudice King , dando il consenso il 7 agosto alla fine della vita di Nancy.

“Veder soffrire mia figlia per giorni mentre le toglievano i fluidi è stato insopportabile”, ha ricordato Charlotte. “L’ultimo giorno è stato il più difficile della mia vita”. “Non dovrebbe essere una madre a decidere di porre fine alla vita di un figlio. I medici dovrebbero toglierti questo onere”.

I genitori di Nancy hanno istituito il The Nancy Wise Fund per aiutare i genitori a finanziare il funerale per i propri figli.

Il caso di Nancy permetterà di estendere l’eutanasia anche a chi, come lei, non era malata terminale ma soffriva molto? E se la decisione spettasse ai medici come chiede la madre di Nancy, cosa potrebbero fare i genitori che si oppongono ad ogni costo a perdere i propri figli, anche se gravemente disabili? Ed è davvero una “dolce morte” quella che comporta una sofferenza terribile per l’eliminazione di idratazione e nutrizione?

“Non trattiamo neanche i cani in questo modo. Non giustiziamo gli assassini così crudelmente. Se un serial killer nel braccio della morte venisse giustiziato costretto a morire di fame e disidratato sarebbe considerato orribile, ma visto che questa bambina è gravemente disabile è considerato accettabile. Spararle alla testa sarebbe stato meglio, perché almeno sarebbe stato immediato” (Lifenews.com, 29 ottobre 2014).


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