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Non si può comunicare coi morti? E perché si pregano i santi?

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Burhan Bunardi Xie

Padre Henry Vargas Holguín - pubblicato il 16/09/16

Un chiarimento necessario: non parliamo solo di morte biologica

Definitivamente e decisamente no. Non è mai stato né sarà mai possibile parlare o stabilire qualsiasi tipo di “dialogo” con i defunti. E perché non è possibile? Perché, tra le altre cose, è ontologicamente non fattibile.

Qualsiasi persona (medium, negromanti…) che si offra di darci messaggi dei defunti commette una frode, anche se le sue affermazioni in senso contrario non si faranno attendere. Chi dice che sia possibile un qualunque tipo di dialogo con i defunti ci sta ingannando, e se lo fa ha il suo interesse ad approfittarsi degli incauti.

La Chiesa respinge la pratica di evocare i defunti non solo perché, come si è già detto, non è fattibile, ma anche perché è un mezzo per aprire le porte all’azione demoniaca (Catechismo, n. 2117). Non conviene cercare di parlare con i defunti perché, com’è stato dimostrato, interverrà Satana o uno dei suoi angeli alleati, se li ha in suo potere (Apocalisse 12, 7-9).

Abbiamo constatato questo fatto, ad esempio, quando San Paolo ha espulso da una ragazza un demonio di divinazione. Il testo aggiunge che quando il demonio è uscito se n’è andata da lei anche la capacità di pronunciare oracoli (Atti 16, 16-19). Secondo le Sacre Scritture, ed è confermato dagli esorcisti, chi confida nelle pratiche occulte, inclusi negromanzia e occultismo, agisce male (Deuteronomio 18, 10-12).

Fin da quando sono state inventate, queste pratiche sono un tentativo fallito di conoscere ciò che interessa a ciascuno. La Chiesa dice anche “Non si trovi in mezzo a te chi immola, facendoli passare per il fuoco, il suo figlio o la sua figlia, né chi esercita la divinazione o il sortilegio o l’augurio o la magia” (Deuteronomio 18, 10) e “Così dice il Signore degli eserciti, Dio di Israele: Non vi traggano in errore i profeti che sono in mezzo a voi e i vostri indovini; non date retta ai sogni, che essi sognano” (Geremia 29, 8).

“La consultazione degli oroscopi, l’astrologia, la chiromanzia, l’interpretazione dei presagi e delle sorti, i fenomeni di veggenza, il ricorso ai medium manifestano una volontà di dominio sul tempo, sulla storia ed infine sugli uomini ed insieme un desiderio di rendersi propizie le potenze nascoste. Sono in contraddizione con l’onore e il rispetto, congiunto a timore amante, che dobbiamo a Dio solo” (Catechismo, 2116).

L’unica cosa realmente fattibile, e che fa anche parte della nostra fede cristiana, è la comunione tra vivi: tra i vivi di qui (spiritualmente parlando) e i vivi di là (quelli che sono morti in grazia di Dio). È quella che la Chiesa definisce “comunione dei santi”.

Quando si parla di comunione dei santi, si parla dunque di una comunione tra e con i viventi; con quelli che vivono nel regno dei cieli e con quelli che vivono qui (quelli che vivono per Dio e in Dio) in questa esistenza terrena.


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Questa comunione dei santi si realizza attraverso la mediazione di Gesù Cristo e come uno dei frutti della preghiera e con la forza dell’amore basata sulla fede: “La preghiera è cristiana in quanto è comunione con Cristo e si dilata nella Chiesa, che è il suo corpo. Le sue dimensioni sono quelle dell’amore di Cristo” (Catechismo, 2565).

Questa comunione dei santi è un’unione spirituale che nasce dal Battesimo, e che grazie al fatto che Cristo è risorto non si tronca con la morte, perché è destinata a trovare la sua pienezza nella vita eterna. Questa comunione tra terra e cielo si realizza in modo speciale nella preghiera di intercessione.

Con questa preghiera, basata sull’amore, circolano e si estendono in tutta la Chiesa beni spirituali. Tutti i battezzati che “vivono” (perché si mantengono nella grazia di Dio), le anime del Purgatorio e i santi che sono già in Paradiso formano un’unica grande famiglia.

Sì, la Chiesa è una realtà in tre stadi: la Chiesa militante (noi che siamo ancora pellegrini sulla terra), la Chiesa purgante (quelli che si stanno purificando) e la Chiesa trionfante (quelli che hanno già ottenuto la salvezza eterna in cielo) (Catechismo, 954; LG, 49). Tra i membri della Chiesa devono esserci e ci sono in effetti comunione e condivisione di beni spirituali, di modo che la comunione dei santi è una comunione tra vivi e non tra morti.

C’è dunque un vincolo profondo, indissolubile e permanente tra i “vivi” che sono ancora pellegrini in questo mondo e i “vivi” che hanno già varcato la soglia della morte all’eternità. La vita soprannaturale, attraverso i sacramenti, presente in noi che ancora peregriniamo in questo mondo, è l’unico modo per andare al di là di noi, entrare nell’atmosfera spirituale e relazionarci con quanti ci hanno preceduto, dormono già il sonno della pace e vivono in stato di purificazione o in stato già di eterna gloria godendo della visione beatifica di Dio.

Il ricordo di quanti ci hanno preceduto fa emergere dentro di noi nella preghiera la comunione che solo l’amore può creare, di modo che la preghiera e l’amore nei confronti dei defunti che “vivono” escono da noi stessi e arrivano a loro, così come, in senso contrario, quelli che si purificano e quelli che sono già arrivati in cielo agiscono a nostro favore. E per questo non abbiamo bisogno di medium né di sedute spiritiche.

Allo stesso modo non sappiamo chi, lasciando questa realtà temporale, è “vivo” per Dio, perché preghiamo per tutti i defunti senza compiere alcuna distinzione. Se uno dei defunti non ha bisogno della nostra preghiera per un motivo qualsiasi, questa andrà a favore di un altro, proprio per la comunione dei santi.

In genere chiamiamo morti i defunti, ma in realtà, ed essendo più obiettivi, i morti non sono quelli che sono nei cimiteri, ma quelli che non hanno la vita di Dio o la vita di grazia, anche se biologicamente continuano ad agire in questo mondo.

Gesù ha detto: “Dio non è Dio dei morti, ma dei vivi; perché tutti vivono per lui” (Luca 20, 38) e “Lascia che i morti seppelliscano i loro morti” (Luca 9, 60). E ancora: “Io sono la risurrezione e la vita; chi crede in me, anche se muore, vivrà” (Giovanni 11, 25) e “Se uno mangia di questo pane vivrà in eterno” (Giovanni 6, 51). In altre parole, chi vive (chi ha la vita di Dio o la vita soprannaturale o la vita di grazia) e mangia il pane eucaristico non morirà; rimarrà vivo anche da defunto. E già sappiamo che i morti non mangiano, non possono mangiare e “non devono” mangiare.

Quando Gesù parla di morti, non intende in senso corporale o biologico, ma in senso spirituale, che non smette di essere reale; i morti sono coloro che non appartengono al Regno di Dio, i morti spirituali.

Ricordiamo che quando le donne andarono a far visita alla tomba di Gesù e incontrarono due, potremmo dire, angeli, questi dissero loro: “Perché cercate tra i morti colui che è vivo?” (Luca 24, 5). Per questo, dobbiamo cercare Gesù, il primo dei risorti, tra i vivi. Tra i vivi di qui e tra i vivi di là.

Il peccato è morte, e lo vediamo fin dagli albori dell’umanità, quando Dio disse ad Adamo ed Eva che se avessero disobbedito sarebbero morti (Genesi 2, 17). Quando i nostri primi padri hanno peccato, tutto si è chiarito, perché con il peccato è arrivata la morte; più che la morte fisica, la morte spirituale. E da quel momento l’uomo muore e continua a morire.

È quello che afferma il profeta Ezechiele quando dice: “Colui che ha peccato e non altri deve morire” (Ezechiele 18, 20), o come dice San Paolo “Perché il salario del peccato è la morte” (Romani 6, 23). Il profeta Ezechiele dice anche: “Forse che io ho piacere della morte del malvagio – dice il Signore Dio – o non piuttosto che desista dalla sua condotta e viva?” (Ezechiele 18, 23).

La conversione ci invita ad accostarci alla confessione, sacramento che ci aiuta a risuscitare, ci dà la vita di Dio. Il sacramento della confessione è il sacramento della resurrezione e quello che ci mantiene vivi. C’è una vita che ci dà solo Dio.

Quando Gesù ha detto “Io sono venuto perché abbiano la vita e l’abbiano in abbondanza” (Giovanni 10, 10), di quale vita parla? Lo sappiamo già. Per questo nella vita terrena ci sono vivi fisicamente che sono morti spiritualmente e morti a livello corporale che vivono nella presenza di Dio. Se un giorno moriremo, consideriamoci vivi per Dio in Cristo (Romani 6, 11).

[Traduzione dallo spagnolo a cura di Roberta Sciamplicotti]

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